Ansia sociale
Domani pomeriggio ho la riunione mensile del gruppo di lavoro (un gruppo ristretto di persone che si incontrano in una stanza piccola). Il problema è che non voglio andare perchè ho paura di sentirmi male. La mia paura è quella che il mio intestino brontoli, che io debba senta il bisogno di andare al bagno. Soffro di colon irritabile per cause esclusivamente psicologiche. Per me stare con gli altri è un fattore di ansia che comunque sto imparando a gestire. Ma domani no, non so se ce la posso fare, per me è la situazione più difficile in assoluto, la più stressante, non voglio abbandonare la stanza a metà e sentirmi frustrato e fallito dopo. Preferisco non andare proprio anche se so che facendo così a lungo andare sto mettendo a rischio la mia carriera precludendomi altre opportunità. Vorrei risolvere questo problema, vorrei farlo definitavamente. Nella vita normale sono relativamente tranquillo anche perchè ho accuratamente ridotto le occasioni di contatto con gli altri. Accade però che ci sono momenti in cui bisogna stare in silenzio ad ascoltare altri e in queste situazioni ho paura di sentirmi male e allora mi crolla il mondo. Preferisco continuare il mio isolamento ma so che sbaglio. Io vorrei tornare ad affrontare con serenità tutte le situazioni come facevo un tempo e non essere costretto a barricarmi nella mia casa. Fino a quando sarò costretto a selezionare accuratamente le occasioni di contatto con gli altri? Ho già parlato in passato con psicologi e psichiatri e questi colloqui mi hanno aiutato a ridurre il problema che però permane in alcune limitate circostanze. Che devo fare? rinunciare? prendere il tavor prima di andare alla riunione? se non vado mi sento fallito e frustrato, se vado so già che sarà una situazione stressante e faticosa...
[#1]
Gentile utente,
su internet non si può suggerire o rescrivere una terapia, neanche la terapia al bisogno (che deve essere concordata con lo specialista curante), ma posso provare ad aiutarLe a trovare la strada giusta. Le devo fare però alcune domande.
Lei scrive :
<<..Ho già parlato in passato con psicologi e psichiatri e questi colloqui mi hanno aiutato a ridurre il problema che però permane in alcune limitate circostanze..>>
Quali sono stati i sintomi e le dimensioni iniziali del problema e quale diagnosi è stata posta esattamente?
Si trattava dei colloqui psicoterapeutici? Secondo quale metodiche? Oltre ai colloqui, Le sono state precritte le terapie farmacologiche?
In quali limitate circostanze si manifesta ora?
("momenti in cui bisogna stare in silenzio ad ascoltare altri"? un ambienti chiusi o piccoli ? "gruppo ristretto di persone", dunque quelle che La conoscono o che conoscono Lei ?). Può spiegarlo meglio ?
su internet non si può suggerire o rescrivere una terapia, neanche la terapia al bisogno (che deve essere concordata con lo specialista curante), ma posso provare ad aiutarLe a trovare la strada giusta. Le devo fare però alcune domande.
Lei scrive :
<<..Ho già parlato in passato con psicologi e psichiatri e questi colloqui mi hanno aiutato a ridurre il problema che però permane in alcune limitate circostanze..>>
Quali sono stati i sintomi e le dimensioni iniziali del problema e quale diagnosi è stata posta esattamente?
Si trattava dei colloqui psicoterapeutici? Secondo quale metodiche? Oltre ai colloqui, Le sono state precritte le terapie farmacologiche?
In quali limitate circostanze si manifesta ora?
("momenti in cui bisogna stare in silenzio ad ascoltare altri"? un ambienti chiusi o piccoli ? "gruppo ristretto di persone", dunque quelle che La conoscono o che conoscono Lei ?). Può spiegarlo meglio ?
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#2]
Ho letto anche alcune delle Sue domande precedenti su questo sito per essere più al corrente della Sua storia, però non ho potuto ancora leggerle tutte, e Le ho fatto comunque le mie domande anche perché, quando c'è apparentemente molto materiale, è bene organizzarlo più sinteticamente. Aspetto le Sue risposte.
un saluto,
un saluto,
[#3]
Ex utente
Gentile dr. Gukov, la ringrazio per la sua attenzione e per la sua disponibilità ad aiutarmi a trovare la strada per risolvere il mio problema. Risponderò sinteticamente e chiaramente alla domande da lei poste, sperando così di metterla in condizione di fornirmi un aiuto concreto.
<<Quali sono stati i sintomi e le dimensioni iniziali del problema?>>
I sintomi che avverto sono una eccessiva motilità intestinale che provoca borborigmi, gonfiori ed eccessivo stimolo alla defecazione. Questi sintomi si manifestano quando sono in un ambiente piccolo e silenzioso in presenza di poche persone (biblioteche, riunioni di lavoro, ecc.). Gli stessi stimoli si presentano talvolta anche prima di affrontare queste situazioni (ansia anticipatoria). Se in queste circostanze (riunioni o meeting di lavoro) devo prendere la parola, per me è meglio perché, concentrandomi sul mio discorso o sulla mia domanda, riesco a distogliere il pensiero dall’idea di sentirmi male o di controllare ossessivamente i “movimenti” del mio intestino.
Il problema si è presentato la prima volta 3 anni fa quando ero per un lungo periodo all’estero per lavoro. Essendo costretto a trascorrere lunghi periodi all’estero sempre per lavoro questo problema si ripresenta e mi costringe a selezionare accuratamente i miei contatti sociali (sono una persona socievole ma anche molto schiva – i rapporti sociali sono comunque per me fonte di ansia perché ho sempre il timore di essere giudicato).
<<Quale diagnosi è stata posta esattamente? Si trattava dei colloqui psicoterapeutici? Secondo quale metodiche? Oltre ai colloqui, Le sono state precritte le terapie farmacologiche?>>
Mi è stato detto dallo psichiatra che mi ha visitato che si tratta di un problema di ansia e mi è stato proposto di prendere 1 compressa di tavor al bisogno e verificare cosa succedeva. Lo stesso psichiatra mi ha comunque detto che la terapia elettiva nel mio caso è quella cognitivo-comportamentale. Ho contattato medico con specializzazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale e, dopo una terapia di 5-6 mesi, e l’assunzione di un farmaco antispastico per l’intestino la situazione è nettamente migliorata (prima avevo anche paura di fare colloqui di lavoro o uscire a cena con persone che conoscevo poco). Resta però per me ancora difficile da affrontare questa situazione legata alle riunioni in cui devo stare in silenzio. Preciso che il tavor l’ho preso solo 1 volta, seguendo quanto detto dal medico/psicoterapeuta.
<<In quali limitate circostanze si manifesta ora? ("momenti in cui bisogna stare in silenzio ad ascoltare altri"? un ambienti chiusi o piccoli ? "gruppo ristretto di persone", dunque quelle che La conoscono o che conoscono Lei ?). Può spiegarlo meglio ?>>
Quello che ha riportato è esattamente la situazione che tuttora mi crea maggiore disagio. Aggiungo solo che solitamente conosco poco le persone con cui “sono costretto” ad avere questi incontri (cambio spesso luoghi di lavoro); sono situazioni legate soprattutto all’ambito professionale (ho contratti precari non certo per miei demeriti personali, anzi nello studio e sul lavoro ho sempre dato e ottenuto risultati molto alti). Questo disagio è molto più forte trovandomi all’estero, senza la mia famiglia di origine e senza i pochi amici affidabili. Non sento nostalgia di casa, anzi mi piace stare all’estero, ma questa situazione sta mettendo in discussione e limitando molte mie scelte professionali.
Nel frattempo non ho ancora deciso se andare oggi alla riunione…
<<Quali sono stati i sintomi e le dimensioni iniziali del problema?>>
I sintomi che avverto sono una eccessiva motilità intestinale che provoca borborigmi, gonfiori ed eccessivo stimolo alla defecazione. Questi sintomi si manifestano quando sono in un ambiente piccolo e silenzioso in presenza di poche persone (biblioteche, riunioni di lavoro, ecc.). Gli stessi stimoli si presentano talvolta anche prima di affrontare queste situazioni (ansia anticipatoria). Se in queste circostanze (riunioni o meeting di lavoro) devo prendere la parola, per me è meglio perché, concentrandomi sul mio discorso o sulla mia domanda, riesco a distogliere il pensiero dall’idea di sentirmi male o di controllare ossessivamente i “movimenti” del mio intestino.
Il problema si è presentato la prima volta 3 anni fa quando ero per un lungo periodo all’estero per lavoro. Essendo costretto a trascorrere lunghi periodi all’estero sempre per lavoro questo problema si ripresenta e mi costringe a selezionare accuratamente i miei contatti sociali (sono una persona socievole ma anche molto schiva – i rapporti sociali sono comunque per me fonte di ansia perché ho sempre il timore di essere giudicato).
<<Quale diagnosi è stata posta esattamente? Si trattava dei colloqui psicoterapeutici? Secondo quale metodiche? Oltre ai colloqui, Le sono state precritte le terapie farmacologiche?>>
Mi è stato detto dallo psichiatra che mi ha visitato che si tratta di un problema di ansia e mi è stato proposto di prendere 1 compressa di tavor al bisogno e verificare cosa succedeva. Lo stesso psichiatra mi ha comunque detto che la terapia elettiva nel mio caso è quella cognitivo-comportamentale. Ho contattato medico con specializzazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale e, dopo una terapia di 5-6 mesi, e l’assunzione di un farmaco antispastico per l’intestino la situazione è nettamente migliorata (prima avevo anche paura di fare colloqui di lavoro o uscire a cena con persone che conoscevo poco). Resta però per me ancora difficile da affrontare questa situazione legata alle riunioni in cui devo stare in silenzio. Preciso che il tavor l’ho preso solo 1 volta, seguendo quanto detto dal medico/psicoterapeuta.
<<In quali limitate circostanze si manifesta ora? ("momenti in cui bisogna stare in silenzio ad ascoltare altri"? un ambienti chiusi o piccoli ? "gruppo ristretto di persone", dunque quelle che La conoscono o che conoscono Lei ?). Può spiegarlo meglio ?>>
Quello che ha riportato è esattamente la situazione che tuttora mi crea maggiore disagio. Aggiungo solo che solitamente conosco poco le persone con cui “sono costretto” ad avere questi incontri (cambio spesso luoghi di lavoro); sono situazioni legate soprattutto all’ambito professionale (ho contratti precari non certo per miei demeriti personali, anzi nello studio e sul lavoro ho sempre dato e ottenuto risultati molto alti). Questo disagio è molto più forte trovandomi all’estero, senza la mia famiglia di origine e senza i pochi amici affidabili. Non sento nostalgia di casa, anzi mi piace stare all’estero, ma questa situazione sta mettendo in discussione e limitando molte mie scelte professionali.
Nel frattempo non ho ancora deciso se andare oggi alla riunione…
[#4]
Gentile utente,
penso che la strada intrapresa è giusta, ma può essere ulteriormente ottimizzata.
Il problema dei movimenti peristaltici troppo vivaci hanno moltissime persone, che non se ne preoccupano più di tanto e riescono a conviverci, ma se diventa invalidante, anche soggettivamente, allora merita magari una maggiore attenzione. Le farmacoterapie (assorbenti gas e antispastica) sono stati il primo passo nell'occuparsi più specificamente di tale problema. Andrei però oltre alla cura sintomatica. Cercherei le cause di tale fenomeno oltre a quelle psicologiche.
in uno dei Suoi consulti
https://www.medicitalia.it/consulti/colonproctologia/172425-un-tipo-piuttosto-ansioso.html
Lei scrive:
<<..Tenderei però ad escludere l'eccessiva presenza di batteri nell'intestino, dato che quasi sempre sono io a cucinarmi e di conseguenza la mia alimentazione non è più di tanto cambiata. Sono invece cambiate le abitudini, i ritmi e anche la quantità di cibo ingerita (meno rispetto a prima). Mi chiedo perciò se non sia la notevole ANSIA, determinata dal nuovo stile di vita, a causare questi problemi di meteorismo..>>
Non sarrei d'accordo con l'origine psichica come una diagnosi di esclusione. No, il disagio psichico ha le proprie caratteristiche specifiche che vanno riconosciute con l'esame psichico e non presunte in vitrù del principio di esclusione. Invece sarei d'accordo che le cause psichiche e fisiche possono spesso coesistere.
Ad esempio, escludere i prodotti a base di latte dalla dieta senza le prove che sono questi il problema, ma temendo di esserne intollerante o allergico, oppure osservare una dieta rigorosamente equilibrata e preparando i cibi solo Lei stesso, potrebbero essere, in ipotesi, i sintomi psichici (di tipo ossessivo), ma l'impatto di tale organizzazione della dieta (senza latte oppure rigorosamente equilibrata) può avere le conseguenze non necessariamente positive in modo indipendente dalle cause psichiche. Anche l'essere ossessionato di avere una malattia intestinale è vero che può essere di per sé un sintomo psichico, ma non esclude la possibilità di averla.
Fra le cause modificabili più frequenti dei movimenti peristaltici troppo vivaci e della presenza eccessiva dei gas intestinli ci sono, appunto: la dieta (che è un ampio argomento a parte), il regime dei pasti (ad esemio, non regolare; a proposito, anche il digiuno stimola la peristalsi), le modalità di assunzione del cibo (ad esempio, frettolosamente), la composizione della cosidetta "flora batterica" dell'intestino (non nel senso della presenza eccessiva dei batteri come un numero assoluto, ma nel senso di squilibrio fra le frazioni dei tipi diversi dei batteri normalmente presenti a favore di quelli che sono i produttori dei gas); l'eventuale presenza di parassiti intestinali o di una malattia infiammatoria intestinale, oppure delle intolleranze alimentari.
Dunque, senza dramatizzare, Le consiglio di trovare uno specialista nelle scienze di alimentazione o nella gastroenterologia (dal vivo e non cercando di sostituirlo coi pareri via internet): bravo e scrupoloso nel proprio mestiere (un po' come Lei) e che lascia le diagnosi psichiche a chi spetta di competenza.
La diagnosi psichica, andrebbe verificata. Lo può fare solo uno psichiatra. "L'ansia" non è una diagnosi, ma un sintomo. Nel titolo della Sua domanda Lei ha scritto "Ansia sociale", e in uno dei consulti un mio collega ha parlato dell'ipotesi di "Fobia Sociale". Sarebbe interessante sapere se tale diagnosi è stata confermata. Secondo me, benché la Sua descrizione "dalla prima vista" fa veramente ipotizzare tale disturbo, ci sono anche gli elementi (alcuni di carattere ossessivo, alcuni invece centrerebbero forse con l'accumulo delle emozioni negative inespresse alle accennerò in seguito) che di solito non sono considerati tipici, e ne andrebbe tenuto conto nella eventuale riformulazione della diagnosi e nell'approccio psicoterapeutico, anche se questo ultimo potrebbe rimanere benissimo cognitivo-comportamentale.
Per quanto riguarda la psicoterapia, se ha dato i benefici, ma sono ancora limitati, non bisogna abbandonarla e conviene proseguire, adattando i metodi alla fase dell'evoluzione della Sua situazione: da valutare se il Suo stato attuale permette di accedere alle fasi più "radicali" della psicoterapia o se ancora no e se bisogna stabilizzarsi prima sulla linea già raggiunta.
Inoltre, penso che abbia senso di discutere con lo psicoterapeuta la problematica da più lati: a parte il timore di giudizio, di imbarazzo e di vivere l'ansia, non escludo che possa essere presente anche una necessità insoddisfatta di sentire riconosciuti i propri meriti e le proprie capacità, forse anche le emozioni di sfida, di concorrenza, o comunque le emozioni negative o addirittura aggressive Sue che potevano accumularsi ? In altre parole: di che cosa in realtà ha il timore ? Del giudizio degli altri oppure anche di quello che Lei stesso potrebbe dire o fare ?
Tale mia ipotesi sorge anche dalla lettura delle Sue molteplici domande su questo sito e dal Suo modo di comunicare anche con me. Penso che trovandosi al Suo posto, potrebbe essere naturale almeno un pensiero: ma perché mi chiede di rispiegare di nuovo la situazione, io l'ho fatto già 53 volte ! (il numero dei Suoi consulti sul nostro sito).
Questo è solo uno spunto per la riflessione, da discutere con il Suo psicoterapeuta e do orientarne, eventualmente il lavoro terapeutico.
penso che la strada intrapresa è giusta, ma può essere ulteriormente ottimizzata.
Il problema dei movimenti peristaltici troppo vivaci hanno moltissime persone, che non se ne preoccupano più di tanto e riescono a conviverci, ma se diventa invalidante, anche soggettivamente, allora merita magari una maggiore attenzione. Le farmacoterapie (assorbenti gas e antispastica) sono stati il primo passo nell'occuparsi più specificamente di tale problema. Andrei però oltre alla cura sintomatica. Cercherei le cause di tale fenomeno oltre a quelle psicologiche.
in uno dei Suoi consulti
https://www.medicitalia.it/consulti/colonproctologia/172425-un-tipo-piuttosto-ansioso.html
Lei scrive:
<<..Tenderei però ad escludere l'eccessiva presenza di batteri nell'intestino, dato che quasi sempre sono io a cucinarmi e di conseguenza la mia alimentazione non è più di tanto cambiata. Sono invece cambiate le abitudini, i ritmi e anche la quantità di cibo ingerita (meno rispetto a prima). Mi chiedo perciò se non sia la notevole ANSIA, determinata dal nuovo stile di vita, a causare questi problemi di meteorismo..>>
Non sarrei d'accordo con l'origine psichica come una diagnosi di esclusione. No, il disagio psichico ha le proprie caratteristiche specifiche che vanno riconosciute con l'esame psichico e non presunte in vitrù del principio di esclusione. Invece sarei d'accordo che le cause psichiche e fisiche possono spesso coesistere.
Ad esempio, escludere i prodotti a base di latte dalla dieta senza le prove che sono questi il problema, ma temendo di esserne intollerante o allergico, oppure osservare una dieta rigorosamente equilibrata e preparando i cibi solo Lei stesso, potrebbero essere, in ipotesi, i sintomi psichici (di tipo ossessivo), ma l'impatto di tale organizzazione della dieta (senza latte oppure rigorosamente equilibrata) può avere le conseguenze non necessariamente positive in modo indipendente dalle cause psichiche. Anche l'essere ossessionato di avere una malattia intestinale è vero che può essere di per sé un sintomo psichico, ma non esclude la possibilità di averla.
Fra le cause modificabili più frequenti dei movimenti peristaltici troppo vivaci e della presenza eccessiva dei gas intestinli ci sono, appunto: la dieta (che è un ampio argomento a parte), il regime dei pasti (ad esemio, non regolare; a proposito, anche il digiuno stimola la peristalsi), le modalità di assunzione del cibo (ad esempio, frettolosamente), la composizione della cosidetta "flora batterica" dell'intestino (non nel senso della presenza eccessiva dei batteri come un numero assoluto, ma nel senso di squilibrio fra le frazioni dei tipi diversi dei batteri normalmente presenti a favore di quelli che sono i produttori dei gas); l'eventuale presenza di parassiti intestinali o di una malattia infiammatoria intestinale, oppure delle intolleranze alimentari.
Dunque, senza dramatizzare, Le consiglio di trovare uno specialista nelle scienze di alimentazione o nella gastroenterologia (dal vivo e non cercando di sostituirlo coi pareri via internet): bravo e scrupoloso nel proprio mestiere (un po' come Lei) e che lascia le diagnosi psichiche a chi spetta di competenza.
La diagnosi psichica, andrebbe verificata. Lo può fare solo uno psichiatra. "L'ansia" non è una diagnosi, ma un sintomo. Nel titolo della Sua domanda Lei ha scritto "Ansia sociale", e in uno dei consulti un mio collega ha parlato dell'ipotesi di "Fobia Sociale". Sarebbe interessante sapere se tale diagnosi è stata confermata. Secondo me, benché la Sua descrizione "dalla prima vista" fa veramente ipotizzare tale disturbo, ci sono anche gli elementi (alcuni di carattere ossessivo, alcuni invece centrerebbero forse con l'accumulo delle emozioni negative inespresse alle accennerò in seguito) che di solito non sono considerati tipici, e ne andrebbe tenuto conto nella eventuale riformulazione della diagnosi e nell'approccio psicoterapeutico, anche se questo ultimo potrebbe rimanere benissimo cognitivo-comportamentale.
Per quanto riguarda la psicoterapia, se ha dato i benefici, ma sono ancora limitati, non bisogna abbandonarla e conviene proseguire, adattando i metodi alla fase dell'evoluzione della Sua situazione: da valutare se il Suo stato attuale permette di accedere alle fasi più "radicali" della psicoterapia o se ancora no e se bisogna stabilizzarsi prima sulla linea già raggiunta.
Inoltre, penso che abbia senso di discutere con lo psicoterapeuta la problematica da più lati: a parte il timore di giudizio, di imbarazzo e di vivere l'ansia, non escludo che possa essere presente anche una necessità insoddisfatta di sentire riconosciuti i propri meriti e le proprie capacità, forse anche le emozioni di sfida, di concorrenza, o comunque le emozioni negative o addirittura aggressive Sue che potevano accumularsi ? In altre parole: di che cosa in realtà ha il timore ? Del giudizio degli altri oppure anche di quello che Lei stesso potrebbe dire o fare ?
Tale mia ipotesi sorge anche dalla lettura delle Sue molteplici domande su questo sito e dal Suo modo di comunicare anche con me. Penso che trovandosi al Suo posto, potrebbe essere naturale almeno un pensiero: ma perché mi chiede di rispiegare di nuovo la situazione, io l'ho fatto già 53 volte ! (il numero dei Suoi consulti sul nostro sito).
Questo è solo uno spunto per la riflessione, da discutere con il Suo psicoterapeuta e do orientarne, eventualmente il lavoro terapeutico.
[#5]
Ex utente
Le sono estremamente grato per il tempo che mi ha dedicato e per la risposta che per me significa tanto. Con le sue parole mi ha incoraggiato a proseguire sulla strada intrapresa. Se mi fosse possibile, non esiterei a contattarla personalmente per una visita (purtroppo abito lontano!). Credo che i suoi pazienti siano molto fortunati ad avere un medico come lei.
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 2.5k visite dal 14/03/2012.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.