Per il dott. gukov
Egregio dott. Gukov, vorrei sapere se esistono casi in cui un soggetto può essere considerato affetto da una forma di depressione, anche se la stessa depressione non è causata da fattori fisiologici ma da difficoltà esterne al soggetto (problemi familiari, professionali, sociali, ecc.). In questi casi quale cura si consiglia? Solitamente si cerca di dare farmaci al paziente oppure lo si invita a fare una psicoterapia?
Posta questa domanda generale introduco il mio caso. A causa di numerose difficoltà sul lavoro (faccio l’attore e nonostante alcuni e importanti riconoscimenti non riesco ad affermarmi) mi capita di attraversare periodi in cui sono improduttivo o passo tempo a chiedermi se sto facendo la scelta giusta a investire le mie energie sul mio settore professionale. A queste difficoltà si unisce la solitudine affettiva, perché, essendo single da tempo, non riesco a trovare un conforto amoroso che mi sostenga e mi faccia sentire appagato. Ho sempre considerato il mio lavoro la priorità e questo mi ha portato a mettere in secondo piano amici e amore. Ora che la mia carriera si presenta in salita e il lavoro sinora fatto non mi consente ancora di raggiungere una serenità professionale mi sento spesso deluso e demotivato, a volte vorrei anche demordere ma poi capisco che questo è la mia strada, fare l’attore mi rende felice e allora ricomincio a inviare curriculum e a fare provini.
Ciò che però mi spaventa di più è l’apatia che spesso mi prende e che mi blocca gettandomi in uno stato di sconforto. Negli ultimi anni ho dovuto anche fare i conti con la paura di sentirmi male che avverto quando sono in mezzo ad altra gente. Nei primi tempi tendevo anche a non uscire e a evitare luoghi che mi mettevano ansia. Ora riesco a convivere con questa paura, anche se non l’ho eliminato e faccio fatica a conviverci.
La paura di non essere all’altezza, di non avere le opportunità per sfondare e di rimanere senza lavoro è forte fino a bloccarmi. Ho parlato con uno psichiatra con cui ho avuto una decina di sedute di psicoterapia. Lo psichiatra mi ha detto che non sono depresso e ha spiegato la mia tendenza a stare male come una conseguenza del mio non sentirmi realizzato. Vorrei trovare la forza per investire sul mio talento, in cui credo davvero, ma che spesso mi sembra insufficiente di fronte al percorso impegnativo da affrontare. Come posso fare?
Posta questa domanda generale introduco il mio caso. A causa di numerose difficoltà sul lavoro (faccio l’attore e nonostante alcuni e importanti riconoscimenti non riesco ad affermarmi) mi capita di attraversare periodi in cui sono improduttivo o passo tempo a chiedermi se sto facendo la scelta giusta a investire le mie energie sul mio settore professionale. A queste difficoltà si unisce la solitudine affettiva, perché, essendo single da tempo, non riesco a trovare un conforto amoroso che mi sostenga e mi faccia sentire appagato. Ho sempre considerato il mio lavoro la priorità e questo mi ha portato a mettere in secondo piano amici e amore. Ora che la mia carriera si presenta in salita e il lavoro sinora fatto non mi consente ancora di raggiungere una serenità professionale mi sento spesso deluso e demotivato, a volte vorrei anche demordere ma poi capisco che questo è la mia strada, fare l’attore mi rende felice e allora ricomincio a inviare curriculum e a fare provini.
Ciò che però mi spaventa di più è l’apatia che spesso mi prende e che mi blocca gettandomi in uno stato di sconforto. Negli ultimi anni ho dovuto anche fare i conti con la paura di sentirmi male che avverto quando sono in mezzo ad altra gente. Nei primi tempi tendevo anche a non uscire e a evitare luoghi che mi mettevano ansia. Ora riesco a convivere con questa paura, anche se non l’ho eliminato e faccio fatica a conviverci.
La paura di non essere all’altezza, di non avere le opportunità per sfondare e di rimanere senza lavoro è forte fino a bloccarmi. Ho parlato con uno psichiatra con cui ho avuto una decina di sedute di psicoterapia. Lo psichiatra mi ha detto che non sono depresso e ha spiegato la mia tendenza a stare male come una conseguenza del mio non sentirmi realizzato. Vorrei trovare la forza per investire sul mio talento, in cui credo davvero, ma che spesso mi sembra insufficiente di fronte al percorso impegnativo da affrontare. Come posso fare?
[#1]
Gentile utente,
su questo sito ogni domanda di consulto che si pone deve essere indirizzata potenzialmente a tutti gli specialisti del sito disponibili a rispondere. Postare una domanda indirizzata solo ad uno di noi non è corretto. Se preferisce rivolgersi ad uno specialista concreto, bisogna contattarlo privatamente (i recapiti di ciascuno specialista iscritto al sito si trovano nella sua scheda personale).
su questo sito ogni domanda di consulto che si pone deve essere indirizzata potenzialmente a tutti gli specialisti del sito disponibili a rispondere. Postare una domanda indirizzata solo ad uno di noi non è corretto. Se preferisce rivolgersi ad uno specialista concreto, bisogna contattarlo privatamente (i recapiti di ciascuno specialista iscritto al sito si trovano nella sua scheda personale).
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#2]
Gentile Signore,
non sono una psichiatra quindi non posso risponderle in termini strettamente professionali; vorrei umilmente interloquire con lei a livello umano, perché il suo consulto mi ha colpito molto: per come è formulato illustra perfettamente il disagio a cui molti talenti vanno incontro in una società che quasi mai premia il merito; in questo lei è stato fortunato: ha già avuto riconoscimenti che in pratica "dovrebbero" confortare le sue motivazioni e rinforzarle..
La immagino sul palcoscenico, bravo, preso, coinvolgente, mentre "vive" le opere teatrali che interpreta; ma poi, chiuso il sipario si accorge che la sua vita VERA non è lì, né dietro le quinte, né nel suo camerino ma "fuori", "altrove" e uscito dal teatro o dal set è come se lei facesse un passo nell'abisso, non avendo altri interessi nel mondo "reale", non avendo amici né amore: di qui suppongo la paura, il disorientamento, una specie di resa perché è come se (fuori) lei si credesse incapace di essere protagonista della sua vita...tanto quanto si sente invece capace di interpretare (vivere teoricamente) la vita altrui, di personaggi esistiti o inventati.
Voglio dirle che TUTTO SI PUO' COSTRUIRE, non è "tardi" per scendere le scalette del palcoscenico e immergersi in prima persona nel mare magnum della vita reale, accettandone tutti i rischi (da cui il teatro di certo la tutela..) quali delusioni, illusioni, sofferenze, arrabbiature, tradimenti; ma anche sapendo che lo scambio inter-umano semplice, senza pretese, senza coup de teatre, vero, con tutti i limiti e difetti possibili, sarà l'unica cosa che l'arricchirà veramente, portando luce e gioia nella sua vita; la gioia della CONSAPEVOLEZZA che la questa, la nostra, merita di essere vissuta, nonostante tutto; perché se non ci si relaziona in modo VERO agli altri si muore dentro.
Sicuramente le strade sono due: o lei si lancia, si tuffa completamente nella vita reale senza temere di restarne ferito (e conscio che potrebbe essere anche un tuffo nella cacca..ma tant'è...) e parimenti senza altre aspettative se non quella di essere se stesso, oppure dovrà trovarsi una "guida" che le insegni i passi progressivi da fare;che sia il Dr.Gukov , (il quale molto correttamente si è sottratto alla richiesta di consulenza ad personam) o un altro .
Coraggio! Combatta intanto attivamente la sua apatia quando questa tenta di sopraffarla spalmandola sul divano di casa: esca subito, si guardi intorno, magari prenda un autobus e cominci a osservare come la gente più disparata si muove nel teatro della vita: vedrà che presto la troverà interessante, vorrà scambiarci due parole, un sorriso, perfino una lacrima...ma saranno senza copione e tutte vere questa volta, dandole linfa e forza nuova!!
Le auguro di imparare presto a rappresentarsi al mondo in quanto persona. Come attore già lo sa fare benissimo e complimenti per i riconoscimenti ricevuti.
Cordiali saluti
Dott.Agnesina Pozzi
non sono una psichiatra quindi non posso risponderle in termini strettamente professionali; vorrei umilmente interloquire con lei a livello umano, perché il suo consulto mi ha colpito molto: per come è formulato illustra perfettamente il disagio a cui molti talenti vanno incontro in una società che quasi mai premia il merito; in questo lei è stato fortunato: ha già avuto riconoscimenti che in pratica "dovrebbero" confortare le sue motivazioni e rinforzarle..
La immagino sul palcoscenico, bravo, preso, coinvolgente, mentre "vive" le opere teatrali che interpreta; ma poi, chiuso il sipario si accorge che la sua vita VERA non è lì, né dietro le quinte, né nel suo camerino ma "fuori", "altrove" e uscito dal teatro o dal set è come se lei facesse un passo nell'abisso, non avendo altri interessi nel mondo "reale", non avendo amici né amore: di qui suppongo la paura, il disorientamento, una specie di resa perché è come se (fuori) lei si credesse incapace di essere protagonista della sua vita...tanto quanto si sente invece capace di interpretare (vivere teoricamente) la vita altrui, di personaggi esistiti o inventati.
Voglio dirle che TUTTO SI PUO' COSTRUIRE, non è "tardi" per scendere le scalette del palcoscenico e immergersi in prima persona nel mare magnum della vita reale, accettandone tutti i rischi (da cui il teatro di certo la tutela..) quali delusioni, illusioni, sofferenze, arrabbiature, tradimenti; ma anche sapendo che lo scambio inter-umano semplice, senza pretese, senza coup de teatre, vero, con tutti i limiti e difetti possibili, sarà l'unica cosa che l'arricchirà veramente, portando luce e gioia nella sua vita; la gioia della CONSAPEVOLEZZA che la questa, la nostra, merita di essere vissuta, nonostante tutto; perché se non ci si relaziona in modo VERO agli altri si muore dentro.
Sicuramente le strade sono due: o lei si lancia, si tuffa completamente nella vita reale senza temere di restarne ferito (e conscio che potrebbe essere anche un tuffo nella cacca..ma tant'è...) e parimenti senza altre aspettative se non quella di essere se stesso, oppure dovrà trovarsi una "guida" che le insegni i passi progressivi da fare;che sia il Dr.Gukov , (il quale molto correttamente si è sottratto alla richiesta di consulenza ad personam) o un altro .
Coraggio! Combatta intanto attivamente la sua apatia quando questa tenta di sopraffarla spalmandola sul divano di casa: esca subito, si guardi intorno, magari prenda un autobus e cominci a osservare come la gente più disparata si muove nel teatro della vita: vedrà che presto la troverà interessante, vorrà scambiarci due parole, un sorriso, perfino una lacrima...ma saranno senza copione e tutte vere questa volta, dandole linfa e forza nuova!!
Le auguro di imparare presto a rappresentarsi al mondo in quanto persona. Come attore già lo sa fare benissimo e complimenti per i riconoscimenti ricevuti.
Cordiali saluti
Dott.Agnesina Pozzi
[#3]
La distinzione che a volte si fa in clinica è fra depressioni endogene e depressioni reattive, che corrisponde grosso modo a quella cui ha accennato lei.
Molte depressioni che arrivano all'attenzione dello psicoterapeuta appartengono al secondo tipo. Esse traggono origine dal fatto che si è lottato a lungo per risolvere un problema importante a cui non si è riusciti a dare una risposta. Sembrerebbe proprio il suo caso:
>>> Vorrei trovare la forza per investire sul mio talento, in cui credo davvero, ma che spesso mi sembra insufficiente di fronte al percorso impegnativo da affrontare
>>>
La depressione reattiva, nel modello breve strategico, corrisponde al progressivo o subitaneo crollo di un mito, ovvero allo sgretolarsi di una credenza basilare alla quale la persona attribuiva grande importanza. E quando essa viene meno, subentra l'atteggiamento rinunciatario, passa la voglia di fare tutto, di occuparsi delle cose che prima consideravamo importanti e normali. Si perde la speranza e la fiducia di "potercela fare".
Nel suo caso potrebbe essere necessario un intervento - anche breve - per arrivare a conciliare ciò in cui crede, cioè il suo talento, con ciò che sarebbe necessario fare per raggiungere gli obiettivi che tanto le stanno a cuore. Sempre con un occhio al realismo. Potrebbe essere necessaria una grande dose di pragmatismo da parte del terapeuta, per aiutarla a fare l'inventario delle sue competenze e capacità e a vedere come renderle complementari a ciò che desidera. L'ideale, dal mio punto di vista, potrebbe essere uno psicoterapeuta che si occupasse anche di psicologia del lavoro e delle organizzazioni.
Molte depressioni che arrivano all'attenzione dello psicoterapeuta appartengono al secondo tipo. Esse traggono origine dal fatto che si è lottato a lungo per risolvere un problema importante a cui non si è riusciti a dare una risposta. Sembrerebbe proprio il suo caso:
>>> Vorrei trovare la forza per investire sul mio talento, in cui credo davvero, ma che spesso mi sembra insufficiente di fronte al percorso impegnativo da affrontare
>>>
La depressione reattiva, nel modello breve strategico, corrisponde al progressivo o subitaneo crollo di un mito, ovvero allo sgretolarsi di una credenza basilare alla quale la persona attribuiva grande importanza. E quando essa viene meno, subentra l'atteggiamento rinunciatario, passa la voglia di fare tutto, di occuparsi delle cose che prima consideravamo importanti e normali. Si perde la speranza e la fiducia di "potercela fare".
Nel suo caso potrebbe essere necessario un intervento - anche breve - per arrivare a conciliare ciò in cui crede, cioè il suo talento, con ciò che sarebbe necessario fare per raggiungere gli obiettivi che tanto le stanno a cuore. Sempre con un occhio al realismo. Potrebbe essere necessaria una grande dose di pragmatismo da parte del terapeuta, per aiutarla a fare l'inventario delle sue competenze e capacità e a vedere come renderle complementari a ciò che desidera. L'ideale, dal mio punto di vista, potrebbe essere uno psicoterapeuta che si occupasse anche di psicologia del lavoro e delle organizzazioni.
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#4]
Gentileutente,
per rispondere alla sua principale domanda: si possono fare sia terapie farmacologiche che psicoterapeutiche, da sole o combinate.
Nel suo caso bisogna vedere qual'è la diagnosi.
Lo psichiatra con cui ha avuto contatti non la ha considerata depresso ma ha dato importanza ai suoi problemi contingenti attribuendo il suo stato all'esterno.
E' possibile, ma occorre anche vedere come si affrontano certe cose.
Secondo me, da quanto scrive, non è esclusa una sua tendenza al pessimismo e all'ansia, uno scoraggiarsi presto e qualche dubbio sulle sue scelte rinforzate da problemi oggettivi.
Il consiglio che le posso dare è di consutare un altro psichiatra ed eventualmente prendere farmaci o uno psicoterapeuta o entrambi e andare avanti.
Ci faccia sapere se crede
Auguri
per rispondere alla sua principale domanda: si possono fare sia terapie farmacologiche che psicoterapeutiche, da sole o combinate.
Nel suo caso bisogna vedere qual'è la diagnosi.
Lo psichiatra con cui ha avuto contatti non la ha considerata depresso ma ha dato importanza ai suoi problemi contingenti attribuendo il suo stato all'esterno.
E' possibile, ma occorre anche vedere come si affrontano certe cose.
Secondo me, da quanto scrive, non è esclusa una sua tendenza al pessimismo e all'ansia, uno scoraggiarsi presto e qualche dubbio sulle sue scelte rinforzate da problemi oggettivi.
Il consiglio che le posso dare è di consutare un altro psichiatra ed eventualmente prendere farmaci o uno psicoterapeuta o entrambi e andare avanti.
Ci faccia sapere se crede
Auguri
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 2.2k visite dal 17/01/2013.
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