Interruzione-confusione-dipendenza terapia
Egregi Signori,
sono una ragazza di 23 anni che da circa un anno ha iniziato una terapia psichiatrica.
Scrivo perché ho un paio di perplessità; vorrei premettere che non ho particolari problemi con il terapeuta, anzi è particolarmente bravo, mi aiuta molto. Però alcune volte esco dalla seduta che sono dubbiosa e sospettosa forse, questo perché non è sempre diretto e non sempre riesco a capire dove voglia arrivare o mi chiedo perché mi ponga magari la stessa domanda più volte, in modi diversi, in sedute diverse. Spesso è come se "cambiasse carattere" da una seduta all'altra, ciò mi destabilizza perché non capisco se lo faccia per non "andare a sbattere contro un muro di granito" o se è dovuto al suo umore o ai fatti suoi.
Inoltre c'è un'altra cosa che mi mette a disagio: la terapia è un punto di riferimento ormai e non so fino a che punto questo mi sentimento di attaccamento sia corretto, seppur non ci sia niente di più al rapporto professionale, questo attaccamento è maggiore rispetto a quello che abbia mai avuto nei rispetti di qualunque altro medico.
So che sembrano stupidaggini, ma io ho necessità di avere tutto in chiaro e i rapporti delineati.
Inoltre ho accettato una terapia farmacologica e questo comporta per me un obbligo maggiore, come se adesso non avessi più la totale libertà di scelta di mollare tutto da un momento all'altro (libertà fasulla poi, considerando ciò che ho detto prima).
E tutto normale? mi faccio problemi inutilmente? questo attaccamento è provvisorio con un'utilità al fine della terapia, ma poi passerà? Le domande, il comportamento variabile e i dubbi che mi fa venire, lo fa apposta?
Vi ringrazio in anticipo per l'ascolto e le risposte.
sono una ragazza di 23 anni che da circa un anno ha iniziato una terapia psichiatrica.
Scrivo perché ho un paio di perplessità; vorrei premettere che non ho particolari problemi con il terapeuta, anzi è particolarmente bravo, mi aiuta molto. Però alcune volte esco dalla seduta che sono dubbiosa e sospettosa forse, questo perché non è sempre diretto e non sempre riesco a capire dove voglia arrivare o mi chiedo perché mi ponga magari la stessa domanda più volte, in modi diversi, in sedute diverse. Spesso è come se "cambiasse carattere" da una seduta all'altra, ciò mi destabilizza perché non capisco se lo faccia per non "andare a sbattere contro un muro di granito" o se è dovuto al suo umore o ai fatti suoi.
Inoltre c'è un'altra cosa che mi mette a disagio: la terapia è un punto di riferimento ormai e non so fino a che punto questo mi sentimento di attaccamento sia corretto, seppur non ci sia niente di più al rapporto professionale, questo attaccamento è maggiore rispetto a quello che abbia mai avuto nei rispetti di qualunque altro medico.
So che sembrano stupidaggini, ma io ho necessità di avere tutto in chiaro e i rapporti delineati.
Inoltre ho accettato una terapia farmacologica e questo comporta per me un obbligo maggiore, come se adesso non avessi più la totale libertà di scelta di mollare tutto da un momento all'altro (libertà fasulla poi, considerando ciò che ho detto prima).
E tutto normale? mi faccio problemi inutilmente? questo attaccamento è provvisorio con un'utilità al fine della terapia, ma poi passerà? Le domande, il comportamento variabile e i dubbi che mi fa venire, lo fa apposta?
Vi ringrazio in anticipo per l'ascolto e le risposte.
[#1]
Gentile utente
Qualsiasi dubbio in ambito psicoterapeutico va riportato in seduta per meglio comprendere cosa le sta accadendo e ricevendo come possibile indicazione quanto le può dire il terapeuta che la conosce.
Concettualmente, sono tutti fenomeni nella norma m avanno contestualizzati al suo caso particolare ed alla sua terapia.
Qualsiasi dubbio in ambito psicoterapeutico va riportato in seduta per meglio comprendere cosa le sta accadendo e ricevendo come possibile indicazione quanto le può dire il terapeuta che la conosce.
Concettualmente, sono tutti fenomeni nella norma m avanno contestualizzati al suo caso particolare ed alla sua terapia.
https://wa.me/3908251881139
https://www.instagram.com/psychiatrist72/
[#2]
Utente
Egregio dottore,
La ringrazio molto per la sua risposta, posso chiederLe, inoltre, se è possibile che questo genere di confusione sia implementato dal farmaco? Mi spiego meglio: prendo fluoxetina 20 mg/die da poco più di due settimane e da quando ho iniziato mi sembra di aver passato più fasi; i primi giorni niente, nemmeno la nausea che mi era stata quasi garantita, in seguito mi sono fatta crisi di pianto ininterrotte e poi c'è stata una fase "dubbiosa", in cui questi problemi hanno iniziato a pesarmi enormemente.
Ho pensato più volte di mollare tutto e immagino che lui se lo aspetti (dall'inizio della terapia).
Anche perché provengo da un ambiente dove la depressione e qualunque problema analogo sono considerati capricci e determinati disturbi non sono aspetti da curare o migliorare, ma piuttosto fanno di te "lo scemo del villaggio".
Per non parlare dei farmaci, che sono considerate o droghe legalizzate che non hanno una vera valenza scientifica, oppure c'è chi li definisce come scelta della "via più facile" (in pratica se li prendi sei debole). Sono stupidaggini anche queste, è vero, perché questo genere di pregiudizi non ci sono per altre branche della medicina (nemmeno per quella omeopatica!), però sono cose pesanti da sostenere, specie se hai anche problemi già di tuo.
cosa ne pensa Lei?
Grazie.
La ringrazio molto per la sua risposta, posso chiederLe, inoltre, se è possibile che questo genere di confusione sia implementato dal farmaco? Mi spiego meglio: prendo fluoxetina 20 mg/die da poco più di due settimane e da quando ho iniziato mi sembra di aver passato più fasi; i primi giorni niente, nemmeno la nausea che mi era stata quasi garantita, in seguito mi sono fatta crisi di pianto ininterrotte e poi c'è stata una fase "dubbiosa", in cui questi problemi hanno iniziato a pesarmi enormemente.
Ho pensato più volte di mollare tutto e immagino che lui se lo aspetti (dall'inizio della terapia).
Anche perché provengo da un ambiente dove la depressione e qualunque problema analogo sono considerati capricci e determinati disturbi non sono aspetti da curare o migliorare, ma piuttosto fanno di te "lo scemo del villaggio".
Per non parlare dei farmaci, che sono considerate o droghe legalizzate che non hanno una vera valenza scientifica, oppure c'è chi li definisce come scelta della "via più facile" (in pratica se li prendi sei debole). Sono stupidaggini anche queste, è vero, perché questo genere di pregiudizi non ci sono per altre branche della medicina (nemmeno per quella omeopatica!), però sono cose pesanti da sostenere, specie se hai anche problemi già di tuo.
cosa ne pensa Lei?
Grazie.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 1.8k visite dal 04/05/2013.
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