Paura di tornare al lavoro,brutta sensazione
donna 33 anni
dopo un periodo di circa 6 mesi di disoccupaz(mi sono licenziata causa malattia oncologica che ora ho risolto) e dopo un esperienza di lavoro di diversi anni non molto gratificante in termini di soddisfazione e autostima, mi trovo ora ad avere una nuova opportunità di lavoro e provo la sensazione di non essere all'altezza del ruolo, mi sento come se non sapessi fare nulla di nulla, ho una terrificante paura di fare delle brutte figure, di non farcela fisicamente in termini di stress,di preoccupazioen, di prendermela troppo a cuore e di piombare di nuovo nella sensazione di chiudermi ancora dentro ad un ufficio tutta l'intera giornata(sarebbe full time..)di non "godermi la giornata" come vorrei.....avrei preferito un part ime ma oggi come oggi ho trovato solo questa opportunità....che fare :accettare e rassegnarmi o attendere e cercare ancora nella speranza di un part time che psicologicamente mi renderebbe più felice?
qual'è il modo per vivere bene queste sensazioni di paura?se esite....
grazie
dopo un periodo di circa 6 mesi di disoccupaz(mi sono licenziata causa malattia oncologica che ora ho risolto) e dopo un esperienza di lavoro di diversi anni non molto gratificante in termini di soddisfazione e autostima, mi trovo ora ad avere una nuova opportunità di lavoro e provo la sensazione di non essere all'altezza del ruolo, mi sento come se non sapessi fare nulla di nulla, ho una terrificante paura di fare delle brutte figure, di non farcela fisicamente in termini di stress,di preoccupazioen, di prendermela troppo a cuore e di piombare di nuovo nella sensazione di chiudermi ancora dentro ad un ufficio tutta l'intera giornata(sarebbe full time..)di non "godermi la giornata" come vorrei.....avrei preferito un part ime ma oggi come oggi ho trovato solo questa opportunità....che fare :accettare e rassegnarmi o attendere e cercare ancora nella speranza di un part time che psicologicamente mi renderebbe più felice?
qual'è il modo per vivere bene queste sensazioni di paura?se esite....
grazie
[#1]
Gentile utente,
Lei scrive:
<<..provo la sensazione di non essere all'altezza del ruolo, mi sento come se non sapessi fare nulla di nulla, ho una terrificante paura di fare delle brutte figure, di non farcela fisicamente in termini di stress, di preoccupazione, di prendermela troppo a cuore e di piombare di nuovo nella sensazione di chiudermi ancora dentro ad un ufficio tutta l'intera giornata (sarebbe full time..) di non "godermi la giornata" come vorrei..>>
Coi limiti di un consulto solaente via internet, ho l'impressione che la risposta ottimale a queste problematiche non è nei termini di "part-time" contro il "full-time".
Un certo ruolo potrebbe giocare lo stato depressivo post- malattia che La condiziona nella percezione del futuro (è solo un'ipotesi, per fare una diagnosi dello stato depressivo ci vuole una visita specialistica dal vivo).
Inoltre, non escludo che proprio il tipo di lavoro (nei termini delle mansioni o della professione) possa essere in fondo non accettato da Lei, non essere consono con le Sue aspirazioni. Ed, infine, è anche possibile che le esperienze relazionali pregresse al posto di lavora siano state un fattore di condizionamento negativo (in effetti, molto dipende anche dal clima relazionale al lavoro, dall'ambiente di lavoro).
Lei scrive:
<<..provo la sensazione di non essere all'altezza del ruolo, mi sento come se non sapessi fare nulla di nulla, ho una terrificante paura di fare delle brutte figure, di non farcela fisicamente in termini di stress, di preoccupazione, di prendermela troppo a cuore e di piombare di nuovo nella sensazione di chiudermi ancora dentro ad un ufficio tutta l'intera giornata (sarebbe full time..) di non "godermi la giornata" come vorrei..>>
Coi limiti di un consulto solaente via internet, ho l'impressione che la risposta ottimale a queste problematiche non è nei termini di "part-time" contro il "full-time".
Un certo ruolo potrebbe giocare lo stato depressivo post- malattia che La condiziona nella percezione del futuro (è solo un'ipotesi, per fare una diagnosi dello stato depressivo ci vuole una visita specialistica dal vivo).
Inoltre, non escludo che proprio il tipo di lavoro (nei termini delle mansioni o della professione) possa essere in fondo non accettato da Lei, non essere consono con le Sue aspirazioni. Ed, infine, è anche possibile che le esperienze relazionali pregresse al posto di lavora siano state un fattore di condizionamento negativo (in effetti, molto dipende anche dal clima relazionale al lavoro, dall'ambiente di lavoro).
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#2]
Utente
ci ha preso in pieno dottore.
credo siamo tutte e tre le cose messe insieme...!
anche se non direi di essere in uno stato depressivo post malattia, anzi se penso a questo visto che si è risolta bene sono molto felice e sento dentro di me una piacevole sensaz di leggerezza.
in merito al tipo di lavoro quando lei srive "nei termini delle mansioni o della professione possa essere in fondo non accettato da Lei" forse è vero ma credo di essere una persona senza molte ambizioni in campo lavorativo(e non intendo questo una pecca)...ho la capacità di adattarmi a tutto e quando faccio una cosa dopo un po comincia a piacermi, ci trovo il lato bello insomma....
sicuramente come ha scritto anche lei le esperienze relazionali pregresse al posto di lavora sono state un fattore di condizionamento negativo (in effetti, molto dipende anche dal clima relazionale al lavoro, dall'ambiente di lavoro). infatti nel mio precedente posto di lavoro non ho mai avuto una soddisfazione (neanche economica), soltanto rimproveri quando sbagliavo qualcosa, perchè magari era un errore che già avevo fatto e mancavo di attenzione ecc....
un po alla volta sono riusciti a togliermi la fiducia in me stessa....ma io non ci volglio credere di non essere servita a nulla lì!
tra l'altro poi con gli anni ho scoperto e capito che la maggior parte delle persone al mondo compie errori nel lavoro anche se fanno la stessa cosa da anni,soltanto che sono in grado o di nasconderli o di non farsene alcun carico loro! non ci stanno male per niente, non si sentono in colpa e vivono meglio,di certo.
comunque a parte tutta questa ultima divagazione il problema resta:
come fare ad affrontare serenamente una nuova sfida?
oppure se non mi sento serena devo rifiutare e continuare nella ricerca finchè psicologicamante non mi sentirò almeno più sicura?
farsi forza, farsi coraggio ed andare avanti o essere egoisti e "pretendere" di più?
sono normale o devo farmi vedere da uno bravo!!????!!! ;))
grazie x tutto
credo siamo tutte e tre le cose messe insieme...!
anche se non direi di essere in uno stato depressivo post malattia, anzi se penso a questo visto che si è risolta bene sono molto felice e sento dentro di me una piacevole sensaz di leggerezza.
in merito al tipo di lavoro quando lei srive "nei termini delle mansioni o della professione possa essere in fondo non accettato da Lei" forse è vero ma credo di essere una persona senza molte ambizioni in campo lavorativo(e non intendo questo una pecca)...ho la capacità di adattarmi a tutto e quando faccio una cosa dopo un po comincia a piacermi, ci trovo il lato bello insomma....
sicuramente come ha scritto anche lei le esperienze relazionali pregresse al posto di lavora sono state un fattore di condizionamento negativo (in effetti, molto dipende anche dal clima relazionale al lavoro, dall'ambiente di lavoro). infatti nel mio precedente posto di lavoro non ho mai avuto una soddisfazione (neanche economica), soltanto rimproveri quando sbagliavo qualcosa, perchè magari era un errore che già avevo fatto e mancavo di attenzione ecc....
un po alla volta sono riusciti a togliermi la fiducia in me stessa....ma io non ci volglio credere di non essere servita a nulla lì!
tra l'altro poi con gli anni ho scoperto e capito che la maggior parte delle persone al mondo compie errori nel lavoro anche se fanno la stessa cosa da anni,soltanto che sono in grado o di nasconderli o di non farsene alcun carico loro! non ci stanno male per niente, non si sentono in colpa e vivono meglio,di certo.
comunque a parte tutta questa ultima divagazione il problema resta:
come fare ad affrontare serenamente una nuova sfida?
oppure se non mi sento serena devo rifiutare e continuare nella ricerca finchè psicologicamante non mi sentirò almeno più sicura?
farsi forza, farsi coraggio ed andare avanti o essere egoisti e "pretendere" di più?
sono normale o devo farmi vedere da uno bravo!!????!!! ;))
grazie x tutto
[#3]
Colgo nelle Sue ultime righe un tono ironico, ma vorrei precisare che essere visitati o seguiti da uno psichiatra (se intende questo) non significa di essere anomali (o di avere una patologia irrecuperabile) e che comunque via internet non posso dare né una conferma, né una sconferma rispetto alla presenza in Lei di un disturbo psichico.
Da quanto emerge, uno degli aspetti principali è il terzo punto fra quelli che ho menzionato prima. Devo aggiungere che al clima dei rapporti di lavoro contribuisce anche la persona stessa. Non necessariamente con il nascondere gli errori o con il "non farsene alcun carico", ma magari con un atteggiamento più costruttivo rispetto alle critiche (percependole non come una propria colpa o come una testimonianza della propria inutilità) e rispetto ai rapporti (chi critica, lo fa per motivi di lavoro, talvolta per motivi personali, non di rado ha bisogno di sostegno e di conferma lei/lui stessa/stesso). In altre parole, noi stessi, oltre a subire (o a giovare) il/del clima del luogo di lavoro, ne facciamo parte. La nostra reazione negativa all'ambiente relazionale lo aggrava ulteriormente. Lo aggrava anche la tendenza a percepire se stessi e gli altri nei termini individualistici e nei termini di riuscire (o no) ad essere più furbi degli altri (mentre i rapporti sono più complessi, e questo non è l'unico modo di percepirli).
Sono solo gli esempi, non pretendo che siano "ben trovati". Nel caso delle esperienze pregresse condizionanti e senza un rapporto dal vivo è difficile parlare di tutto questo..., anche il risultato del parlarne può essere illusorio, e, secondo me, l'internet non è un ambiente più adatto per parlarne.
Penso che nel Suo caso può avere senso un appoggio dal vivo dal punto di vista psicologico nella figura di uno specialista, magari nel contesto della stessa struttura dove è stata seguita per la malattia oncologica (di solito si tratta dei centri di un certo rilievo, dove è prevista anche la figura dello psicologo, oppure fanno parte dei centri ospedalieri, dove, uno degli ambulatori negli altri padiglioni è specializzato nelle consulenze psicologiche).
E' possibile che Lei percepisca questo mio consiglio come un ritorno indietro, come se dovesse pensare di non aver superato a pieno la malattia (in dissonanza con quello che sente o con quello che vorrebbe sentire). Ebbene, se lo vuole pensare così, non è nemmeno sbagliato. Approfondendo questo aspetto, c'è veramente un contrasto fra la sensazione di aver superato una cosa e di non riuscire a superare un'altra... Non La conosco bene come persona e vorrei evitare di speculare, ma mi permetto di chiedersi se, anziché superare [gli ostacoli, i problemi], Lei invece "se ne abitua"... E' come se li avesse superato.., ma in realtà non lo è, ed il problema rimane a livello latente, pronta a slatententizzarsi nei periodi come questo. E' anche un po' analogo al "nascondere" gli errori o con il "non farsene alcun carico" dei colleghi, ma questa volta riferito agli "errori" (se lo si può dire) con se stessa.
Lo vedrei comunque non come un tornare indietro, ma come una parte del percorso riabilitativo (che in realtà ci voleva anche a prescindere della malattia oncologica). Anche la Sua idea di iniziare con "part-time" o di continuare nella ricerca (finchè psicologicamante non si sentirà almeno più sicura) sono, a modo proprio, degli "approcci riabilitativi". Solo che non si sa quando e come potrà sentirsi sicura semplicemente aspettando e al di fuori del contesto delle problematiche reali. Secondo me, l'evitamento degli stimoli o delle situazioni temuti, come un metodo riabilitativo, è discutibile.
Penso che Lei possa provare ad affrontare il ritorno all'attività lavorativa con l'appoggio della consulenza psicologica dal vivo.
Da quanto emerge, uno degli aspetti principali è il terzo punto fra quelli che ho menzionato prima. Devo aggiungere che al clima dei rapporti di lavoro contribuisce anche la persona stessa. Non necessariamente con il nascondere gli errori o con il "non farsene alcun carico", ma magari con un atteggiamento più costruttivo rispetto alle critiche (percependole non come una propria colpa o come una testimonianza della propria inutilità) e rispetto ai rapporti (chi critica, lo fa per motivi di lavoro, talvolta per motivi personali, non di rado ha bisogno di sostegno e di conferma lei/lui stessa/stesso). In altre parole, noi stessi, oltre a subire (o a giovare) il/del clima del luogo di lavoro, ne facciamo parte. La nostra reazione negativa all'ambiente relazionale lo aggrava ulteriormente. Lo aggrava anche la tendenza a percepire se stessi e gli altri nei termini individualistici e nei termini di riuscire (o no) ad essere più furbi degli altri (mentre i rapporti sono più complessi, e questo non è l'unico modo di percepirli).
Sono solo gli esempi, non pretendo che siano "ben trovati". Nel caso delle esperienze pregresse condizionanti e senza un rapporto dal vivo è difficile parlare di tutto questo..., anche il risultato del parlarne può essere illusorio, e, secondo me, l'internet non è un ambiente più adatto per parlarne.
Penso che nel Suo caso può avere senso un appoggio dal vivo dal punto di vista psicologico nella figura di uno specialista, magari nel contesto della stessa struttura dove è stata seguita per la malattia oncologica (di solito si tratta dei centri di un certo rilievo, dove è prevista anche la figura dello psicologo, oppure fanno parte dei centri ospedalieri, dove, uno degli ambulatori negli altri padiglioni è specializzato nelle consulenze psicologiche).
E' possibile che Lei percepisca questo mio consiglio come un ritorno indietro, come se dovesse pensare di non aver superato a pieno la malattia (in dissonanza con quello che sente o con quello che vorrebbe sentire). Ebbene, se lo vuole pensare così, non è nemmeno sbagliato. Approfondendo questo aspetto, c'è veramente un contrasto fra la sensazione di aver superato una cosa e di non riuscire a superare un'altra... Non La conosco bene come persona e vorrei evitare di speculare, ma mi permetto di chiedersi se, anziché superare [gli ostacoli, i problemi], Lei invece "se ne abitua"... E' come se li avesse superato.., ma in realtà non lo è, ed il problema rimane a livello latente, pronta a slatententizzarsi nei periodi come questo. E' anche un po' analogo al "nascondere" gli errori o con il "non farsene alcun carico" dei colleghi, ma questa volta riferito agli "errori" (se lo si può dire) con se stessa.
Lo vedrei comunque non come un tornare indietro, ma come una parte del percorso riabilitativo (che in realtà ci voleva anche a prescindere della malattia oncologica). Anche la Sua idea di iniziare con "part-time" o di continuare nella ricerca (finchè psicologicamante non si sentirà almeno più sicura) sono, a modo proprio, degli "approcci riabilitativi". Solo che non si sa quando e come potrà sentirsi sicura semplicemente aspettando e al di fuori del contesto delle problematiche reali. Secondo me, l'evitamento degli stimoli o delle situazioni temuti, come un metodo riabilitativo, è discutibile.
Penso che Lei possa provare ad affrontare il ritorno all'attività lavorativa con l'appoggio della consulenza psicologica dal vivo.
[#4]
Utente
dunque se ho capuito bene lei pensa che questa paura la avrei avuta a prescindere dal discorso malattia.....si credo anche io di si!
se ho capito bene il consiglio è oltre a quello di affrontare il ritorno all'attività lavorativa con l'appoggio della consulenza psicologica dal vivo anche quello di prendere le critiche con un atteggiamento più costruttivo rispetto alle critiche (percependole non come una propria colpa o come una testimonianza della propria inutilità)perchè chi critica a volte a bisogno lui stesso di conferme.la mia tendenza a vedere negativamente le critiche e gli altri fa aggravare l'ambiente relazionale al quale sono soggetta.
ho capito bene?
se ho capito bene allora dovrei vederla con altri occhi questa opport lavorativa e partire con positività, senza pregiudizi.forse questo dovrei sforzarmi di fare giusto?
ho letto che se uno pensa sempre a come le cose vuole che vadano, questo prima o poi succede perchè l'universo farà in modo che girino a suo favore !
fosse vero.........ma io a dir il vero nn ci ho mai provato sul serio
se ho capito bene il consiglio è oltre a quello di affrontare il ritorno all'attività lavorativa con l'appoggio della consulenza psicologica dal vivo anche quello di prendere le critiche con un atteggiamento più costruttivo rispetto alle critiche (percependole non come una propria colpa o come una testimonianza della propria inutilità)perchè chi critica a volte a bisogno lui stesso di conferme.la mia tendenza a vedere negativamente le critiche e gli altri fa aggravare l'ambiente relazionale al quale sono soggetta.
ho capito bene?
se ho capito bene allora dovrei vederla con altri occhi questa opport lavorativa e partire con positività, senza pregiudizi.forse questo dovrei sforzarmi di fare giusto?
ho letto che se uno pensa sempre a come le cose vuole che vadano, questo prima o poi succede perchè l'universo farà in modo che girino a suo favore !
fosse vero.........ma io a dir il vero nn ci ho mai provato sul serio
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 7.3k visite dal 23/04/2012.
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