Paroxetina
Buongiorno.
Assumo, dal 2006, 1 compressa di Daparox da 20 mg alle 8 e un'altra metà alle 15, dopo un breve periodo in cui ho assunto solo la compressa del mattino che però non mi aveva dato risultati soddisfacenti.
Inoltre, alle 10, assumo 0,25 mg di Xanax.
Così stabilizzata, questa terapia mi ha dato in questi anni risultati soddisfacenti. All'occorrenza, a fronte del ritorno di sintomi momentanei, sono riuscito a superare la cosa con l'assunzione di un altro 0,25 di Xanax, sporadicamente di un altro 0,50.
Senonché, da alcuni giorni, i sintomi sono tornati con una certa continuità. A volte basta neppure un capogiro ma la sola sensazione di averlo che, da lì, si innesta un circolo vizioso in cui arrivo a un surplus di ansia. Mi sento instabile sulle gambe; temo di svenire (non sono mai svenuto in vita mia); mi si fa corto il respiro, mi sento la pancia gonfiarsi a dismisura fino a che non ho conati di vomito senza vomitare nulla, che in qualche modo mi liberano un po' dell'aria in eccesso accumulata. E sto tutto introiettato in me stesso, pronto a cogliere (e con la paura di) qualsiasi segnale di qualcosa che non va, fosse pure il più insignificante.
Allo stato di confusione, ansia e paura psicologica, si accompagnano puntualmente manifestazioni quali la necessità di urinare di continuo.
Di conseguenza, amche la necessità di superare questi momenti con l'assunzione degli altri 0,25 di Xanax è diventata più frequente.
Un medico che ho contattato mi ha consigliato di aggiustare la terapia portando la pillola e mezza che prendo quotidianamente a 2 pillole, quindi passando da 30 mg a 40 mg. E assumendo tutt'e due le pillole assieme la mattina, magari dopo una prima settimana in cui assumere la mattina 1 pillola e mezza e lasciando l'altra mezza alle 15.
Vorrei gentilmente un conforto sulla validità di questa soluzione giacché, dopo questi anni, cominciavo a sperare piuttosto in una graduale riduzione della terapia fino a liberarmene del tutto. E invece...
Grazie di cuore per l'attenzione e cari saluti.
Assumo, dal 2006, 1 compressa di Daparox da 20 mg alle 8 e un'altra metà alle 15, dopo un breve periodo in cui ho assunto solo la compressa del mattino che però non mi aveva dato risultati soddisfacenti.
Inoltre, alle 10, assumo 0,25 mg di Xanax.
Così stabilizzata, questa terapia mi ha dato in questi anni risultati soddisfacenti. All'occorrenza, a fronte del ritorno di sintomi momentanei, sono riuscito a superare la cosa con l'assunzione di un altro 0,25 di Xanax, sporadicamente di un altro 0,50.
Senonché, da alcuni giorni, i sintomi sono tornati con una certa continuità. A volte basta neppure un capogiro ma la sola sensazione di averlo che, da lì, si innesta un circolo vizioso in cui arrivo a un surplus di ansia. Mi sento instabile sulle gambe; temo di svenire (non sono mai svenuto in vita mia); mi si fa corto il respiro, mi sento la pancia gonfiarsi a dismisura fino a che non ho conati di vomito senza vomitare nulla, che in qualche modo mi liberano un po' dell'aria in eccesso accumulata. E sto tutto introiettato in me stesso, pronto a cogliere (e con la paura di) qualsiasi segnale di qualcosa che non va, fosse pure il più insignificante.
Allo stato di confusione, ansia e paura psicologica, si accompagnano puntualmente manifestazioni quali la necessità di urinare di continuo.
Di conseguenza, amche la necessità di superare questi momenti con l'assunzione degli altri 0,25 di Xanax è diventata più frequente.
Un medico che ho contattato mi ha consigliato di aggiustare la terapia portando la pillola e mezza che prendo quotidianamente a 2 pillole, quindi passando da 30 mg a 40 mg. E assumendo tutt'e due le pillole assieme la mattina, magari dopo una prima settimana in cui assumere la mattina 1 pillola e mezza e lasciando l'altra mezza alle 15.
Vorrei gentilmente un conforto sulla validità di questa soluzione giacché, dopo questi anni, cominciavo a sperare piuttosto in una graduale riduzione della terapia fino a liberarmene del tutto. E invece...
Grazie di cuore per l'attenzione e cari saluti.
[#1]
Gentile utente,
i sintomi ansiosi possono avere andamento fluttuante nel tempo e ripresentarsi anche a distanza di anni. Questo può essere provocato da modificazioni terapeutiche (non è il suo caso), da fattori e circostanze esterni, ma può anche capitare che non abbiano una spiegazione evidente.
La soluzione che le hanno proposto potrebbe effettivamente funzionare (solo il tempo potrà dirlo), ma io le suggerirei di valutare anche un approccio psicoterapeutico da affiancare alla terapia farmacologica, in modo da valutare anche altri aspetti del problema.
Cordiali saluti,
i sintomi ansiosi possono avere andamento fluttuante nel tempo e ripresentarsi anche a distanza di anni. Questo può essere provocato da modificazioni terapeutiche (non è il suo caso), da fattori e circostanze esterni, ma può anche capitare che non abbiano una spiegazione evidente.
La soluzione che le hanno proposto potrebbe effettivamente funzionare (solo il tempo potrà dirlo), ma io le suggerirei di valutare anche un approccio psicoterapeutico da affiancare alla terapia farmacologica, in modo da valutare anche altri aspetti del problema.
Cordiali saluti,
Dr. Michele Patat
https://www.medicitalia.it/michelepatat
[#2]
Utente
Grazie per la risposta.
Devo dire che se da un lato, sapere che la nuova terapia "potrebbe" funzionare, piuttosto che "funzionerà", temo possa comportare un'ulteriore attenzione introspettiva che spero non si tramuti in un aumento ulteriore di ansia.
Del resto mi rendo conto che è più onesto mantenere tale cautela piuttosto che elargire rassicurazioni di comodo. Quindi onore al suo merito.
D'altro canto, leggere che, al di là di un rafforzamento della terapia, potrebbe farmi bene un supporto psicoterapeutico, mi fa subito pensare che dunque la mia situazione non deve essere così grave.
Aggiungo che qualche anno fa ho già fatto numerose sedute di psicoterapia e non posso negare che mi siano state utili. Solo che, da un certo punto in poi, avendo la dottoressa in cui mi ero imbattuto una vita, diciamo così, piuttosto problematica, mi trasformai gradualmente da paziente a "suo psicoterapeuta".
E però continuavo a pagare io le sedute (!!!).
Cari saluti.
Devo dire che se da un lato, sapere che la nuova terapia "potrebbe" funzionare, piuttosto che "funzionerà", temo possa comportare un'ulteriore attenzione introspettiva che spero non si tramuti in un aumento ulteriore di ansia.
Del resto mi rendo conto che è più onesto mantenere tale cautela piuttosto che elargire rassicurazioni di comodo. Quindi onore al suo merito.
D'altro canto, leggere che, al di là di un rafforzamento della terapia, potrebbe farmi bene un supporto psicoterapeutico, mi fa subito pensare che dunque la mia situazione non deve essere così grave.
Aggiungo che qualche anno fa ho già fatto numerose sedute di psicoterapia e non posso negare che mi siano state utili. Solo che, da un certo punto in poi, avendo la dottoressa in cui mi ero imbattuto una vita, diciamo così, piuttosto problematica, mi trasformai gradualmente da paziente a "suo psicoterapeuta".
E però continuavo a pagare io le sedute (!!!).
Cari saluti.
[#3]
Gentile utente,
il condizionale è obbligatorio quando si pensa alle possibili evoluzioni di una malattia e di un percorso di cura.
Dal punto di vista scientifico è dimostrata l'efficacia dei farmaci (altrimenti ovviamente non sarebbero neanche in commercio), ma un conto è parlare di statistica e un conto è parlare di un singolo individuo.
Quindi anche nella sua situazione ci sono tutti i presupposti perché la cura possa aiutarla a migliorare la sua condizione attuale, ma purtroppo nessuno è in grado di garantirlo a priori (come d'altronde ha già dimostrato di comprendere da solo).
Visto quello che ha raccontato rispetto alla precedente esperienza di psicoterapia, a mio parere varrebbe la pena consultare un professionista che possa continuare ad aiutarla senza invertire il rapporto medico-paziente.
Le faccio i migliori auguri,
il condizionale è obbligatorio quando si pensa alle possibili evoluzioni di una malattia e di un percorso di cura.
Dal punto di vista scientifico è dimostrata l'efficacia dei farmaci (altrimenti ovviamente non sarebbero neanche in commercio), ma un conto è parlare di statistica e un conto è parlare di un singolo individuo.
Quindi anche nella sua situazione ci sono tutti i presupposti perché la cura possa aiutarla a migliorare la sua condizione attuale, ma purtroppo nessuno è in grado di garantirlo a priori (come d'altronde ha già dimostrato di comprendere da solo).
Visto quello che ha raccontato rispetto alla precedente esperienza di psicoterapia, a mio parere varrebbe la pena consultare un professionista che possa continuare ad aiutarla senza invertire il rapporto medico-paziente.
Le faccio i migliori auguri,
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 2.3k visite dal 15/11/2013.
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