Urgente: cortisone e schizzofrenia
Salve dottori, mia sorella soffre di Les, in questo momento ha un riacutizzarsi del problema e sta prendendo il cortisone. Ora il problema è che tutte le volte che prende cortisone a dosi elevate credo, gli si sviluppa una forma forte di schizzofrenia, con ansia, attacchi di panico, comportamento violento etc, tanto che la prima volta non sapendo il problema abbiamo dovuto fare un ricovero coatto. Ora che sta prendendo il cortisone già noto alcune avvisaglie del problema. Il fatto più grave è che fà anche dialisi un giorno si ed uno no e sinceramente non sò come comportarmi qualora dovesse avere una crisi. Cosa mi consigliate di fare? Vi prego aiutatemi perchè non ho soluzioni. P.s. Se gli prende una crisi difficilmente si farà convincere ad andare al pronto soccorso. Ulteriori dati...l'ultima crisi l'ha avuta circa 3 anni fà, non sò se poi non ha più avuto bisogno di cortisone. Senza cortisone è una persona assolutamente senza problemi psichici. Grazie.
[#1]
Gentile utente,
chi le ha detto che si tratta di schizofrenia?
A parte questo il comportamento violento visto che è prevedibile potrebbe essere prevenuto con la contmporanea somministrazione di altri farmaci, ma questo dovrebbero dirglielo i medici.
Eventualmente la somministrazione del cortisone dovrebbe avvenire in ambiente ospedaliero dove sua sorella potrebbe essere meglio controllata.
Cordiali saluti
chi le ha detto che si tratta di schizofrenia?
A parte questo il comportamento violento visto che è prevedibile potrebbe essere prevenuto con la contmporanea somministrazione di altri farmaci, ma questo dovrebbero dirglielo i medici.
Eventualmente la somministrazione del cortisone dovrebbe avvenire in ambiente ospedaliero dove sua sorella potrebbe essere meglio controllata.
Cordiali saluti
Massimo Lai, MD
[#2]
Gentile utente,
due cose, nel chiaro ordine di importanza, però sono entrambe importanti, e sarebbe il caso che i rispettivi specialisti si mettessero in contatto fra di loro per una valutazione più ottimale. D'accordo con il collega che sarebbe il caso, conoscendo i precedenti, di fare il ciclo di terapia in ambiente ospedaliero, dove anche le consulenze fra gli specialisti sarebbero facilitate.
1) appena possibile, mettersi in contatto con i medici che seguono la Sua sorella per la sua malattia autoimmune (LES). Prima: per avvisarli dei sintomi in concomitanza con 'inizio della terapia e che si sono manfestati anche in passato in tali circostanze con l'evoluzione da Lei descritta. Inoltre: visto che si è trattato sempre dei periodi nei quali è stata necessaria una terapia corticosteroidea, posso ipotizzare che sono stati periodi di scompenso del LES, che è una malattia che nel proprio decorso naturale nelle fasi di scompenso può manifestarsi anche con sintomi psicotici o comunque coi sintomi della sfera psichica, per cui, non escluderei che una parte della sintomatologia psichica poteva dipendere dallo stato di compenso insufficiente della malattia autoimmune in quei periodi (anche con la terapia steroidea). E ancora: è importante fare notare che la terapia corticosteroidea, come lo sapete meglio di me voi ed i medici della Sua sorella, è una terapia oggi non d'elezione, si usa solitamente nelle fasi acute e quando non è possibile usare o si preferisce di non usare gli altri farmaci.
La Sua sorella segue una terapia a lungo termine, "di fondo" per il LES ? Se no, o se tale cura non è sufficientemente efficace, questo potrebbe spiegare anche le riesacerbazioni. Nelle riesacerbazioni del LES sono stati usati o è possibile associare anche gli altri farmaci specifici ? (cercando in tal modo di ridurre le dosi del corticosteroide, che forse non è stato nemmeno di efficacia ottimale, visti i sintomi psichici, che possono essere anche le manifestazioni del LES).
2) in ogni modo fare una visita psichiatrica dal vivo, prima che si sia manifestata la crisi. E ciò per più motivi. Uno: per diagnosticare correttamente i sintomi iniziali di quello che Lei descrive come "una forma forte di schizofrenia" (lo chiamerei, in modo più neutro, "episodi psicotici", perché la "schizofrenia" è una malattia cronica e progressivamente peggiorativa che non si manifesta solo episodicamente). Due: per valutare in modo più approfondito e dal punto di vista specialistico il caso e la sua storia (appunto, anche se negli episodi precedenti fosse diagnosticata la "schizofrenia", bisognerebbe rivalutarlo; dall'altra parte, non escluderei la presenza di una malattia psichica importante, perché non è la regola nelle persone psichicamente sane che la terapia corticosteroidea induca i sintomi psicotici; è probabile che ci sia una predisposizione nella forma di una malattia psichica, non necessariamente la schizofrenia; potrebbe essere anche il LES stesso, ma non mi fermerei solo su questa ipotesi, bisogna indagare oltre, un po' tutta la storia di vita e di malattia della Sua sorella; talvolta, ad esempio, la predisposizione è nella forma di un disturbo di umore latente). Terzo: per impostare eventualmente una cura preventiva (episodica o a lungo termine: quello lo si decide fra lo psichiatra e la paziente).
due cose, nel chiaro ordine di importanza, però sono entrambe importanti, e sarebbe il caso che i rispettivi specialisti si mettessero in contatto fra di loro per una valutazione più ottimale. D'accordo con il collega che sarebbe il caso, conoscendo i precedenti, di fare il ciclo di terapia in ambiente ospedaliero, dove anche le consulenze fra gli specialisti sarebbero facilitate.
1) appena possibile, mettersi in contatto con i medici che seguono la Sua sorella per la sua malattia autoimmune (LES). Prima: per avvisarli dei sintomi in concomitanza con 'inizio della terapia e che si sono manfestati anche in passato in tali circostanze con l'evoluzione da Lei descritta. Inoltre: visto che si è trattato sempre dei periodi nei quali è stata necessaria una terapia corticosteroidea, posso ipotizzare che sono stati periodi di scompenso del LES, che è una malattia che nel proprio decorso naturale nelle fasi di scompenso può manifestarsi anche con sintomi psicotici o comunque coi sintomi della sfera psichica, per cui, non escluderei che una parte della sintomatologia psichica poteva dipendere dallo stato di compenso insufficiente della malattia autoimmune in quei periodi (anche con la terapia steroidea). E ancora: è importante fare notare che la terapia corticosteroidea, come lo sapete meglio di me voi ed i medici della Sua sorella, è una terapia oggi non d'elezione, si usa solitamente nelle fasi acute e quando non è possibile usare o si preferisce di non usare gli altri farmaci.
La Sua sorella segue una terapia a lungo termine, "di fondo" per il LES ? Se no, o se tale cura non è sufficientemente efficace, questo potrebbe spiegare anche le riesacerbazioni. Nelle riesacerbazioni del LES sono stati usati o è possibile associare anche gli altri farmaci specifici ? (cercando in tal modo di ridurre le dosi del corticosteroide, che forse non è stato nemmeno di efficacia ottimale, visti i sintomi psichici, che possono essere anche le manifestazioni del LES).
2) in ogni modo fare una visita psichiatrica dal vivo, prima che si sia manifestata la crisi. E ciò per più motivi. Uno: per diagnosticare correttamente i sintomi iniziali di quello che Lei descrive come "una forma forte di schizofrenia" (lo chiamerei, in modo più neutro, "episodi psicotici", perché la "schizofrenia" è una malattia cronica e progressivamente peggiorativa che non si manifesta solo episodicamente). Due: per valutare in modo più approfondito e dal punto di vista specialistico il caso e la sua storia (appunto, anche se negli episodi precedenti fosse diagnosticata la "schizofrenia", bisognerebbe rivalutarlo; dall'altra parte, non escluderei la presenza di una malattia psichica importante, perché non è la regola nelle persone psichicamente sane che la terapia corticosteroidea induca i sintomi psicotici; è probabile che ci sia una predisposizione nella forma di una malattia psichica, non necessariamente la schizofrenia; potrebbe essere anche il LES stesso, ma non mi fermerei solo su questa ipotesi, bisogna indagare oltre, un po' tutta la storia di vita e di malattia della Sua sorella; talvolta, ad esempio, la predisposizione è nella forma di un disturbo di umore latente). Terzo: per impostare eventualmente una cura preventiva (episodica o a lungo termine: quello lo si decide fra lo psichiatra e la paziente).
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#3]
Gentile utente,
Il cortisone può indurre agitazione psicomotoria e anche deliri e allucinazioni, specialmente in soggetti predisposti o che già si sa soffrire di disturbi mentali. Ansia semplice, insonnia, irritabilità sono comuni nei pazienti che soffrono di ansia.
Penso che il termine schizofrenia lo usi impropriamente per significare i sintomi che poi riferisce, altrimenti ha un significato diverso, è una malattia ben precisa.
Anche il Les comunque si può associare a disturbi psichiatrici, per cui farei valutare comunque la situazione, anche perché se la persona necessita di assumere cortisonici come terapia immunologica, è necessario prevenire e schermare questo tipo di reazioni collaterali.
Il cortisone può indurre agitazione psicomotoria e anche deliri e allucinazioni, specialmente in soggetti predisposti o che già si sa soffrire di disturbi mentali. Ansia semplice, insonnia, irritabilità sono comuni nei pazienti che soffrono di ansia.
Penso che il termine schizofrenia lo usi impropriamente per significare i sintomi che poi riferisce, altrimenti ha un significato diverso, è una malattia ben precisa.
Anche il Les comunque si può associare a disturbi psichiatrici, per cui farei valutare comunque la situazione, anche perché se la persona necessita di assumere cortisonici come terapia immunologica, è necessario prevenire e schermare questo tipo di reazioni collaterali.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
[#4]
Utente
Vi aggiorno sulla mia situazione. Lunedi 28 maggio il centro dialisi che le fà terapia chiama il 118 perchè in preda ad agitazione e si rifiuta di fare dialisi, fortunatamente senza T.S.O. La portano al San Giovanni (Roma) gli danne dei tranquillanti che non gli fanno effetto, la portano a fare dialisi ma chiaramente senza effetto. Nel pomeriggio riesco ad arrivare io al pronto soccorso, era molto agitata, diceva cose senza senso e rifiutava di collaborare. Dopo un colloquio molto difficile con lo psichiatra e con la mia pazienza che mi sta portando sull'orlo di una crisi di nervi, riusciamo a fargli prendere delle gocce per via orale(non so cosa). Dopo circa mezzora/ un'ora riesca ad addormentarsi. Il giorno dopo è più tranquilla, fà dialisi e vuole firmare per uscire (chiaramente io sapevo che non era in condizione), quando gli dicono che mi avrebbero chiamato prima di farla firmare rinuncia. In serata viene dimessa perchè non sussistevano le basi per un ricovero ed era vigile. Io sapevo che non doveva andare così. Esce dall'ospedale e passa i giorni successivi tra momenti di agitazione, lieve confusione, paranoia etc. Lunedi 28 (ieri) a distanza di una settimana mi richiama il centro dialisi dicendomi che non era in buono stato. Riescono a fargli terminare la dialisi e la convincono ad andare in ospedale. La vado a prendere e la porto al Sant Eugenio dove la seguono per il Les. Passa 2 ore di assoluta iperattività, panico, paure incontrollate, discorsi confusi. Dopo aver parlato con lo Psichiatra e con il Nefrologo che conosce e che si è arrabbiato perchè non sta seguendo le cure a casa per il Les, si convince a fare le analisi del sangue. Un'altra ora di attesa e di vigilanza per non farla andare in escandescenza, esce dalla stanza perchè non gli piace, poi rientra, poi prende le borse, poi le lascia, poi mi insulta etc etc. Dopo un pò ed anche perchè stremata dallo stress e dalla dialisi riescce a calmarsi e torna collaborativa e lucida. Analisi del sangue buone, per il nefrologo non sussiste necessità di ricovero, lo psichiatra la guarda è dice che è in condizioni lucide. Viene dimessa. Questa notte ha dormito, in mattinata era lucida ma agitata, verso pranzo sembrava lucida e abbastanza tranquilla, tanto che esce e fa dei giri con una sua amica. Ritorna a casa, la vado a trovare, ora è abbastanza lucida ma agitata. Domani deve fare dialisi. Io non sò più cosa fare e come aiutarla. Lo stress mi sta uccidendo, oggi mi hanno prescritto dello xanas anche a me perchè non dormo più e comincio ad avere attacchi di panico. Non sò se bisognerà fare un nuovo pronto soccorso o un tso nei prossimi giorni. Nessuno riesce ad aiutarci ed io sto per crollare. Lei è anche indipendente, abita da sola anche se vicino di porta a me. Prende la macchina, e questo è un pericolo per lei e per gli altri. Conosco mia sorella e sò che splendita ragazza è, con un lavoro e divertente. Non è questa!! VI PREGO AIUTATEMI.
[#5]
Gentile utente,
se lo psichiatra dell'ospedale ha deciso che la Sua sorella era "lucida" e dimissibile, significa che la Sua sorella era in grado di esprimere la propria volontà, che nella quotidianità non si aspetta che possa disorientarsi ecc. Ed in effetti, come Lei scrive, la Sua sorella, al ritorno a casa, non ha dimostrato comportamenti a rischio, ed i suoi comportamenti sono stati, da come li descrive Lei, adeguati. A conferma della decisione rispetto alla dimissibilità.
Questo significa che forse Lei si preoccupa eccessivamente delle capacità dell'adattamento della Sua sorella alla realtà. Sembra inoltre che, quando questa realtà è familiare alla Sua sorlla, costituisce meno il fattore di rischio. Inoltre, dal punto di vista formale, se la Sua sorella vive in maniera indipendente, e se è stata considerata in grado di decidere da sola, non assume Lei la responsabilità di tutti gli ipotizzabili rischi del suo comportamento.
Ovviamente il problema non è adesso, ma nell'imprevedibilità del quadro clinico nei giorni successivi.
Bisogna dire che le decisioni mediche fatte nel momento critico rispetto alle questioni come la "dimissibilità" o "la lucidità", senza toglierle la validità (limitata a a tali quesiti), non tengono in conto (e formalmente non sono chiamate a prendere in conto):
lo stato di alterazione psichica latente che corrisponde alla possibile malattia psichica, i modi per stabilizzare tale alterazione e per minimizzare il rischio di recidive.
(tali questioni devono essere poste magari in modo specifico davanti allo psichiatra che viene chiamato non per valutare o/e per risolvere il momento di crisi, ma appositamente per una valutazione più approfondita).
Sarebbe stato ideale se la Sua sorella facesse una visita da uno psichiatra prima del ciclo della dialisi, o, se adesso, allora al di fuori di tale contesto (che si è rilevato più un fattore di rischio che un ambiente di protezione). Magari più ottimale sarebbe fare una valutazione psichiatrica nell'ambito neutro, dove giunge in modo specifico per la questione dell'alterazione psichica. Però capisco che ora è difficilmente attuabile.
Una delle possibilità è di chiedere una visita domiciliare ai Servizi della Salute Mentale o, ancora prima, da parte del Medico di Base (il quale potrebbe sollecitare l'intervento di questi servizi): sempre se la Sua sorella non accettasse di recarsi di propria volontà in visita psichiatrica, il che sarebbe meglio.
L'alternativa è di recarsi all'ambulatorio della Clinica Psichiatrica dell'Ospedale del quale fa parte il reparto dialisi.
Un parere di uno psichiatra che possa visitare la Sua sorella in tale modalità neutra e indipendente, potrebbe aiutare ad altri medici a inquadrare meglio la situazione e a sensibilizzarli alle problematiche connesse, fino, eventualmente, alla valutazione dell'opportunità di trasferimento in reparto di psichiatria per una valutazione più approfondita.
In altre parole, ci vuole uno specialista che, con il proprio parere orienti la vicenda.
Una delle possibilità (fra le prime) è anche di parlare con il responsabile (o il primario) del reparto della dialisi.
Inoltre,
se per accompagnare la Sua sorella a casa e per effettuare la dimissione chiamano Lei, e Lei non è d'accordo, può anche dichiarare di non essere disponibile a farlo, spiegandone i motivi. Lei non è un medico e non decide sulla dimissione della Sua sorella, ma può decidere sul proprio comportamento e sulle proprie decisioni.
In effetti, analizzando in maggior dettaglio la situazione dal punto di vista formale, se la Sua sorella può decidere da sola, viene considerata autonoma e viene considerata dimissibile, allora non dovrebbe esserci nemmeno la necessità che fosse accompagnata da Lei e che la Sua presenza fosse un fattore vincolante. Ma se Lei è sempre presente, allora la decisione della dimissione è più "facile", perché "c'è un parente che accompagna". Dunque, formalmente il Suo parere e la Sua presenza non è vincolante, ma in pratica potrebbe essere di sì.
Se Lei non si sente sicura di accompagnare a casa la sorella, ha il diritto di non farlo. Allora è possibile che le decisioni che si stanno a fare siano più attenti alla situazione o comunque si inizia a cercare le soluzioni alternative.
se lo psichiatra dell'ospedale ha deciso che la Sua sorella era "lucida" e dimissibile, significa che la Sua sorella era in grado di esprimere la propria volontà, che nella quotidianità non si aspetta che possa disorientarsi ecc. Ed in effetti, come Lei scrive, la Sua sorella, al ritorno a casa, non ha dimostrato comportamenti a rischio, ed i suoi comportamenti sono stati, da come li descrive Lei, adeguati. A conferma della decisione rispetto alla dimissibilità.
Questo significa che forse Lei si preoccupa eccessivamente delle capacità dell'adattamento della Sua sorella alla realtà. Sembra inoltre che, quando questa realtà è familiare alla Sua sorlla, costituisce meno il fattore di rischio. Inoltre, dal punto di vista formale, se la Sua sorella vive in maniera indipendente, e se è stata considerata in grado di decidere da sola, non assume Lei la responsabilità di tutti gli ipotizzabili rischi del suo comportamento.
Ovviamente il problema non è adesso, ma nell'imprevedibilità del quadro clinico nei giorni successivi.
Bisogna dire che le decisioni mediche fatte nel momento critico rispetto alle questioni come la "dimissibilità" o "la lucidità", senza toglierle la validità (limitata a a tali quesiti), non tengono in conto (e formalmente non sono chiamate a prendere in conto):
lo stato di alterazione psichica latente che corrisponde alla possibile malattia psichica, i modi per stabilizzare tale alterazione e per minimizzare il rischio di recidive.
(tali questioni devono essere poste magari in modo specifico davanti allo psichiatra che viene chiamato non per valutare o/e per risolvere il momento di crisi, ma appositamente per una valutazione più approfondita).
Sarebbe stato ideale se la Sua sorella facesse una visita da uno psichiatra prima del ciclo della dialisi, o, se adesso, allora al di fuori di tale contesto (che si è rilevato più un fattore di rischio che un ambiente di protezione). Magari più ottimale sarebbe fare una valutazione psichiatrica nell'ambito neutro, dove giunge in modo specifico per la questione dell'alterazione psichica. Però capisco che ora è difficilmente attuabile.
Una delle possibilità è di chiedere una visita domiciliare ai Servizi della Salute Mentale o, ancora prima, da parte del Medico di Base (il quale potrebbe sollecitare l'intervento di questi servizi): sempre se la Sua sorella non accettasse di recarsi di propria volontà in visita psichiatrica, il che sarebbe meglio.
L'alternativa è di recarsi all'ambulatorio della Clinica Psichiatrica dell'Ospedale del quale fa parte il reparto dialisi.
Un parere di uno psichiatra che possa visitare la Sua sorella in tale modalità neutra e indipendente, potrebbe aiutare ad altri medici a inquadrare meglio la situazione e a sensibilizzarli alle problematiche connesse, fino, eventualmente, alla valutazione dell'opportunità di trasferimento in reparto di psichiatria per una valutazione più approfondita.
In altre parole, ci vuole uno specialista che, con il proprio parere orienti la vicenda.
Una delle possibilità (fra le prime) è anche di parlare con il responsabile (o il primario) del reparto della dialisi.
Inoltre,
se per accompagnare la Sua sorella a casa e per effettuare la dimissione chiamano Lei, e Lei non è d'accordo, può anche dichiarare di non essere disponibile a farlo, spiegandone i motivi. Lei non è un medico e non decide sulla dimissione della Sua sorella, ma può decidere sul proprio comportamento e sulle proprie decisioni.
In effetti, analizzando in maggior dettaglio la situazione dal punto di vista formale, se la Sua sorella può decidere da sola, viene considerata autonoma e viene considerata dimissibile, allora non dovrebbe esserci nemmeno la necessità che fosse accompagnata da Lei e che la Sua presenza fosse un fattore vincolante. Ma se Lei è sempre presente, allora la decisione della dimissione è più "facile", perché "c'è un parente che accompagna". Dunque, formalmente il Suo parere e la Sua presenza non è vincolante, ma in pratica potrebbe essere di sì.
Se Lei non si sente sicura di accompagnare a casa la sorella, ha il diritto di non farlo. Allora è possibile che le decisioni che si stanno a fare siano più attenti alla situazione o comunque si inizia a cercare le soluzioni alternative.
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Gentile utente,
Quando sussistono condizioni per cui di fronte ad un pericolo prevedibile o in atto la persona non è in grado di proteggersi perché non ha un contatto con la realtà, il TSO è una misura auspicabile, si tratta soltanto di uno strumento con cui si riescono ad applicare delle cure. Se la persona è agitata è opportuno che i medici la vedano e intervengano subito.
Quando sussistono condizioni per cui di fronte ad un pericolo prevedibile o in atto la persona non è in grado di proteggersi perché non ha un contatto con la realtà, il TSO è una misura auspicabile, si tratta soltanto di uno strumento con cui si riescono ad applicare delle cure. Se la persona è agitata è opportuno che i medici la vedano e intervengano subito.
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 27.2k visite dal 28/05/2012.
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