Sessualità (e relazione uomo-donna)
Buongiorno Dottori,
non è la prima volta che mi rivolgo a Voi,anche se questa volta si tratta di una questione diversa dalle precedenti; scrivo nella sezione di psichiatria in quanto attualmente sto facendo psicoterapia con uno psichiatra e questo mi sta dando fiducia; il punto di riferimento reale ce l'ho, ma le volte precedenti che sono passata di qui, ne ho tratto utilità.
C'è che sento l'impellenza di risolvere i miei problemi, le mie difficoltà, con gli uomini.
Sicuramente ho difficoltà a livello relazionale in generale (anche se non risulto una disadattata), ma adesso mi sento un pò insoddisfatta nel rendermi conto di quanto non ci sappia proprio fare con gli uomini.
Adesso so che ho delle responsabità se le cose vanno in un certo modo; è una "scoperta" recente, quindi ancora non riesco ad avere sempre chiarezza nel discernere le mie responsabilità da quelle dell'altro.
In più, adesso comincio a percepire e a pensare una cosa che mi comincia a dare fastidio verso me stessa e cioè che io spreco le possibilità che ho, che talora, mi vengono offerte.
E' un pò frustrante. Faccio qualcosa per cui non riesco a fare interessare l'uomo a me, a fargli pensare "mh vediamo questa (usciamoci/conosciamola)"; in pratica, conosco, gli uomini non mi evitano, però poi non viene fatto da loro niente per rivedermi/conoscermi.
Con la psicoterapia sto capendo quali errori evitare, quali modalità comportamentali evitare (quelle -in pratica- che non mi fanno "entrare" nel rapporto con l'altro); a volte, ci ricasco (cambiare è necessario, ma certo non semplice).
C'è anche che in passato, ho usato il sesso in maniera sbagliata: per chiudere piuttosto che per aprire un rapporto. Non è vero quello che si dice in giro e cioè che solo gli uomini non vogliano impegnarsi nelle relazioni; io, ho fatto lo stesso, per poter continuare a starmene per conto mio.
Capito questo però adesso sono due anni che non ho alcun rapporto fisico con un uomo (nè tanto meno una relazione); diciamo che ora il sesso mi fa un pò paura, non so come valutarlo, come guardarlo. Io, nel sesso, ci vedo qualcosa di divertente, credo sia una delle cose belle della vita, ma -ora- ho paura di questo, nonostante in questa mia concezione del sesso non ci veda niente di sbagliato. Forse, adesso,ho paura di dare una impressione sbagliata agli uomini. Ma credo che il problema, appunto, sia ampio: sesso e "relazione".
Ad ogni modo: perchè non riesco a far pensare agli uomini "rivediamola"? (vale anche per quelli conosciuti e con i quali non c'è stato "niente").
Una idea, credo, di averla: "questa vuole fidanzarsi"; credo di far pensare questo e forse è questo il blocco che io creo negli uomini. Anche qui: sbaglio a dire che in generale gli uomini manchino di iniziativa negli inviti? O è "colpa" mia?
Sono dispiaciuta, vorrei sapermi comportare; forse capirli.
In questo mio ragionamento, faccio corto circuito in qualche punto? Che devo fare per fare in modo di venir "pensata"?
Grazie, cordiali saluti
non è la prima volta che mi rivolgo a Voi,anche se questa volta si tratta di una questione diversa dalle precedenti; scrivo nella sezione di psichiatria in quanto attualmente sto facendo psicoterapia con uno psichiatra e questo mi sta dando fiducia; il punto di riferimento reale ce l'ho, ma le volte precedenti che sono passata di qui, ne ho tratto utilità.
C'è che sento l'impellenza di risolvere i miei problemi, le mie difficoltà, con gli uomini.
Sicuramente ho difficoltà a livello relazionale in generale (anche se non risulto una disadattata), ma adesso mi sento un pò insoddisfatta nel rendermi conto di quanto non ci sappia proprio fare con gli uomini.
Adesso so che ho delle responsabità se le cose vanno in un certo modo; è una "scoperta" recente, quindi ancora non riesco ad avere sempre chiarezza nel discernere le mie responsabilità da quelle dell'altro.
In più, adesso comincio a percepire e a pensare una cosa che mi comincia a dare fastidio verso me stessa e cioè che io spreco le possibilità che ho, che talora, mi vengono offerte.
E' un pò frustrante. Faccio qualcosa per cui non riesco a fare interessare l'uomo a me, a fargli pensare "mh vediamo questa (usciamoci/conosciamola)"; in pratica, conosco, gli uomini non mi evitano, però poi non viene fatto da loro niente per rivedermi/conoscermi.
Con la psicoterapia sto capendo quali errori evitare, quali modalità comportamentali evitare (quelle -in pratica- che non mi fanno "entrare" nel rapporto con l'altro); a volte, ci ricasco (cambiare è necessario, ma certo non semplice).
C'è anche che in passato, ho usato il sesso in maniera sbagliata: per chiudere piuttosto che per aprire un rapporto. Non è vero quello che si dice in giro e cioè che solo gli uomini non vogliano impegnarsi nelle relazioni; io, ho fatto lo stesso, per poter continuare a starmene per conto mio.
Capito questo però adesso sono due anni che non ho alcun rapporto fisico con un uomo (nè tanto meno una relazione); diciamo che ora il sesso mi fa un pò paura, non so come valutarlo, come guardarlo. Io, nel sesso, ci vedo qualcosa di divertente, credo sia una delle cose belle della vita, ma -ora- ho paura di questo, nonostante in questa mia concezione del sesso non ci veda niente di sbagliato. Forse, adesso,ho paura di dare una impressione sbagliata agli uomini. Ma credo che il problema, appunto, sia ampio: sesso e "relazione".
Ad ogni modo: perchè non riesco a far pensare agli uomini "rivediamola"? (vale anche per quelli conosciuti e con i quali non c'è stato "niente").
Una idea, credo, di averla: "questa vuole fidanzarsi"; credo di far pensare questo e forse è questo il blocco che io creo negli uomini. Anche qui: sbaglio a dire che in generale gli uomini manchino di iniziativa negli inviti? O è "colpa" mia?
Sono dispiaciuta, vorrei sapermi comportare; forse capirli.
In questo mio ragionamento, faccio corto circuito in qualche punto? Che devo fare per fare in modo di venir "pensata"?
Grazie, cordiali saluti
[#1]
Gentile Utente,
il problema che pone è interessante e complesso, vedo che lei ha una buona capacità di insight. Posso solo fare una notazione su ciò che afferma. Come può constatare uno dei lavori continui della mente è quello di paragonare incessantemente la "realtà delle cose così come sono" a "come devono essere" (è un meccanismo che ha ragione di esistere in senso evolutivo, finchè è limitato); il risultato è che abbiamo di fronte continuamente "la discrepanza" fra cio' che è/siamo e "l'ideale". In parole povere tutto è continuamente difettoso ai nostri occhi. Non è facile renderci conto che il vero io è quello difettoso (che contiene il dolore e la morte), e non quello ideale (invulnerabile ed eterno), e imparare ad amarlo.
Lei dice:"Che devo fare per fare in modo di venir "pensata"?---
Se lei potesse cominciare ad avere cura, a pensare in modo un po' amorevole alla se stessa difettosa (quella vera), forse potrebbe essere anche pensata. Credo che in questo momento lei pensi prevalentemente, come accade a ciascuno di noi con maggiore o minore intensità, a se stessa come difettosa e perciò NON amabile.
Cordialità,
il problema che pone è interessante e complesso, vedo che lei ha una buona capacità di insight. Posso solo fare una notazione su ciò che afferma. Come può constatare uno dei lavori continui della mente è quello di paragonare incessantemente la "realtà delle cose così come sono" a "come devono essere" (è un meccanismo che ha ragione di esistere in senso evolutivo, finchè è limitato); il risultato è che abbiamo di fronte continuamente "la discrepanza" fra cio' che è/siamo e "l'ideale". In parole povere tutto è continuamente difettoso ai nostri occhi. Non è facile renderci conto che il vero io è quello difettoso (che contiene il dolore e la morte), e non quello ideale (invulnerabile ed eterno), e imparare ad amarlo.
Lei dice:"Che devo fare per fare in modo di venir "pensata"?---
Se lei potesse cominciare ad avere cura, a pensare in modo un po' amorevole alla se stessa difettosa (quella vera), forse potrebbe essere anche pensata. Credo che in questo momento lei pensi prevalentemente, come accade a ciascuno di noi con maggiore o minore intensità, a se stessa come difettosa e perciò NON amabile.
Cordialità,
Dr. Roberto Di Rubbo
[#2]
Ex utente
Grazie davvero Dottor Di Rubbo per il Suo intervento.
Ho letto con molta attenzione soprattutto la prima parte: non avevo mai ragionato nei termini da Lei descritti, pur ritrovandomi perfettamente nell'opera mentale di rinvio dal "come è" al "come dovrebbe essere"; tra l'altro, se in passato questo processo mi creava frustrazione (perchè non agivo mantenendo inalterata questa distanza tra il "come è" ed il "come vorrei/dovrebbe essere"), devo ammettere che sicuramente l'attuale psicoterapia mi sta aiutando a "fare" laddove posso secondo le mie possibilità/capacità.
Le Sue parole, richiamano una gran verità -che, in effetti, mi sfugge continuamente- e cioè che "non è facile rendersi conto che il vero io è quello difettoso".
Sull'ultima parte del Suo intervento, mi sono venuti gli occhi lucidi e mi sono commossa e credo sia accaduto perchè ha toccato un'altra verità, mia, personale.
La ringrazio nuovamente, spero di riuscire nella Sua indicazione.
Un cordiale saluto.
Ho letto con molta attenzione soprattutto la prima parte: non avevo mai ragionato nei termini da Lei descritti, pur ritrovandomi perfettamente nell'opera mentale di rinvio dal "come è" al "come dovrebbe essere"; tra l'altro, se in passato questo processo mi creava frustrazione (perchè non agivo mantenendo inalterata questa distanza tra il "come è" ed il "come vorrei/dovrebbe essere"), devo ammettere che sicuramente l'attuale psicoterapia mi sta aiutando a "fare" laddove posso secondo le mie possibilità/capacità.
Le Sue parole, richiamano una gran verità -che, in effetti, mi sfugge continuamente- e cioè che "non è facile rendersi conto che il vero io è quello difettoso".
Sull'ultima parte del Suo intervento, mi sono venuti gli occhi lucidi e mi sono commossa e credo sia accaduto perchè ha toccato un'altra verità, mia, personale.
La ringrazio nuovamente, spero di riuscire nella Sua indicazione.
Un cordiale saluto.
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