Richiesta parere su terapia farmacologica
Spett.le Medicitalia,
Un amico sacerdote, con circa 16 anni di depressione alle spalle, lo scorso anno è stato ricoverato in TSO per reazioni dovute a gestione personale della terapia farmacologica sostenuta ( è stato sempre seguito, ha provato varie terapie - cognitivo comportamentale, analisi - di tipo Freudiano - pranoterapia, ecc.
Al suo ricovero gli hanno somministrato il litio, poi l'hanno tolto e sostituito con altri farmaci. E' stato degente in ospedale - Psichiatria - per un mese, poi è stato dimesso e trasferito in un'altra comunità della congregazione alla quale appartiene.
Quando è stato dimesso gli è stata assegnata la seguente terapia:
- Ziprexa (olanzapina)
- Talofen (30 gocce) - alla visita di controllo del mese scorso il primario gli aveva suggerito di passare a 50 gocce ma lui ha mantenuto le 30
- Dalmadorm (30 mg)
- Alprazolam (20 gocce)
Ieri per telefono mi ha detto che i risultati non sono dei migliori. Credo che qui ci giochi anche l'assuefazione. La notte non riesce a dormire le ore consigliate e di conseguenza di giorno si sente spossato e stanco.
La domanda che Vi rivolgo è questa: Non è troppo pesante la terapia?
Che danni collaterali possono provocare questi farmaci assunti così a lungo e così "strong"? Non si potrebbe provare a "scalare" qualcosina o puntare su una terapia meno invalidante?
Vi ringrazio moltissimo per l'attenzione. Il Vostro è davvero un ottimo aiuto. Complimenti e cordiali saluti.
Roberta
Un amico sacerdote, con circa 16 anni di depressione alle spalle, lo scorso anno è stato ricoverato in TSO per reazioni dovute a gestione personale della terapia farmacologica sostenuta ( è stato sempre seguito, ha provato varie terapie - cognitivo comportamentale, analisi - di tipo Freudiano - pranoterapia, ecc.
Al suo ricovero gli hanno somministrato il litio, poi l'hanno tolto e sostituito con altri farmaci. E' stato degente in ospedale - Psichiatria - per un mese, poi è stato dimesso e trasferito in un'altra comunità della congregazione alla quale appartiene.
Quando è stato dimesso gli è stata assegnata la seguente terapia:
- Ziprexa (olanzapina)
- Talofen (30 gocce) - alla visita di controllo del mese scorso il primario gli aveva suggerito di passare a 50 gocce ma lui ha mantenuto le 30
- Dalmadorm (30 mg)
- Alprazolam (20 gocce)
Ieri per telefono mi ha detto che i risultati non sono dei migliori. Credo che qui ci giochi anche l'assuefazione. La notte non riesce a dormire le ore consigliate e di conseguenza di giorno si sente spossato e stanco.
La domanda che Vi rivolgo è questa: Non è troppo pesante la terapia?
Che danni collaterali possono provocare questi farmaci assunti così a lungo e così "strong"? Non si potrebbe provare a "scalare" qualcosina o puntare su una terapia meno invalidante?
Vi ringrazio moltissimo per l'attenzione. Il Vostro è davvero un ottimo aiuto. Complimenti e cordiali saluti.
Roberta
[#1]
Gentile utente,
la Sua domanda fa considerare in primo luogo le problematiche di privacy, chiedendo un parere riguardante un'altra persona. Perché il Suo amico non può scriverci lui stesso ?
Inoltre, su questo sito e in generale in internet non si può consigliare o suggerire le modifiche delle cure prescritte (se è stata questa l'intenzione). La decisione su tali eventuali modifiche vanno prese dallo specialista che segue la persona; come il primo ed essenziale passo, la persona interessata deve aggiornare il proprio specialista sulla situazione.
la Sua domanda fa considerare in primo luogo le problematiche di privacy, chiedendo un parere riguardante un'altra persona. Perché il Suo amico non può scriverci lui stesso ?
Inoltre, su questo sito e in generale in internet non si può consigliare o suggerire le modifiche delle cure prescritte (se è stata questa l'intenzione). La decisione su tali eventuali modifiche vanno prese dallo specialista che segue la persona; come il primo ed essenziale passo, la persona interessata deve aggiornare il proprio specialista sulla situazione.
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#2]
Ex utente
Gentile Dr. Gukov,
Le è stato chiesto un parere non sulla persona ma sulla terapia in genere.
E' logico che è lo psichiatra di riferimento che ha parola in capitolo ma è anche vero e Lei lo sa meglio di me, che ci sono Psichiatri (specie quelli dei CIM) che vanno avanti all'infinito a propinare la stessa terapia per anni e anni, senza fare rivalutazioni, specie se non ci sono grosse problematiche insorgenti dall'uso dei farmaci prescritti.
Ci sono anche diverse linee di azione che ogni psichiatra attua, per cui non è detto che ci si debba "consegnare" e/o ritenere Vangelo sempiterno ciò che uno specialista decide. Si possono chiedere altri pareri " a campione" sulla stessa patologia, su una terapia, senza necessariamente tirare in ballo la privacy. Io le ho presentato un caso anonimo e desidererei avere un parere generico di un altro psichiatra come lo è Lei e basta.
Le ho scritto io perchè è come se fossi sua sorella per questa persona e, non ultimo, il soggetto non ha nè la possibilità nè la dimestichezza di utilizzare mezzi informatici come stiamo facendo noi in questo momento. Non tutti hanno i mezzi e le basi sufficienti per farlo, a volte ce ne dimentichiamo.
Spero che ora avrà compreso migliormente lo spirito che vuole avere la mia richiesta .
Aspetto comunque un Suo cortese riscontro.
La ringrazio.
Cordiali saluti
Le è stato chiesto un parere non sulla persona ma sulla terapia in genere.
E' logico che è lo psichiatra di riferimento che ha parola in capitolo ma è anche vero e Lei lo sa meglio di me, che ci sono Psichiatri (specie quelli dei CIM) che vanno avanti all'infinito a propinare la stessa terapia per anni e anni, senza fare rivalutazioni, specie se non ci sono grosse problematiche insorgenti dall'uso dei farmaci prescritti.
Ci sono anche diverse linee di azione che ogni psichiatra attua, per cui non è detto che ci si debba "consegnare" e/o ritenere Vangelo sempiterno ciò che uno specialista decide. Si possono chiedere altri pareri " a campione" sulla stessa patologia, su una terapia, senza necessariamente tirare in ballo la privacy. Io le ho presentato un caso anonimo e desidererei avere un parere generico di un altro psichiatra come lo è Lei e basta.
Le ho scritto io perchè è come se fossi sua sorella per questa persona e, non ultimo, il soggetto non ha nè la possibilità nè la dimestichezza di utilizzare mezzi informatici come stiamo facendo noi in questo momento. Non tutti hanno i mezzi e le basi sufficienti per farlo, a volte ce ne dimentichiamo.
Spero che ora avrà compreso migliormente lo spirito che vuole avere la mia richiesta .
Aspetto comunque un Suo cortese riscontro.
La ringrazio.
Cordiali saluti
[#3]
Gentile Signora,
capisco i motivi da Lei spiegati che fanno sì che ci sta scrivendo Lei a nome del Suo amico e non lui stesso.
Tuttavia, come medico, non posso accettare il Suo atteggiamento verso il parere medico. Lei scrive:
<<..Le è stato chiesto un parere non sulla persona ma sulla terapia in genere..>>
e
<<..Si possono chiedere altri pareri " a campione" sulla stessa patologia, su una terapia, senza necessariamente tirare in ballo la privacy..>>
In ogni professione ci sono i propri principi. Non si può dare un parere su una terapia medica senza prendere in considerazione la persona (alla quale questa è stata prescritta) nella sua individualità e la malattia per la quale è stata prescritta, che in ogni persona si manifesta in modo differente.
Se sta raccogliendo i pareri "a campione", otterà una bella indagine dal punto di vista statistico, ma rischia di trovarsi nella situazione nella quale non c'è un parere unico e, dal punto di vista della cura della persona, manca comunque un riferimento medico specialistico del quale fidare (e, a proposito, è proprio questo il problema principale nel vostro caso (!), prima della terapia e la sua gestione, che ne risente), perché dello specialista curante non vi fidate e tutti gli altri specialisti interpellati non sono più di un caso statitico del "campione".
Per quanto riguarda la privacy, questa centra sempre:
presumo che il Suo amico Le ha dato il proprio consenso per chiedere un consulto a noi. Se no, glielo bisogna chiedere.
Non posso escludere che, sentendo che lui non stia bene, Lei si è preoccupata, ed ha deciso di chiedere gli altri pareri (è umano). Bisogna, comunque (lo ripeto) che lui ne dia il consenso.
Se lo ha già dato, lo richieda, perché in tale occasione, può anche chiedere a lui di riportare nuovamente la diagnosi a lui data alla dimissione, visto che la cura non corrisponde a quella di un disturbo depressivo nel senso stretto e perché la "depressione" spesso non è una diagnosi.
La "depressione" è una parola e spesso è un modo meno traumatico di spiegare al paziente o di percepire soggettivamente da parte sua un disturbo caratterizzato anche da sintomi depressivi, ma non sempre corrisponde alla diagnosi medica fatta e per la quale la persona viene curata.
Una persona però ha il diritto di non voler dire e non dire la diagnosi data, ed è sicuramente il suo dirito, soprattutto se si tratta di una diagnosi di una malattia pschiatrica.
Spero che ora Lei riesce a capire anche i miei "scrupoli".
capisco i motivi da Lei spiegati che fanno sì che ci sta scrivendo Lei a nome del Suo amico e non lui stesso.
Tuttavia, come medico, non posso accettare il Suo atteggiamento verso il parere medico. Lei scrive:
<<..Le è stato chiesto un parere non sulla persona ma sulla terapia in genere..>>
e
<<..Si possono chiedere altri pareri " a campione" sulla stessa patologia, su una terapia, senza necessariamente tirare in ballo la privacy..>>
In ogni professione ci sono i propri principi. Non si può dare un parere su una terapia medica senza prendere in considerazione la persona (alla quale questa è stata prescritta) nella sua individualità e la malattia per la quale è stata prescritta, che in ogni persona si manifesta in modo differente.
Se sta raccogliendo i pareri "a campione", otterà una bella indagine dal punto di vista statistico, ma rischia di trovarsi nella situazione nella quale non c'è un parere unico e, dal punto di vista della cura della persona, manca comunque un riferimento medico specialistico del quale fidare (e, a proposito, è proprio questo il problema principale nel vostro caso (!), prima della terapia e la sua gestione, che ne risente), perché dello specialista curante non vi fidate e tutti gli altri specialisti interpellati non sono più di un caso statitico del "campione".
Per quanto riguarda la privacy, questa centra sempre:
presumo che il Suo amico Le ha dato il proprio consenso per chiedere un consulto a noi. Se no, glielo bisogna chiedere.
Non posso escludere che, sentendo che lui non stia bene, Lei si è preoccupata, ed ha deciso di chiedere gli altri pareri (è umano). Bisogna, comunque (lo ripeto) che lui ne dia il consenso.
Se lo ha già dato, lo richieda, perché in tale occasione, può anche chiedere a lui di riportare nuovamente la diagnosi a lui data alla dimissione, visto che la cura non corrisponde a quella di un disturbo depressivo nel senso stretto e perché la "depressione" spesso non è una diagnosi.
La "depressione" è una parola e spesso è un modo meno traumatico di spiegare al paziente o di percepire soggettivamente da parte sua un disturbo caratterizzato anche da sintomi depressivi, ma non sempre corrisponde alla diagnosi medica fatta e per la quale la persona viene curata.
Una persona però ha il diritto di non voler dire e non dire la diagnosi data, ed è sicuramente il suo dirito, soprattutto se si tratta di una diagnosi di una malattia pschiatrica.
Spero che ora Lei riesce a capire anche i miei "scrupoli".
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 1.5k visite dal 24/08/2012.
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