Disturbo schizoaffettivo, ma dove?
Salve a tutti. Sono una ragazza di 21 anni a cui, circa un anno e mezzo fa è stato diagnosticato un disturbo schizoaffettivo. Spiego brevemente il mio problema. Ho avuto una vita normale fino ai 15 anni circa.In quel periodo vivevo una situazione familiare un pò difficile (mio padre non tornava a casa, era tendenzialmente violento e molto assente, la successiva separazione), io cominciavo a sentirmi a disagio nello stare con le altre persone, accusavo sentimenti di autosvalutazione, sensi di colpa, bassissima autostima, timidezza.Cominciai ad evitare di uscire di casa proprio per la paura di essere oggetto di critiche.Fu così purtoppo, che decisi di abbandonare la scuola. Cosa importante da dire è che divenni nel frattempo internet-dipendente, ci passavo le giornate, le notti, era l'unico "mondo" nella quale riuscivo ad aprirmi visto che nella vita reale la timidezza mi uccideva. Gli amici pian piano si allontanarono, io rimasi definitivamente sola. Questa situazione è durata fino ai 20 anni, 5 anni di solitudine e sofferenze. Soffrivo di insonnia (stavo al pc la notte e andavo a dormire la mattina), ansia parecchio forte ogni volta che dovevo "avventurarmi" fuori casa o quando avevo un qualsiasi impegno, perdita di peso (ero arrivata a 35 kg perchè saltavo tutti i pasti della giornata) estremissima timidezza, mi rifugiavo in un mondo di fantasia. Insomma, l'anno scorso dicisi, vista la situazione critica di andare da una psichiatra della ALS che inizialmente mi prescrive il Valdoxan, Tavor e Stilnox. Effettivamente mi sentivo meno depressa e avevo ricominciato a dormire la notte. Il problema poi è arrivato quando 3 settimane dopo (e la diagnosi di schizoaffettivo) decide di darmi l'antipsicotico, lo Zyprexa. La domanda è, che senso ha dare un antipsicotico a chi non ha MAI avuto sintomi psicotici? Non ho mai sofferto di allucinazioni, nè deliri, nè paranoie (se sentirsi inferiori agli altri può essere considerata paranoia), a detto sua la diagnosi sembrava essere quella perchè "vivevo in un mondo di fantasia", senza capire che comunque io sapevo e so bene cos'è la realtà e cos'è il mondo fantastico nella quale di tanto in tanto mi piace rifugiarmi. Con lo Zyprexa, iniziarono poi i problemi. Mi sembrava di viveve in un mondo ovattato, lentezza dei riflessi mentali, problemi di memoria e difficoltà di concentrazione (problemi mai avuti prima di allora, visto che ero una ragazza piuttosto intelligente e sensibile). Ho continuato solo perchè volevo ingrassare, di fatti presi quasi 10 chili. Ne ho parlato con lei di questi problemi, ma dava la colpa "al periodo". Adesso prendo il Seroquel 200 mg più la Mirtazapina, mi sento completamente cambiata. Non mi riconosco nel disturbo schizoaffettivo, vorrei smettere di prendere farmaci. Vorrei tornare ad essere lucida e spigliata. Penso che la psichiatra mi abbia rovinato. Secondo voi la sua diagnosi è stata giusta? Smettendo con i farmaci, potrò riacquistare più lucidità mentale o la cosa è irreversible?
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Gentile utente,
la diagnosi ricevuta non è corrispondente alla schizofrenia in cui sono presenti deliri o allucinazioni ed altri sintomi simili, ma fa riferimento ad una catalogazione differente riguardante i disturbi di personalità che ha caratteristiche differenti compresa la poca aderenza alla realtà che, riconosciuta come tale da lei, comunque non viene vissuta nella modalità corretta.
Quando una terapia non è completamente soddisfacente è possibile chiaramente discuterne con il proprio curante in modo da comprendere anche i motivi di una negazione di variazione.
la diagnosi ricevuta non è corrispondente alla schizofrenia in cui sono presenti deliri o allucinazioni ed altri sintomi simili, ma fa riferimento ad una catalogazione differente riguardante i disturbi di personalità che ha caratteristiche differenti compresa la poca aderenza alla realtà che, riconosciuta come tale da lei, comunque non viene vissuta nella modalità corretta.
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Utente
"compresa la poca aderenza alla realtà che, riconosciuta come tale da lei, comunque non viene vissuta nella modalità corretta", mi scusi se le faccio questa domanda, ma cosa intende esattamente con "modalità non corretta"? No perchè davvero vorrei sapere se posso o meno trovarmi o meno nei sintomi. Penso di aver vissuto la realtà anche in maniera fin troppo realista. Non ho vita sociale, ma la vorrei tanto. Curiosando su internet questo è l'unico sintomo "psicotico" che riconosco. Ma il ritiro sociale nel mio caso non è stato dettato dal fatto che non riuscissi a fare un'analisi lucida della realtà e quindi trovandomi poi in difficoltà con altri, ma per timidezza e insicurezza! Al contrario, informandomi su questo disturbo schizoaffettivo, vedo e leggo sempre, che in generale occorre avere i sintomi attivi della schizofrenia (allucinazioni ecc..). E davvero, non per pregiudizio, nè perchè consideri "folli" chi è affetto da tale malattia..ma non sono schizofrenica, nè pseduo tale! Ho molta fantasia (sempre avuta), questo indubbiamente, ma non avendo vita sociale, mi pare normale fantasticare, ogni tanto, di avercela. Perchè desidero con tutte le mie forze poter tornare alla vita che tutti fanno, ma è come se fossi impedita. Non è facile ripartire da zero. So solo che da quando prendo gli antipsicotici sono cambiata, ma in peggio. Ecco dei farmaci non mi ha detto nulla. Questi deficit cognitivi che dopo un anno di terapia mi ritrovo, come li risolvo? Sono cominciati con lo Zyprexa (che inizialmente mi dato addirittura dicendo "per aumentare l'appettito e per l'ansia" farmaci con cui si cura la schizofrenia per appettito e ansia? mah ), poi mi ha sostituito il farmaco, prima scalandolo e aggiungendo il Seroquel quindi per un mese ho preso DUE antipsicotici, e mi sembra adesso di essere peggiorata, soprattutto nell'ultimo mese. Ho paura a parlarne a lei direttamente (o meglio a farglielo presente di nuovo, visto che la prima volta mi ha liquidato dicendo che era il periodo o non era nulla), perchè insicura come sono ho paura di una sua reazione. Ammettiamo per un momento che la diagnosi sia esatta, e io voglia interrompere l'uso dei farmaci. Cosa succede? Quanto tempo ci vuole al mio organismo per ripulirsi totalmente da queste sostanze ed essere pulita? In tutta sincerità sono stanca di imbottirmi di pillole su pillole, voglio provare a prendere per mano la vita, a partire da me stessa, con le mie forze, da sola, ma soprattutto con la mia lucidità mentale che adesso non ho. E ritrovarsi con un cervello che va a rallentatore a 20 anni, le assicuro che non è una bella cosa, anzi è bruttissima, le dirò di più, non è tanto la timidezza che mi blocca ora come ora, quanto questi problemi. Avevo pensato di riprendere la scuola ma come faccio se non riesco a concentrarmi nè a memorizzare facilmente le cose ma soprattutto a capirle instantaneamente (e ci metto un bel pò per capire i concetti, soprattutto quando sono ansiosa). Davvero, io penso che la psichiatra mi abbia fatto più male che bene, e questa cosa mi preoccupa non poco. Da questo disturbo schizoaffettivo si guarisce? Sono condannata a vita? Aggiungo anche che ho fatto terapia individuale e di gruppo per alcuni mesi ma non è cambiato nulla. Anzi nell'ultimo periodo quando cercavo di parlare delle mie paure alla psicologa, spesso sbuffava e non mi rispondeva e quando lo faceva "non so cosa dirti", tutto ciò mentre le dicevo che non valgo nulla come persona e non mi piace il mio aspetto fisico. Ho trovato incompetenti, e la mia paura è che mi abbiano rovinato a vita, se i sintomi che ho adesso sono irreversibili. Preferivo avere l'ansia a mille, l'inibizione e tutto il resto, piuttosto che vivere con il cervello che fa fatica a connettere. Scusi lo sfogo.
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Gentile utente,
da alcune sue parole pare che non vi sia un rapporto di piena fiducia con i curanti.
E' vera questa ipotesi?
Tenga presente che, al contrario, è importante stabilire una relazione terapeutica sufficientemente "collaborativa", all'interno della quale comunicare qualsiasi dubbio, perplessità o divergenza.
Pertanto il consiglio è quello di valutare la possibilità di instaurare un rapporto di "lavoro terapeutico" reciprocamente soddisfacente: eventualmente senta anche un altro parere in merito al suo stato di salute.
da alcune sue parole pare che non vi sia un rapporto di piena fiducia con i curanti.
E' vera questa ipotesi?
Tenga presente che, al contrario, è importante stabilire una relazione terapeutica sufficientemente "collaborativa", all'interno della quale comunicare qualsiasi dubbio, perplessità o divergenza.
Pertanto il consiglio è quello di valutare la possibilità di instaurare un rapporto di "lavoro terapeutico" reciprocamente soddisfacente: eventualmente senta anche un altro parere in merito al suo stato di salute.
Cordialmente
www.psichiatriasessuologia.com
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Probabilmente gira molto in internet e leggendo le descrizioni non è ben chiaro che i sintomi psicotici che ritrova nelle letture sono considerati sintomo in assenza di altri sintomi legati a disturbi dell'umore.
Come ha già espresso il collega, il problema non è tanto sulla diagnosi in sè, condivisibile o meno, ma sulla possibilità di discutere serenamente con i suoi curanti i trattamenti e tutto quanto necessario.
Come ha già espresso il collega, il problema non è tanto sulla diagnosi in sè, condivisibile o meno, ma sulla possibilità di discutere serenamente con i suoi curanti i trattamenti e tutto quanto necessario.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 15.8k visite dal 06/09/2012.
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