Psicosi?
Salve, sono una ragazza di 18 anni.
Da quando avevo circa 12 anni ho cominciato a sentirmi moralmente giù.
Sono stata da più di uno psicologo ed ora ho cominciato ad andare da uno psicoterapeuta.
Finora ci sono andata una sola volta perché non mi sono sentita a mio agio, anzi, sembrava che mi prendesse in giro, anche se presumo volesse "scuotermi" e vedere come reagivo.
Una sola volta gli è bastata per poter fare una diagnosi: ho una psicosi secondo lui.
Quella volta non ho detto una parola di me, di come sto, anche se sa la mia situazione: non parlo (in realtà parlo solo con le persone con cui mi sento a mio agio), non guardo le persone negli occhi, non dormo, ho subito dei traumi, non sono motivata a fare nulla, ho un'ansia insopportabile, soffro di attacchi di panico, piango sempre oppure altre volte sto muta per giorni, ho la media del 9 a scuola...mi sembra sia tutto.
Come può essere una psicosi? Non è possibile, sono consapevole di me stessa, degli altri. So quello che faccio e so bene chi sono. Non credo ci sia un distacco dalla realtà, proprio per niente. Non sarei qui a scrivere e non chiederei aiuto.
Non so più a cosa pensare. Vi ringrazio in anticipo.
Da quando avevo circa 12 anni ho cominciato a sentirmi moralmente giù.
Sono stata da più di uno psicologo ed ora ho cominciato ad andare da uno psicoterapeuta.
Finora ci sono andata una sola volta perché non mi sono sentita a mio agio, anzi, sembrava che mi prendesse in giro, anche se presumo volesse "scuotermi" e vedere come reagivo.
Una sola volta gli è bastata per poter fare una diagnosi: ho una psicosi secondo lui.
Quella volta non ho detto una parola di me, di come sto, anche se sa la mia situazione: non parlo (in realtà parlo solo con le persone con cui mi sento a mio agio), non guardo le persone negli occhi, non dormo, ho subito dei traumi, non sono motivata a fare nulla, ho un'ansia insopportabile, soffro di attacchi di panico, piango sempre oppure altre volte sto muta per giorni, ho la media del 9 a scuola...mi sembra sia tutto.
Come può essere una psicosi? Non è possibile, sono consapevole di me stessa, degli altri. So quello che faccio e so bene chi sono. Non credo ci sia un distacco dalla realtà, proprio per niente. Non sarei qui a scrivere e non chiederei aiuto.
Non so più a cosa pensare. Vi ringrazio in anticipo.
[#3]
Gentile utente,
capisco l'impatto della valutazione che Le è stata fatta, però, a prescindere della corretteza della valutazione, vorrei che ci capiamo sul significato dei termini.
Non essere consapevoli di se stessi, dell'ambiente, e degli altri parametri della realtà, non rendersi conto delle proprie azioni ecc. è il significato popolare della parola "psicosi". Nel linguaggio medico psichiatrico odierno la "psicosi" significa un'altra cosa.
Il significato della "psicosi" come un termine medico è un po' difficile spiegare brevemente.. bisogna scriverne un trattato. In breve, si riferisce ad una vasta e multiforme gamma delle malattie che possono avere come alcune possibili caratteristiche in comune la problematica relazionale inter-umana.
Ad esempio, se io sono semplicemente una persona riservata o, viceversa, comunicativa è un conto. Però se mi isolo dal mondo esterno trovaondone per me uno stato più naturale (non parlo dei monaci), come anche se ho un'attenzione a quello che succede e l'interpretazione del mondo esterno estremamente o morbosamente acute, ciò si avvicina già di più allo stato di psicosi, nel quale la persona si rende perfettamente conto della realtà, ma per le esigenze della propria psiche (e spesso cercando di difendere la propria salute mentale) si crea mentalmente le altre coordinate della vita, perché quelle reali.. non sono sopportabili.. le coordinate alle quali può ricorrere per dei momenti, periodi o per i tempi più lunghi; queste altre coordinate servono a tali persone come un punto di riferimento con valenze emotive, che altrimenti avvertono di non avere.
Ci sono anche le altre caratteristiche, più "appariscenti", ma non li posso descrivere tutte qui, sono comunque le conseguenze del funzionamento di una struttura psichica di un certo tipo che ho cercato di descrivere. Ed è solo uno degli esempi di questa struttura, neanche il migliore è sicuramente parziale, ma magari ci serve per capirci.
In effetti, la psicosi è più un fenomeno, più una sindrome che una diagnosi. Ingloba i casi molto diversi, quasi non accomunabili. Prevede diversi diagnosi differenziali (cioè le ipotesi diagnostiche che bisogna valutare e escludere prima di fare una tale diagnosi). Come diagnosi è molto usata anche ufficialmente, ma è molto sommaria e non specifica. Direi che dal punto di vista strettamente psichiatrico la diagnosi è ancora da specificare.
Mentre dal punto di vista psicoterapeutico può essere diverso. Non conosco il Suo psicoterapeuta e con quale tecnica terapeutica lavora, ma molti psicoterapeuti usano abbozzare una diagnosi non come una diagnosi medica, bensì come un'ipotesi di lavoro, nel senso che li aiuta a capire come meglio lavorare con la persona. Tali "diagnosi" possono basarsi non sui criteri medico-psichiatrici, ma sul tipo di meccanismi mentali ed emotivi che il paziente tende ad usare per affrontare le situazioni difficili, i traumi ecc. (mi riferisco soprattutto alla scuola psicoanalitica). Lei potrebbe chiedermi perché allora lo psicoterapeuta ha comunicato tale valutazione a Lei, mentre adesso serve soprattutto a lui ? Non lo so, forse voleva essere sincero.
Con quale metodica (di quale scuola)lavora il Suo psicoterapeuta ?
Dunque, come una diagnosi medico-psichiatrica, non è abbastanza specifica, e bisogna anche capire se è una diagnosi medica o "psicoterapeutica".
La diagnosi precisa va fatta comunque (da lui o da un altro psichiatra), ma per proseguire la psicoterapia quanto è veramente importante la diagnosi?
Credo che il tema principale della Sua domanda possa essere in realtà il rapporto con il nuovo psicoterapeuta. Nonostante tutto quello che scrive, ha fiducia in lui? Lei scrive che è stata da più di uno psicologo. Perché ha dovuto cambiarli? Che cosa non ha funzionato con gli psicoterapeuti precedenti?
un saluto,
capisco l'impatto della valutazione che Le è stata fatta, però, a prescindere della corretteza della valutazione, vorrei che ci capiamo sul significato dei termini.
Non essere consapevoli di se stessi, dell'ambiente, e degli altri parametri della realtà, non rendersi conto delle proprie azioni ecc. è il significato popolare della parola "psicosi". Nel linguaggio medico psichiatrico odierno la "psicosi" significa un'altra cosa.
Il significato della "psicosi" come un termine medico è un po' difficile spiegare brevemente.. bisogna scriverne un trattato. In breve, si riferisce ad una vasta e multiforme gamma delle malattie che possono avere come alcune possibili caratteristiche in comune la problematica relazionale inter-umana.
Ad esempio, se io sono semplicemente una persona riservata o, viceversa, comunicativa è un conto. Però se mi isolo dal mondo esterno trovaondone per me uno stato più naturale (non parlo dei monaci), come anche se ho un'attenzione a quello che succede e l'interpretazione del mondo esterno estremamente o morbosamente acute, ciò si avvicina già di più allo stato di psicosi, nel quale la persona si rende perfettamente conto della realtà, ma per le esigenze della propria psiche (e spesso cercando di difendere la propria salute mentale) si crea mentalmente le altre coordinate della vita, perché quelle reali.. non sono sopportabili.. le coordinate alle quali può ricorrere per dei momenti, periodi o per i tempi più lunghi; queste altre coordinate servono a tali persone come un punto di riferimento con valenze emotive, che altrimenti avvertono di non avere.
Ci sono anche le altre caratteristiche, più "appariscenti", ma non li posso descrivere tutte qui, sono comunque le conseguenze del funzionamento di una struttura psichica di un certo tipo che ho cercato di descrivere. Ed è solo uno degli esempi di questa struttura, neanche il migliore è sicuramente parziale, ma magari ci serve per capirci.
In effetti, la psicosi è più un fenomeno, più una sindrome che una diagnosi. Ingloba i casi molto diversi, quasi non accomunabili. Prevede diversi diagnosi differenziali (cioè le ipotesi diagnostiche che bisogna valutare e escludere prima di fare una tale diagnosi). Come diagnosi è molto usata anche ufficialmente, ma è molto sommaria e non specifica. Direi che dal punto di vista strettamente psichiatrico la diagnosi è ancora da specificare.
Mentre dal punto di vista psicoterapeutico può essere diverso. Non conosco il Suo psicoterapeuta e con quale tecnica terapeutica lavora, ma molti psicoterapeuti usano abbozzare una diagnosi non come una diagnosi medica, bensì come un'ipotesi di lavoro, nel senso che li aiuta a capire come meglio lavorare con la persona. Tali "diagnosi" possono basarsi non sui criteri medico-psichiatrici, ma sul tipo di meccanismi mentali ed emotivi che il paziente tende ad usare per affrontare le situazioni difficili, i traumi ecc. (mi riferisco soprattutto alla scuola psicoanalitica). Lei potrebbe chiedermi perché allora lo psicoterapeuta ha comunicato tale valutazione a Lei, mentre adesso serve soprattutto a lui ? Non lo so, forse voleva essere sincero.
Con quale metodica (di quale scuola)lavora il Suo psicoterapeuta ?
Dunque, come una diagnosi medico-psichiatrica, non è abbastanza specifica, e bisogna anche capire se è una diagnosi medica o "psicoterapeutica".
La diagnosi precisa va fatta comunque (da lui o da un altro psichiatra), ma per proseguire la psicoterapia quanto è veramente importante la diagnosi?
Credo che il tema principale della Sua domanda possa essere in realtà il rapporto con il nuovo psicoterapeuta. Nonostante tutto quello che scrive, ha fiducia in lui? Lei scrive che è stata da più di uno psicologo. Perché ha dovuto cambiarli? Che cosa non ha funzionato con gli psicoterapeuti precedenti?
un saluto,
[#4]
Ex utente
La ringrazio per la sua risposta.
Sono stata da 7 psicologi finora credo.
Ma se non ha funzionato con nessuno è solo per colpa mia, tendo a nascondere tutto e a far credere allo psicologo che sta andando alla grande.
Frequento il liceo psicopedagogico, quindi studio psicologia e psichiatria, ho scoperto e capito tante cose e in qualche modo mi servono per "sopravvivere" alle sedute.
Quando so che quel giorno ho una seduta, faccio di tutto per farmi vedere felice, solo per dimostrare allo psicologo che sta funzionando, che sto cominciando a stare bene. Tendo a non dire le cose vere, se mi chiedono come sto, io rispondo che sto bene, che ho passato una bella settimana, o comunque se mi chiedono qualsiasi cosa io tendo a rispondere secondo ciò che lo psicologo vorrebbe sentirsi dire.
Non so se mi spiego, ma per me è tutta una finta; non lo faccio apposta, ma comportarmi così per me significa sentirmi accettata, se raccontassi le cose vere mi sentirei indifesa e mi vergognerei di me stessa. Non ha senso che io continui ad andare se mi comporto così, lo so bene, me ne rendo conto.
Certi se ne accorgevano e mi dicevano che ero molto intelligente, ma che non mi sarebbe servito a nulla fare in quel modo.
Forse non ha senso che io continui una psicoterapia, ma mi hanno costretta a ricominciare di nuovo e come ho già detto la prima seduta è andata male, molto male, perché non sono stata capace di reagire; per la prima volta, forse, ero veramente me stessa.
Anzi, forse è andata male proprio perché "mi ha scoperta".
Non ho parlato per tutta la seduta, forse perché era un uomo e mi sono sentita in imbarazzo.
Ho sempre avuto psicologhe e mi sentivo più a mio agio sebbene le mie risposte siano sempre state monosillabiche. Il fatto di non riuscire a parlare è stata l'unica cosa che forse non sono riuscita a controllare di me stessa.
Da un lato mi rendo conto che ho bisogno d'aiuto, perché non dormo, non parlo,...e anche se nessuno ancora lo sa ho tanti strani pensieri, penso continuamente alla morte e mi faccio del male, però credo che nessuno possa aiutarmi fino a che non imparo che devo smetterla di far finta.
Il fatto è che sentirmi dire che ho una psicosi mi ha fatto sentire un nulla, mi sembrava impossibile, mi sono perfino chiesta se davvero stavo vivendo o se stavo solo in un incubo, se le cose che avevo fatto fino ad allora erano reali o meno, ho sentito il bisogno di dovermi fare male per capire che ero io, che non stava succedendo niente, che era tutto apposto. Non so se sono riuscita a spiegarmi.
Mi scuso se mi sono dilungata troppo, mi capita poche volte di sfogarmi così e di riuscire a dire quello che veramente penso. La ringrazio per avermi ascoltata.
Sono stata da 7 psicologi finora credo.
Ma se non ha funzionato con nessuno è solo per colpa mia, tendo a nascondere tutto e a far credere allo psicologo che sta andando alla grande.
Frequento il liceo psicopedagogico, quindi studio psicologia e psichiatria, ho scoperto e capito tante cose e in qualche modo mi servono per "sopravvivere" alle sedute.
Quando so che quel giorno ho una seduta, faccio di tutto per farmi vedere felice, solo per dimostrare allo psicologo che sta funzionando, che sto cominciando a stare bene. Tendo a non dire le cose vere, se mi chiedono come sto, io rispondo che sto bene, che ho passato una bella settimana, o comunque se mi chiedono qualsiasi cosa io tendo a rispondere secondo ciò che lo psicologo vorrebbe sentirsi dire.
Non so se mi spiego, ma per me è tutta una finta; non lo faccio apposta, ma comportarmi così per me significa sentirmi accettata, se raccontassi le cose vere mi sentirei indifesa e mi vergognerei di me stessa. Non ha senso che io continui ad andare se mi comporto così, lo so bene, me ne rendo conto.
Certi se ne accorgevano e mi dicevano che ero molto intelligente, ma che non mi sarebbe servito a nulla fare in quel modo.
Forse non ha senso che io continui una psicoterapia, ma mi hanno costretta a ricominciare di nuovo e come ho già detto la prima seduta è andata male, molto male, perché non sono stata capace di reagire; per la prima volta, forse, ero veramente me stessa.
Anzi, forse è andata male proprio perché "mi ha scoperta".
Non ho parlato per tutta la seduta, forse perché era un uomo e mi sono sentita in imbarazzo.
Ho sempre avuto psicologhe e mi sentivo più a mio agio sebbene le mie risposte siano sempre state monosillabiche. Il fatto di non riuscire a parlare è stata l'unica cosa che forse non sono riuscita a controllare di me stessa.
Da un lato mi rendo conto che ho bisogno d'aiuto, perché non dormo, non parlo,...e anche se nessuno ancora lo sa ho tanti strani pensieri, penso continuamente alla morte e mi faccio del male, però credo che nessuno possa aiutarmi fino a che non imparo che devo smetterla di far finta.
Il fatto è che sentirmi dire che ho una psicosi mi ha fatto sentire un nulla, mi sembrava impossibile, mi sono perfino chiesta se davvero stavo vivendo o se stavo solo in un incubo, se le cose che avevo fatto fino ad allora erano reali o meno, ho sentito il bisogno di dovermi fare male per capire che ero io, che non stava succedendo niente, che era tutto apposto. Non so se sono riuscita a spiegarmi.
Mi scuso se mi sono dilungata troppo, mi capita poche volte di sfogarmi così e di riuscire a dire quello che veramente penso. La ringrazio per avermi ascoltata.
[#5]
Gentile utente,
ho letto e penso che questa prima seduta con il nuovo psicoterapeuta che Lei ha vissuto così negativamente nel contempo, in realtà, segna una svolta importante nel Suo percorso. I cambiamenti, anche costruttivi e desiderati possono essere nel contempo non desiderati e dolorosi. E' una caratteristica dei cambiamenti importanti.
Non capisco come una persona che studia la psicologia e la psichiatria può pensare che la psicosi sia un equivalente di nullità. Allora come potrà aiutare le persone che si trovano in tale condizione (psicosi).. come potrà capire loro vissuti intimi..
(lo scrivo ovviamente in maniera ritorica e "provocatoria", per far riflettere).
I Suoi pensieri e le Sue reazioni (o non reazioni) sono umani: non ha niente da temere nell'esprimerli allo psicoterapeuta.
un saluto,
ho letto e penso che questa prima seduta con il nuovo psicoterapeuta che Lei ha vissuto così negativamente nel contempo, in realtà, segna una svolta importante nel Suo percorso. I cambiamenti, anche costruttivi e desiderati possono essere nel contempo non desiderati e dolorosi. E' una caratteristica dei cambiamenti importanti.
Non capisco come una persona che studia la psicologia e la psichiatria può pensare che la psicosi sia un equivalente di nullità. Allora come potrà aiutare le persone che si trovano in tale condizione (psicosi).. come potrà capire loro vissuti intimi..
(lo scrivo ovviamente in maniera ritorica e "provocatoria", per far riflettere).
I Suoi pensieri e le Sue reazioni (o non reazioni) sono umani: non ha niente da temere nell'esprimerli allo psicoterapeuta.
un saluto,
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 3.1k visite dal 19/02/2012.
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