Problemi depressivi, della personalità?

Buonasera.
Sono una ragazza di quasi ventun'anni e vi scrivo per parlarvi di alcuni avvenimenti che sono accaduti nella mia vita da circa due anni. In realtà la diretta interessata non sono io, ma il ragazzo con cui sono stata insieme per circa tre anni e mezzo e con il quale c'è stata una rottura da un mesetto circa. Quando ci siamo fidanzati la situazione si è mostrata subito turbolenta: lui una decina di anni più grande di me, la mia famiglia contraria per l'età del ragazzo, ma il mio interesse per lui è andato oltre tutti questi "pregiudizi" ed abbiamo iniziato una storia bellissima... Innamorati più che mai, compatibili per interessi, carattere. Niente che di più bello si potesse desiderare. Questo idillio (nonostante i problemi derivanti da parte della mia famiglia, che hanno faticato ad accettare la situazione) è durato per poco più di un anno, finchè un giorno il mio ragazzo ha avuto un malore mentre era in viaggio, in auto. L'hanno portato in ambulanza in ospedale, dove hanno sospettato si trattasse di crisi epilettiche. Da lì ha fatto diverse visite neurologiche, in cui è stato scongiurato il rischio di crisi epilettiche, ed il neurologo gli aveva diagnosticato una crisi di panico, di ansia (dovuta al forte spavento per l'incidente) e gli aveva dato alcune gocce da prendere per alcune settimane, affinchè uscisse da questo stato di ansia. Purtroppo la cosa però è andata avanti diversamente: da questo fantomatico incidente, lui ha iniziato ad avvertire sensazioni strane: diceva di non riconoscersi più guardandosi allo specchio, aveva paura di uscire in luoghi affollati, avvertiva sempre un tremore alle gambe... non era sereno, insomma. Piano piano però ha superato tutte queste sensazioni che forse derivavano dal forte spavento e la situazione si è evoluta in questa maniera: come appena detto, tutte queste sensazioni sono scomparse, ma ripeteva sempre di "fare brutti pensieri", di ogni tipo. Lui soffre molto per questa condizione, perchè sente che questi pensieri non appartengono alla sua personalità e, per quanto lui cerchi di scacciarli, questi ritornano e lo accompagnano sempre, continuamente. Io gli sono stata vicino fino ad un mese fa circa: la situazione mi faceva molto soffrire ed inoltre i miei genitori mi hanno quasi costretta a lasciarlo, perchè sostengono che queste siano condizioni irreversibili, dalle quali non si esce. Lui adesso sta andando da uno psicanalista, con il quale sta ricostruendo le vicissitudini della sua vita, e questo afferma che questa sua condizione sia dovuta a dei traumi avuti in passato, quali la morte di una persona molto cara, l'aver sacrificato una parte della sua vita per una ex con la quale è stato per molti anni ed in ultimo l'incidente. Il dottore gli ha detto che non ha bisogno di prendere farmaci e che la sua è una questione di metabolizzare il dolore provato. Io lo amo profondamente e sento di aver preso la decisione sbagliata nel lasciarlo. E' vero che da queste cose non si esce, che "è malato"?
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Dr. Giuseppe Nicolazzo Psichiatra, Psicoterapeuta 2.2k 80
Gentile Utente,

il primo obiettivo in questi casi dovrebbe essere quello di definire una diagnosi alla quale fare seguire un percorso terapeutico, per questo è necessaria una visita psichiatrica accurata; nell'ipotesi, chiaramente tutta da dimostrare, che si tratti di un disturbo da attacchi di panico,così facendo la guarigione in un tempo non lungo è molto frequente,

Saluti

Dr G. Nicolazzo
Specialista in Psichiatria
Psicoterapeuta

[#2]
Utente
Utente
La ringrazio, dottore.
Per quanto riguarda il disturbo da attacchi di panico, questa era stata la diagnosi fornita circa due anni fa onde risalire all'eziologia dell'incidente automobilistico. Successivamente però, egli non ha mai avuto episodi da attacchi di panico o crisi. La cosa che lui sente e che gli crea il forte disagio è la presenza costante di questi "brutti pensieri", che possono essere di ogni tipo: dalla paura di nuocere, anche fisicamente, le persone che ama, apatia verso la gente... Tutte cose che egli non sente come proprie, che sa che non farebbe mai e che quindi non si spiega come possano sfiorargli la mente. Da qui deriva la sua insofferenza. Dopo la nostra rottura (avvenuta a malincuore, perchè entrambi ci amiamo e molto), mi ha detto che in lui è scattata una presa di consapevolezza, un non voler più stare in questa condizione, per cui si è rivolto allo specialista e con questi egli ha intrapreso una terapia di cui le parlavo sopra, quindi tesa al metabolizzare tutto il dolore che ha provato precedentemente, da cui gli derivano queste brutte sensazioni. La cosa che mi domando, dottore, è questa, anche se so chiaramente che lei, non conoscendo nei dettagli la situazione, non potrebbe rispondermi per certo: sono queste condizioni in grado di essere superate, che possono occorrere nella vita di qualunque persona o si parla di disturbo mentale, di malattia? E questa è una cosa di pertinenza psicologica o psichiatrica? Le chiedo questo perchè la frase che mi sento dire continuamente è: "non ne è uscito in due anni, cosa ti aspetti?", mentre io non credo che questa sia una condizione irreversibile... E non so se lo penso solo perchè sono innamorata.
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Dr. Giuseppe Nicolazzo Psichiatra, Psicoterapeuta 2.2k 80
Gentile Utente,

la pertinenza è psichiatrica come per qualsiasi disturbo psicopatologico grande o piccolo che sia questo in prima battuta, sarà poi il medico psichiatra che valuterà l'opportunità o meno di inviare il paziente ad uno psicoterapeuta ma è importante conoscere la diagnosi medica perché solo dopo questo è possibile valutare la prognosi, cioè la previsione dell'evoluzione del disturbo nel tempo e quindi dare una risposta alle sue domande, comunque tutte le malattie mentali sono curabili e molte guariscono,

Saluti
[#4]
Utente
Utente
La ringrazio, dottore.
Se dovessi avere qualche altra domanda, non esiterò a scriverle.
Vorrei solo chiedere per ora un'ultima cosa, forse di natura più psicologica, personale: la nostra separazione potrebbe incidere negativamente sul percorso di "riabilitazione" che il ragazzo sta seguendo? Ed inoltre "la massa" sostiene che con l'aumentare dell'età del soggetto in questione il problema sia sempre meno risolvibile e nel caso in esame parliamo di una persona di appena trent'anni. Cosa può dirmi a riguardo?
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Dr. Giuseppe Nicolazzo Psichiatra, Psicoterapeuta 2.2k 80
Gentile Utente,

alla prima domanda non è possibile rispondere da queste pagine, questo forse lo potrà sapere chi sta curando il ragazzo.

In medicina vale la regola che prima si interviene e migliori risultati si ottengono, guarigione compresa e ciò vale assolutamente in psichiatria,

Saluti
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