Distimia e amisulpride
Salve, volevo chiedere informazioni riguardo la distimia e il farmaco amisulpride che mi è stato prescritto alla dose di 50 mg. Volevo sapere se dalla distimia si può guarire, ho letto un po' in giro per la rete che la durata minima di questa malattia è di 2 anni, mentre la media di 5 anni con picchi anche di 30... inoltre volevo sapere per quanto tempo dovrà essere asssunto l'amisulpride e se esistono controindicazioni per quanto riguarda l'assunzione prolungata. Il medico che mi ha prescritto il farmaco mi ha assicurato che non ha effetti collaterali come gli ssri nei primi 15 giorni(mi sono dimenticato di chiedergli a lunga durata se ne ha), ma che inizia subito a fare effetto e dovrei guarire in tempi non lunghi senza specificare il tempo esatto. Vi chiedo questo perchè ho assunto paroxetina ormai per più di 3 anni (durante l'assunzione sto bene, ma se smetto sto subito male) e il medico dice che a questo punto se non sono guarito devo passare a quest'altro farmaco in quanto la sua diagnosi a distanza di questi tempi è di distimia.
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Gentile utente,
certamente dalla distimia si può guarire. Le durata minima di 2 anni (e le prognosi di durata media ecc.) si riferisce alla malattia lasciata al suo decorso naturale (senza le cure), o, in alcuni casi, con le cure che "non hanno mirato il bersaglio". L'amisulpiride è un farmaco che alla dose da Lei citata di solito ha un effeto antidepressivo. A dosaggi più alti potrebbe avere anche effetti contrastanti con quelli anitdepressivi. La "linea di demarcazione" è individuale, e deve essere trovata la dose ottimale per Lei. Non esiste una durata di trattamento canonica universale, va valutata in base alle valutazioni cliniche dal Suo specialista. Gli effetti collaterali come anche contraindicazioni e le interazioni con eventuali altri rimedi possono esserci, ma per parlarne, bisogna conoscere anche la Sua storia medica generale, fare un esame obbiettivo medico, e, su indicazione del curante, eventuali controlli ematici, un elettrocardiogramma. Tali accertamenti sono sono competenza del Suo specialista.
certamente dalla distimia si può guarire. Le durata minima di 2 anni (e le prognosi di durata media ecc.) si riferisce alla malattia lasciata al suo decorso naturale (senza le cure), o, in alcuni casi, con le cure che "non hanno mirato il bersaglio". L'amisulpiride è un farmaco che alla dose da Lei citata di solito ha un effeto antidepressivo. A dosaggi più alti potrebbe avere anche effetti contrastanti con quelli anitdepressivi. La "linea di demarcazione" è individuale, e deve essere trovata la dose ottimale per Lei. Non esiste una durata di trattamento canonica universale, va valutata in base alle valutazioni cliniche dal Suo specialista. Gli effetti collaterali come anche contraindicazioni e le interazioni con eventuali altri rimedi possono esserci, ma per parlarne, bisogna conoscere anche la Sua storia medica generale, fare un esame obbiettivo medico, e, su indicazione del curante, eventuali controlli ematici, un elettrocardiogramma. Tali accertamenti sono sono competenza del Suo specialista.
Dr. Alex Aleksey Gukov
[#2]
Utente
Grazie tante dottore, ma allora le chiedo in caso di cure che hanno mirato il bersaglio (usando la sua terminologia), quanto dovrebbe essere il tempo medio di guarigione? Io come le dicevo sono da 3 anni e mezzo in cura con paroxetina, da più di un anno e mezzo con 10 mg, in quanto non reggo più il dosaggio di 20mg per la nausea e l'agitazione. Sto bene, ma se smetto mi tornano i sintomi. Il mio curante vorrebbe provare con l'amislulpride, perchè ritiente che gli ssri non sono in grado di guarirmi, ma solo attenuare i sintomi. Io vorrei fidarmi, ma ho paura che in realtà dovrò prendere farmaci a vita visto che a distanza di 3 anni non sono ancora guarito. Anche quando iniziai la terapia con paroxetina mi disse che sarei guarito, ma a quanto pare non è stato così... quindi le chiedo, in caso di terapia azzeccata, qual'è il tempo medio di guarigione? Grazie ancora.
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Gentile utente,
Lei non è il primo a chiederlo. La mia risposta dipenderà anche dal mio visione della malattia psichica, e non sarà l'unica ed indiscutibile.
Qui ci sono due aspetti. Farmacologico e non.
Il primo è che la dose della paroxetina di 10 mg che è un dosaggio basso che poteva essere sufficiente per ottenere il compenso, ma insufficiente per portare a quel riassestamento dei sistemi di segnalazione inter-neuronali che convogliono ad un effetto più di fondo del farmaco. Quando i risultati non sono sufficienti, di solito si tenta di incrementare la dose dell'antidepressivo. Nel Suo caso, quanto ho capito, ciò sarebbe problematico, essendo la dose stata ridotta a causa dell'intolleranza. Se l'altro farmaco indicato (ad es. il amisulpiride) si riuscisse ad assumere a dosaggio adeguato, allora si potrebbe iniziare a parlare di una cura fatta come si deve.
Un altro aspetto, sempre farmacologico, riguarda il ritorno dei sintomi alla sospensione della paroxetina. La sospensione di tale farmaco, in misura più frequente degli altri antidepressivi, si fa sentire coi "sintomi da sospensione", i quali è facile scambiare per la ricaduta. Parlerei col Suo specialista anche di questa ipotesi. La sospensione di un farmaco non bisogna fare da solo, o in un modo brusco, ma gradualmente e sempre sotto monitoraggio di uno spesiclista. Anche con l'amisulpiride tali fenomeni "da sospensione" sono possibili, anche se in misura minore.
Rispetto agli aspetti non farmacologici,
proviamo a paragonare la depressione col raffreddore. Un farmaco antiinfiammatorio può eliminare i sintomi del raffreddore e un antibiotico mirato può anche uccidere i germi che l'hanno causato, se è una malattia batterica. Questo è a patto che il sistema immunitario della persona è abbastanza integra, e la persona non si espone ai fattori di rischio (non si espone al freddo, ad es.). Così anche un farmaco antidepressivo fa solo una parte del lavoro necessario: non elimina i fattori di stress che possono esserci nella Sua vita, le condizioni esterne e interne che possono ostacolare la vita psicologicamente sana, non elimina le predisposizioni ad "ammallarsi di depressione" legate alle personali impostazioni psicologiche, alle abitudini caratteriali, agli schemi mentali e comportamentali.
In uno delle Sue domande precedenti su questo sito Lei parla del "mal d'amore". Certamente sono dei vissuti del tutto normali, ma c'è chi ne ha più sensibile e chi meno. C'è chi affronta una tale situazione non riuscendo a elaborarla anche a lungo e c'è chi, come Lei sa, adopera le altre strategie. Questo lo scrivo assolutamente non per criticare il Suo atteggiamento (al Suo posto mi sentirei probabilmente in un modo molto simile), ma per dire che i processi psicologici e biologici che ci accompagnano nell'abbandono e nella perdita sono molto simili a quelli della depressione. Alcune persone sono più portate (per motivi della loro storia, degli abitudini mentali creatasi ecc.) di mettere in moto tali processi (e non solo nel "mal d'amore", ma anche nelle malattie psichiche più invalidanti).
Dunque, vedrei la terapia farmacologica come qualcosa che Le possa dare il tempo di tregua dalla malattia conclamata, la tregua che bisognerebbe far fruttare per "aggiustare" il resto.
In una delle Sue discussioni precedenti Lei scrive del Suo tentativo molto motivato di iniziare la psicoterapia. Come è andata ?
Lei non è il primo a chiederlo. La mia risposta dipenderà anche dal mio visione della malattia psichica, e non sarà l'unica ed indiscutibile.
Qui ci sono due aspetti. Farmacologico e non.
Il primo è che la dose della paroxetina di 10 mg che è un dosaggio basso che poteva essere sufficiente per ottenere il compenso, ma insufficiente per portare a quel riassestamento dei sistemi di segnalazione inter-neuronali che convogliono ad un effetto più di fondo del farmaco. Quando i risultati non sono sufficienti, di solito si tenta di incrementare la dose dell'antidepressivo. Nel Suo caso, quanto ho capito, ciò sarebbe problematico, essendo la dose stata ridotta a causa dell'intolleranza. Se l'altro farmaco indicato (ad es. il amisulpiride) si riuscisse ad assumere a dosaggio adeguato, allora si potrebbe iniziare a parlare di una cura fatta come si deve.
Un altro aspetto, sempre farmacologico, riguarda il ritorno dei sintomi alla sospensione della paroxetina. La sospensione di tale farmaco, in misura più frequente degli altri antidepressivi, si fa sentire coi "sintomi da sospensione", i quali è facile scambiare per la ricaduta. Parlerei col Suo specialista anche di questa ipotesi. La sospensione di un farmaco non bisogna fare da solo, o in un modo brusco, ma gradualmente e sempre sotto monitoraggio di uno spesiclista. Anche con l'amisulpiride tali fenomeni "da sospensione" sono possibili, anche se in misura minore.
Rispetto agli aspetti non farmacologici,
proviamo a paragonare la depressione col raffreddore. Un farmaco antiinfiammatorio può eliminare i sintomi del raffreddore e un antibiotico mirato può anche uccidere i germi che l'hanno causato, se è una malattia batterica. Questo è a patto che il sistema immunitario della persona è abbastanza integra, e la persona non si espone ai fattori di rischio (non si espone al freddo, ad es.). Così anche un farmaco antidepressivo fa solo una parte del lavoro necessario: non elimina i fattori di stress che possono esserci nella Sua vita, le condizioni esterne e interne che possono ostacolare la vita psicologicamente sana, non elimina le predisposizioni ad "ammallarsi di depressione" legate alle personali impostazioni psicologiche, alle abitudini caratteriali, agli schemi mentali e comportamentali.
In uno delle Sue domande precedenti su questo sito Lei parla del "mal d'amore". Certamente sono dei vissuti del tutto normali, ma c'è chi ne ha più sensibile e chi meno. C'è chi affronta una tale situazione non riuscendo a elaborarla anche a lungo e c'è chi, come Lei sa, adopera le altre strategie. Questo lo scrivo assolutamente non per criticare il Suo atteggiamento (al Suo posto mi sentirei probabilmente in un modo molto simile), ma per dire che i processi psicologici e biologici che ci accompagnano nell'abbandono e nella perdita sono molto simili a quelli della depressione. Alcune persone sono più portate (per motivi della loro storia, degli abitudini mentali creatasi ecc.) di mettere in moto tali processi (e non solo nel "mal d'amore", ma anche nelle malattie psichiche più invalidanti).
Dunque, vedrei la terapia farmacologica come qualcosa che Le possa dare il tempo di tregua dalla malattia conclamata, la tregua che bisognerebbe far fruttare per "aggiustare" il resto.
In una delle Sue discussioni precedenti Lei scrive del Suo tentativo molto motivato di iniziare la psicoterapia. Come è andata ?
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Utente
Si, le rispondo.
Per quanto riguarda la cura con sereupin è stata fatta per 1 anno e sette mesi circa a 20mg poi ho scalato a 10mg per altri 5 mesi circa e poi ho sospeso del tutto. Purtroppo dopo un paio di mesi ho avuto una ricaduta e non sono più riuscito ad assumere i 20 mg, ma solo 10mg per gli effetti indesiderati. Visto che stavo bene con 10mg la mia dottoressa mi ha detto di proseguire così.
Ho fatto psicoterapia per circa 9 mesi, fino alla sospensione del farmaco, poi su suggerimento dello psicoterapeuta abbiamo deciso che non era più necessario proseguire con gli incontri, ma è servita a poco a quanto pare e soprattutto è molto costosa!
Per quanto riguarda i sintomi da sospensione, non credo che mi riguardino, la sospensione è avvenuta in modo molto graduale. Dopo essere stato a 10mg ho scalato a 5mg per due settimane, poi 5mg un giorno si e uno no per un'altra settimana e poi stop. Sintomi non ne ho avuti, poi dopo circa 2 mesi la ricaduta. Ora addirittura sto male se da 10mg tento di scendere a 5mg, come è successo lo scorso dicembre. Praticamente ora sono bloccato a questo dosaggio perchè non posso prenderne di più(quindi raggiungere la dose efficace) o meno perchè sto male.
E poi ora sono combattuto con questo nuovo dottore che mi dice di provare con il solian 50mg. Appena il maltempo cesserà ne parlerò anche con la dottoressa con la quale sono in cura con sereupin. Ad ogni modo con 10mg di paroxetina sto bene, ogni tanto alti e bassi, ma sto bene, solo che forse non è il dosaggio curativo. ora capisce le mie perplessità riguardo i tempi di guarigione? cosa ne pensa?
Per quanto riguarda la cura con sereupin è stata fatta per 1 anno e sette mesi circa a 20mg poi ho scalato a 10mg per altri 5 mesi circa e poi ho sospeso del tutto. Purtroppo dopo un paio di mesi ho avuto una ricaduta e non sono più riuscito ad assumere i 20 mg, ma solo 10mg per gli effetti indesiderati. Visto che stavo bene con 10mg la mia dottoressa mi ha detto di proseguire così.
Ho fatto psicoterapia per circa 9 mesi, fino alla sospensione del farmaco, poi su suggerimento dello psicoterapeuta abbiamo deciso che non era più necessario proseguire con gli incontri, ma è servita a poco a quanto pare e soprattutto è molto costosa!
Per quanto riguarda i sintomi da sospensione, non credo che mi riguardino, la sospensione è avvenuta in modo molto graduale. Dopo essere stato a 10mg ho scalato a 5mg per due settimane, poi 5mg un giorno si e uno no per un'altra settimana e poi stop. Sintomi non ne ho avuti, poi dopo circa 2 mesi la ricaduta. Ora addirittura sto male se da 10mg tento di scendere a 5mg, come è successo lo scorso dicembre. Praticamente ora sono bloccato a questo dosaggio perchè non posso prenderne di più(quindi raggiungere la dose efficace) o meno perchè sto male.
E poi ora sono combattuto con questo nuovo dottore che mi dice di provare con il solian 50mg. Appena il maltempo cesserà ne parlerò anche con la dottoressa con la quale sono in cura con sereupin. Ad ogni modo con 10mg di paroxetina sto bene, ogni tanto alti e bassi, ma sto bene, solo che forse non è il dosaggio curativo. ora capisce le mie perplessità riguardo i tempi di guarigione? cosa ne pensa?
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Gentile utente,
mi scusi, non ho capito prima che i medici "del sereupin" e "del solian" sono due medici diversi. Come mai ? Ha chiesto un secondo parere ? Pensava di cambiare lo specialista ?
Eventualmente è' anche possibile l'associazione dei due farmaci a basse dosi (da discutere con la Sua curante). Nella fase di passaggio da un farmaco ad altro una delle strategie è l'introduzione graduale del secondo farmaco senza aver ancora sospeso completamente il primo. Tale fase "di transizione" può costituire anche uno schema di terapia a lungo termine. Anche perché i due farmaci hanno azione sui sistemi un po' diversi: della serotonina (paroxetina) e della dopamina (amisulpiride).
Forse veramente non vale la pena semplicemente cambiare da un farmaco ad altro, solo per raggiungere lo stesso stato di compenso che ha già e con le prospettive della guarigione definitiva, anche se maggiori, ma comunque, incerte a priori.
Rimango del mio parere, espresso alla fine della mia replica precedente, che non basta fare la terapia farmacologica. Questa non può fare tutto.
A parte la costosità della psicoterapia (alla quale si può rimediare, chiedendo di essere seguito da uno psicologo/ una psicologa nel servizio pubblico), mentre faceva la psicoterapia avvertiva qualche cambiamento ? che tipo di psicoterapia era ?
Che cosa pensa di quello che Le ho scritto nella seconda parte della mia reolica precedente ?
mi scusi, non ho capito prima che i medici "del sereupin" e "del solian" sono due medici diversi. Come mai ? Ha chiesto un secondo parere ? Pensava di cambiare lo specialista ?
Eventualmente è' anche possibile l'associazione dei due farmaci a basse dosi (da discutere con la Sua curante). Nella fase di passaggio da un farmaco ad altro una delle strategie è l'introduzione graduale del secondo farmaco senza aver ancora sospeso completamente il primo. Tale fase "di transizione" può costituire anche uno schema di terapia a lungo termine. Anche perché i due farmaci hanno azione sui sistemi un po' diversi: della serotonina (paroxetina) e della dopamina (amisulpiride).
Forse veramente non vale la pena semplicemente cambiare da un farmaco ad altro, solo per raggiungere lo stesso stato di compenso che ha già e con le prospettive della guarigione definitiva, anche se maggiori, ma comunque, incerte a priori.
Rimango del mio parere, espresso alla fine della mia replica precedente, che non basta fare la terapia farmacologica. Questa non può fare tutto.
A parte la costosità della psicoterapia (alla quale si può rimediare, chiedendo di essere seguito da uno psicologo/ una psicologa nel servizio pubblico), mentre faceva la psicoterapia avvertiva qualche cambiamento ? che tipo di psicoterapia era ?
Che cosa pensa di quello che Le ho scritto nella seconda parte della mia reolica precedente ?
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Utente
Si ha ragione, purtroppo spiegarsi qui non è semplicissimo. Ad ogni modo il medico del sereupin è la mia dottoressa di base che data la mia non eccessiva gravità del problema ha ritenuto di poter gestire la situazione. Mentre il medico del solian è un neuropsichiatra. A seguito del secondo tentativo di sospensione andato a male ho deciso di chiedere un parere ad uno specialista (nonostante mi fidi davvero tanto della mia dottoressa, purtroppo ero in preda al malessere ed ero spaventato), il quale mi ha detto che la mia dottoressa ha agito in assoluta correttezza per quanto riguarda la terapia, ma lui a distanza di tre anni senza nessun effetto curativo ritiene di provare con un farmaco diverso, in quanto secondo lui il sereupin non ha avuto su di me effetti curativi ma solo sintomatici.
Mentre facevo psicoterapia stavo bene, ma forse ero soprattutto sollevato dal fatto di avere una persona alla quale raccontare eventuali disagi e problemi avuti in settimana, in particolare il fatto che questa persona comprendesse il mio malessere. Non saprei dirle che tipo di psicoterapia fosse, mi faceva parlare della mia vita quotidiana e degli eventi che capitavano quando non stavo benissimo. Mi dava consigli mi faceva ragionare sulle situazioni, ma non saprei dare un nome alla terapia.
In realtà quando ho tentato la sospensione forse non ero completamente libero da sintomi, perchè comunque raramente mi capitavano episodi di difficoltà di addormentamento e lieve depressione. Ma era comunque tutto sotto controllo, sintomi molto ridotti rispetto al mio malessere senza farmaci.
Per quanta riguarda quello che dice nella seconda parte, beh potrebbe aver ragione, anche se ormai non ho più nessuna sensazione di fastidio dovuta alla storia finita con la mia ex ragazza, ho un'altra ragazza e sono tornato a stare bene, ma come dice lei probabilmente inconsciamente qualcosa mi è rimasto che potrebbe crearmi problemi...non so. Entrambi i miei dottori ritengono il problema solo chimico, e mi hanno detto di non impazzire a cercare cause altrove. Quindi non saprei.
Spero che ora sia riuscito a chiarire i vari punti.
Mentre facevo psicoterapia stavo bene, ma forse ero soprattutto sollevato dal fatto di avere una persona alla quale raccontare eventuali disagi e problemi avuti in settimana, in particolare il fatto che questa persona comprendesse il mio malessere. Non saprei dirle che tipo di psicoterapia fosse, mi faceva parlare della mia vita quotidiana e degli eventi che capitavano quando non stavo benissimo. Mi dava consigli mi faceva ragionare sulle situazioni, ma non saprei dare un nome alla terapia.
In realtà quando ho tentato la sospensione forse non ero completamente libero da sintomi, perchè comunque raramente mi capitavano episodi di difficoltà di addormentamento e lieve depressione. Ma era comunque tutto sotto controllo, sintomi molto ridotti rispetto al mio malessere senza farmaci.
Per quanta riguarda quello che dice nella seconda parte, beh potrebbe aver ragione, anche se ormai non ho più nessuna sensazione di fastidio dovuta alla storia finita con la mia ex ragazza, ho un'altra ragazza e sono tornato a stare bene, ma come dice lei probabilmente inconsciamente qualcosa mi è rimasto che potrebbe crearmi problemi...non so. Entrambi i miei dottori ritengono il problema solo chimico, e mi hanno detto di non impazzire a cercare cause altrove. Quindi non saprei.
Spero che ora sia riuscito a chiarire i vari punti.
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Ok, cerco di riassumere.
Nella seconda parte della mia seconda replica alla quale mi riferivo non intendevo la storia con la Sua ex ragazza in sé, ma l'ho preso come un esempio dei modi di affrontare le situazioni della vita. La Sua reazione alla separazione dalla ex ragazza Lei stesso ha paragonato con una malattia (mal d'amore) che alla fine Lei è riuscito a superarlo (sarebbe utile ricordarsi come). Certi stati psichici sono ben più difficili da superare (come la Sua depressione), ma i meccanismi che ci sottostanno sono essenzialmente gli stessi. Sì, qualcosa Le è probabilmente "rimasto", ma non mi riferisco alla storia con l'ex ragazza; parlo di qualcosa che Lei ha avuto ancora prima: il modo di affrontare le situazioni:
La Sua ex ragazza La lascia, e Lei non riesce ad accettarlo subito, non riesce ad affrontare il cambiamento, poi lo accetta (passivamente?); così come:
Lei decide di fare la psicoterapia, molto motivato, ma dopo un'esperienza di questo tipo (abbastanza "introduttiva", e non l'unica possibile), recede; così come:
non è soddisfatto dei risultati della cura farmacologica, si rivolge ad uno specialista, e Le viene proposto un cambiamento; ma Lei non riesce a decidersi, non essendo sicuro.
Le cose con le quali probabilmente Lei andrebbe più d'accordo potrebbero essere quelli più stabili:
senza rompere i legami sentimentali che ci sono già, senza cambiare le medicine, e sapendo, con prevedibilità, i tempi della guarigione.
Lei mi dirà che sono cose normali. Sì, sono assolutamente normali in generale, ma ogni persona ne ha un po' di più o un po' di meno, e in chi soffre di depressione vanno valutate con più attenzione.
Sono degli esempi, in base a quel poco che conosco di Lei. Non intendo e non posso via internet "analizzarLa", non è questo il mio obbiettivo. Vorrei piuttosto volgere la Sua attenzione sulla possibilità che potrebbero esserci nel Suo modo di affrontare gli eventi alcune tendenze caratteristiche che non necessariamente dipendono dalla Depressione, ma da alcune modalità preesistenti alla malattia. Ad esempio, la difficoltà di accettare i cambiamenti.. Non so se queste mie osservazioni concordano almeno in parte con le Sue, ma questa difficoltà di cambiamento è comunque quasi naturale in alcuni periodi di vita: spesso si risolve spontaneamente con lo sviluppo, ma in alcune persone è più radicata e può essere più difficile da superare, con la depressione si aggrava.
La psicoterapia, così come da Lei descritta, probabilmente non è stata fatta "a piena dose" e non è stata abbastanza incisiva; posso ipotizzare che in una persona che oltrepassa un periodo di depressione si è preferito di non essere troppo "radicali", per non peggiorare quello che si è riuscito raggiungere, e posso ipotizzare che per iniziare "a piena dose" ci vuole un periodo preparatorio. Quello che si è costruito durante la psicoterapia ("avere una persona alla quale raccontare eventuali disagi e problemi avuti in settimana, in particolare il fatto che questa persona comprendesse il mio malessere") in realtà è stata una cosa molto importante in sé, essenziale per iniziare e, eventualmente, per proseguire. Per questo la considererei come se fosse "la parte introduttiva", ma mi riferivo ad una psicoterapia più approfondita. Inoltre, in una pscoterapia (come in farmco-terapia) importante mettere gli obbiettivi.
Rispetto alle cause "chimiche", con tutto il rispetto verso gli altri specialisti, devo dire che, secondo me, è più un modo, appunto di evitare che Lei si tormenta cercando le risposte, però di per sé non è una risposta, perché tutto ha cause "chimiche", non solo la depressione, ma anche la trasformazione dell'acqua nella neve. Anche le tendenze di carattere, comportamentali, decisionali hanno sempre cause chimiche. Anche la psicoterapia produce nella persona cambiamenti a livello chimico.
Però questo livello di spiegazione non è sufficiente per trovare le cure. I farmaci antidepressivi sono stati adoperati ancora prima che si sapesse come funzionano esattamente, semplicemente perché hanno visto che funzionano. Per questo nei disturbi depressivi sono indicati certi farmaci, ed è indicata anche la psicoterapia (in associazione): sempre perché hanno visto che funziona.
In conclusione, coi limiti del consulto fatto via internet, posso consigliarLe di discutere col Suo psichiatra della eventualità di associazione dei due farmaci (paroxetina e amisulpiride), dando il primo, anche a bassa dose una certa sicurezza nei confronti delle ricadute (secondo la Sua descrizione) e potendo il secondo (amisulpiride) esserne complementare (perché agiscono sui meccanismi un po' diversi). Se nei tempi previsti dal Suo psichiatra (non è possibile determinarli universalmente per tutti) non si raggiunge un miglioramento, parlerei con lui di un nuovo ciclo di psicoterapia (però è indispensabile, come la volta scorsa, la Sua motivazione).
spero di esserLe stato in quache maniera utile;
un saluto,
Nella seconda parte della mia seconda replica alla quale mi riferivo non intendevo la storia con la Sua ex ragazza in sé, ma l'ho preso come un esempio dei modi di affrontare le situazioni della vita. La Sua reazione alla separazione dalla ex ragazza Lei stesso ha paragonato con una malattia (mal d'amore) che alla fine Lei è riuscito a superarlo (sarebbe utile ricordarsi come). Certi stati psichici sono ben più difficili da superare (come la Sua depressione), ma i meccanismi che ci sottostanno sono essenzialmente gli stessi. Sì, qualcosa Le è probabilmente "rimasto", ma non mi riferisco alla storia con l'ex ragazza; parlo di qualcosa che Lei ha avuto ancora prima: il modo di affrontare le situazioni:
La Sua ex ragazza La lascia, e Lei non riesce ad accettarlo subito, non riesce ad affrontare il cambiamento, poi lo accetta (passivamente?); così come:
Lei decide di fare la psicoterapia, molto motivato, ma dopo un'esperienza di questo tipo (abbastanza "introduttiva", e non l'unica possibile), recede; così come:
non è soddisfatto dei risultati della cura farmacologica, si rivolge ad uno specialista, e Le viene proposto un cambiamento; ma Lei non riesce a decidersi, non essendo sicuro.
Le cose con le quali probabilmente Lei andrebbe più d'accordo potrebbero essere quelli più stabili:
senza rompere i legami sentimentali che ci sono già, senza cambiare le medicine, e sapendo, con prevedibilità, i tempi della guarigione.
Lei mi dirà che sono cose normali. Sì, sono assolutamente normali in generale, ma ogni persona ne ha un po' di più o un po' di meno, e in chi soffre di depressione vanno valutate con più attenzione.
Sono degli esempi, in base a quel poco che conosco di Lei. Non intendo e non posso via internet "analizzarLa", non è questo il mio obbiettivo. Vorrei piuttosto volgere la Sua attenzione sulla possibilità che potrebbero esserci nel Suo modo di affrontare gli eventi alcune tendenze caratteristiche che non necessariamente dipendono dalla Depressione, ma da alcune modalità preesistenti alla malattia. Ad esempio, la difficoltà di accettare i cambiamenti.. Non so se queste mie osservazioni concordano almeno in parte con le Sue, ma questa difficoltà di cambiamento è comunque quasi naturale in alcuni periodi di vita: spesso si risolve spontaneamente con lo sviluppo, ma in alcune persone è più radicata e può essere più difficile da superare, con la depressione si aggrava.
La psicoterapia, così come da Lei descritta, probabilmente non è stata fatta "a piena dose" e non è stata abbastanza incisiva; posso ipotizzare che in una persona che oltrepassa un periodo di depressione si è preferito di non essere troppo "radicali", per non peggiorare quello che si è riuscito raggiungere, e posso ipotizzare che per iniziare "a piena dose" ci vuole un periodo preparatorio. Quello che si è costruito durante la psicoterapia ("avere una persona alla quale raccontare eventuali disagi e problemi avuti in settimana, in particolare il fatto che questa persona comprendesse il mio malessere") in realtà è stata una cosa molto importante in sé, essenziale per iniziare e, eventualmente, per proseguire. Per questo la considererei come se fosse "la parte introduttiva", ma mi riferivo ad una psicoterapia più approfondita. Inoltre, in una pscoterapia (come in farmco-terapia) importante mettere gli obbiettivi.
Rispetto alle cause "chimiche", con tutto il rispetto verso gli altri specialisti, devo dire che, secondo me, è più un modo, appunto di evitare che Lei si tormenta cercando le risposte, però di per sé non è una risposta, perché tutto ha cause "chimiche", non solo la depressione, ma anche la trasformazione dell'acqua nella neve. Anche le tendenze di carattere, comportamentali, decisionali hanno sempre cause chimiche. Anche la psicoterapia produce nella persona cambiamenti a livello chimico.
Però questo livello di spiegazione non è sufficiente per trovare le cure. I farmaci antidepressivi sono stati adoperati ancora prima che si sapesse come funzionano esattamente, semplicemente perché hanno visto che funzionano. Per questo nei disturbi depressivi sono indicati certi farmaci, ed è indicata anche la psicoterapia (in associazione): sempre perché hanno visto che funziona.
In conclusione, coi limiti del consulto fatto via internet, posso consigliarLe di discutere col Suo psichiatra della eventualità di associazione dei due farmaci (paroxetina e amisulpiride), dando il primo, anche a bassa dose una certa sicurezza nei confronti delle ricadute (secondo la Sua descrizione) e potendo il secondo (amisulpiride) esserne complementare (perché agiscono sui meccanismi un po' diversi). Se nei tempi previsti dal Suo psichiatra (non è possibile determinarli universalmente per tutti) non si raggiunge un miglioramento, parlerei con lui di un nuovo ciclo di psicoterapia (però è indispensabile, come la volta scorsa, la Sua motivazione).
spero di esserLe stato in quache maniera utile;
un saluto,
[#8]
Utente
Gentilissimo dottore,
io vorrei innanzitutto complimentarmi con lei e anche con gli altri medici che rispondono in questo sito perchè donate il vostro tempo a chi soffre come me, ma soprattutto perchè siete incredibilmente bravi.
Non so come sia riuscito, ma lei sembra aver capito di me già tantissimo! Proprio come dice lei io ho dei grossi problemi ad accettare e superare i cambiamenti. Ma la cosa incredibile è che proprio come dice lei io sono sempre stato così fin da prima di iniziare ad avere problemi di insonnia, ansia e depressione(a circa 27 anni)... per esempio ricordo quando ero piccolo i problemi che ho avuto ad inserirmi alla scuola materna, ero il bimbo più timido e piagnucolone della scuola, me ne stavo sempre da solo o attaccato alle maestre, finchè dopo qualche tempo (molto tempo), mi sbloccavo e iniziavo a socializzare, ma sempre con una timidezza al di sopra degli altri. Poi la situazione si è ripetuta al passaggio alle elementari, ho avuto un difficile inserimento, ero timidissimo, piangevo tantissimo, col senno di poi io penso che ero troppo diverso dagli altri ad affrontare questa novità... gli altri socializzavano molto più in fretta di me! Ad ogni modo non ho mai avuto problemi di apprendimento, anzi ero sempre tra i bimbi/ragazzi più capaci(forse perchè avevo anche paura di essere giudicato male, comunque a scuola andavo bene). Il problema si è poi ripetuto in forma più lieve alle medie, ma ricordo ancora le mie difficoltà dei primi tempi, finchè non comincio ad avere confidenza con la gente che avevo intorno vivevo male la situazione e mi sentivo sempre inferiore agli altri... alle superiori andò decisamente meglio, pensavo che crescendo stavo migliorando, anche se portavo con me il mio carico di timidezza e a volte di inferiorità. All'università andò ancora meglio, anzi li ero felicissimo di stare con tante persone nuove, in quel periodo che ricordo come il più felice della mia vita mi sono capitate tante cose positive, ho iniziato a lavorare anche in una piscina come allenatore, ho avuto la mia prima vera storia d'amore, conoscevo tante persone nuove ed avevo una vita straimpegnata e strafelice! Il baratro è iniziato secondo me quando iniziai a fare la tesi in azienda, in quel periodo la mia ragazza mi lasciò, è ho vissuto tutto il periodo della tesi come un incubo(in quanto oltre ad affrontare la novità dell'azienda soffrivo per la perdita della mia ragazza), la mia vita era cambiata dal punto di vista affettivo e di abitudini, mi vedevo chiuso in questo ufficio per otto ore il più delle quali a fare niente e senza parlare con nessuno, aspettando il mio relatore che mi dicesse cosa fare, mi sembrava di buttare via del tempo! Anche quando mi laureai e dopo un po' cambiai lavoro stessi problemi, vedevo l'ufficio un po' come una prigione senza via di uscita, ora va molto meglio in quanto ho socializzato con i colleghi e si vive meglio la giornata, anche se a volte mi ritorna il pensiero di essere imprigionato qui senza via di uscita per tutta la vita con le settimane scandite dal lavoro...soprattutto quando capitano periodi di scarso impegno.
Io ho provato a spiegare queste cose ai miei curanti, ma loro dicono che sono cose abbastanza normali, poi ci sono persone che reagiscono meglio a questi eventi e altre che reagiscono come me, ma non le ritengono cause della mia malattia. Pensi che per andare dallo psicoterapeuta ho duvuto insistere io con la mia dottoressa, in quanto lei non lo riteneva necessario... anche il neuropsichiatra che mi ha consigliato solian 50mg, alla domanda che gli ho posto "secondo lei da cosa dipende la distimia che mi ha diagnosticato?" mi ha risposto che le cause non si conoscono ancora...
Ad ogni modo proverò a valutare anche le sue considerazione, le chiedo un ultima cosa, come si fa per poter avere uno psicoterapeuta della mutua dato che purtroppo 60 euro a settimana per me sono un po' eccessivi?
Grazie ancora!
io vorrei innanzitutto complimentarmi con lei e anche con gli altri medici che rispondono in questo sito perchè donate il vostro tempo a chi soffre come me, ma soprattutto perchè siete incredibilmente bravi.
Non so come sia riuscito, ma lei sembra aver capito di me già tantissimo! Proprio come dice lei io ho dei grossi problemi ad accettare e superare i cambiamenti. Ma la cosa incredibile è che proprio come dice lei io sono sempre stato così fin da prima di iniziare ad avere problemi di insonnia, ansia e depressione(a circa 27 anni)... per esempio ricordo quando ero piccolo i problemi che ho avuto ad inserirmi alla scuola materna, ero il bimbo più timido e piagnucolone della scuola, me ne stavo sempre da solo o attaccato alle maestre, finchè dopo qualche tempo (molto tempo), mi sbloccavo e iniziavo a socializzare, ma sempre con una timidezza al di sopra degli altri. Poi la situazione si è ripetuta al passaggio alle elementari, ho avuto un difficile inserimento, ero timidissimo, piangevo tantissimo, col senno di poi io penso che ero troppo diverso dagli altri ad affrontare questa novità... gli altri socializzavano molto più in fretta di me! Ad ogni modo non ho mai avuto problemi di apprendimento, anzi ero sempre tra i bimbi/ragazzi più capaci(forse perchè avevo anche paura di essere giudicato male, comunque a scuola andavo bene). Il problema si è poi ripetuto in forma più lieve alle medie, ma ricordo ancora le mie difficoltà dei primi tempi, finchè non comincio ad avere confidenza con la gente che avevo intorno vivevo male la situazione e mi sentivo sempre inferiore agli altri... alle superiori andò decisamente meglio, pensavo che crescendo stavo migliorando, anche se portavo con me il mio carico di timidezza e a volte di inferiorità. All'università andò ancora meglio, anzi li ero felicissimo di stare con tante persone nuove, in quel periodo che ricordo come il più felice della mia vita mi sono capitate tante cose positive, ho iniziato a lavorare anche in una piscina come allenatore, ho avuto la mia prima vera storia d'amore, conoscevo tante persone nuove ed avevo una vita straimpegnata e strafelice! Il baratro è iniziato secondo me quando iniziai a fare la tesi in azienda, in quel periodo la mia ragazza mi lasciò, è ho vissuto tutto il periodo della tesi come un incubo(in quanto oltre ad affrontare la novità dell'azienda soffrivo per la perdita della mia ragazza), la mia vita era cambiata dal punto di vista affettivo e di abitudini, mi vedevo chiuso in questo ufficio per otto ore il più delle quali a fare niente e senza parlare con nessuno, aspettando il mio relatore che mi dicesse cosa fare, mi sembrava di buttare via del tempo! Anche quando mi laureai e dopo un po' cambiai lavoro stessi problemi, vedevo l'ufficio un po' come una prigione senza via di uscita, ora va molto meglio in quanto ho socializzato con i colleghi e si vive meglio la giornata, anche se a volte mi ritorna il pensiero di essere imprigionato qui senza via di uscita per tutta la vita con le settimane scandite dal lavoro...soprattutto quando capitano periodi di scarso impegno.
Io ho provato a spiegare queste cose ai miei curanti, ma loro dicono che sono cose abbastanza normali, poi ci sono persone che reagiscono meglio a questi eventi e altre che reagiscono come me, ma non le ritengono cause della mia malattia. Pensi che per andare dallo psicoterapeuta ho duvuto insistere io con la mia dottoressa, in quanto lei non lo riteneva necessario... anche il neuropsichiatra che mi ha consigliato solian 50mg, alla domanda che gli ho posto "secondo lei da cosa dipende la distimia che mi ha diagnosticato?" mi ha risposto che le cause non si conoscono ancora...
Ad ogni modo proverò a valutare anche le sue considerazione, le chiedo un ultima cosa, come si fa per poter avere uno psicoterapeuta della mutua dato che purtroppo 60 euro a settimana per me sono un po' eccessivi?
Grazie ancora!
[#9]
Gentile utente,
Innanzitutto la distimia non è una sindrome che "durerà" almeno due anni, è una che è in corso da almeno due anni. Lei parlava di anni come se fossero previsioni su quanto ci vorrà per uscirne, non sono riferiti a questo.
Se la diagnosi di partenza è una depressione e trattandola si attenua non mi pare questo corrisponda ad una diagnosi di distimia spontanea, c'è di mezzo una terapia.
In ogni caso, se questa cura non funziona, cosa che si verifica dopo 1-2 mesi, ve ne sono diverse altre per il trattamento della depressione.
Innanzitutto la distimia non è una sindrome che "durerà" almeno due anni, è una che è in corso da almeno due anni. Lei parlava di anni come se fossero previsioni su quanto ci vorrà per uscirne, non sono riferiti a questo.
Se la diagnosi di partenza è una depressione e trattandola si attenua non mi pare questo corrisponda ad una diagnosi di distimia spontanea, c'è di mezzo una terapia.
In ogni caso, se questa cura non funziona, cosa che si verifica dopo 1-2 mesi, ve ne sono diverse altre per il trattamento della depressione.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
[#10]
Utente
Salve dottor Pacini,
innanzitutto grazie anche a lei per l'interessamento. Per quanto riguarda i due anni ho capito benissimo il significato. Il neuropsichiatra che mi ha visitato ultimamente mi ha detto che secondo lui a distanza di 3 anni di cura con sereupin(con cui sono stato bene durante la cura) visto che alla sospensione i sintomi ritornano subito questo vuol dire che secondo lui non ha avuto un effetto curativo. Quindi mi dice che secondo lui il farmaco più adatto è il solian 50mg. In questo modo dovrei avere anche effetti curativi. La diagnosi iniziale era di lieve depressione con somatizzazioni ansiose (fatta dal mio medico di base e che a me comune mortale dice poco, non so nemmeno se è una diagnosi). Il neuropsichiatra ha corretto la diagnosi in distimia (che a me dice ancora meno). Ora sto valutando se iniziare o meno la nuova terapia, appena le condizioni meteo lo permetteranno andrò a parlarne con la mia curante e valutiamo il tutto. Nel frattempo avevo letto in rete qua e la qualcosa sulla distimia e leggevo che è una depressione più lieve, ma che dura un sacco di tempo, si parla di tempi medi di 5 anni con picchi di 30 anni... in effetti io è già 4 anni che ne soffro e più di 3 che sono in cura con sereupin. Da un anno e mezzo con solo mezza compressa perchè non riesco più ad assumerne di più a causa della nausea e agitazione che mi provoca. Comunque mezza mi faceva stare bene, ora purtroppo è qualche tempo che dopo aver tentato di toglierlo di nuovo a dicembre e poi tentato di aumentarlo nuovamente a 1 compressa senza successo, non ritorno più a stare bene come prima di dicembre... forse devo aspettare ancora un po' o forse devo davvero provare il solian... non so.
innanzitutto grazie anche a lei per l'interessamento. Per quanto riguarda i due anni ho capito benissimo il significato. Il neuropsichiatra che mi ha visitato ultimamente mi ha detto che secondo lui a distanza di 3 anni di cura con sereupin(con cui sono stato bene durante la cura) visto che alla sospensione i sintomi ritornano subito questo vuol dire che secondo lui non ha avuto un effetto curativo. Quindi mi dice che secondo lui il farmaco più adatto è il solian 50mg. In questo modo dovrei avere anche effetti curativi. La diagnosi iniziale era di lieve depressione con somatizzazioni ansiose (fatta dal mio medico di base e che a me comune mortale dice poco, non so nemmeno se è una diagnosi). Il neuropsichiatra ha corretto la diagnosi in distimia (che a me dice ancora meno). Ora sto valutando se iniziare o meno la nuova terapia, appena le condizioni meteo lo permetteranno andrò a parlarne con la mia curante e valutiamo il tutto. Nel frattempo avevo letto in rete qua e la qualcosa sulla distimia e leggevo che è una depressione più lieve, ma che dura un sacco di tempo, si parla di tempi medi di 5 anni con picchi di 30 anni... in effetti io è già 4 anni che ne soffro e più di 3 che sono in cura con sereupin. Da un anno e mezzo con solo mezza compressa perchè non riesco più ad assumerne di più a causa della nausea e agitazione che mi provoca. Comunque mezza mi faceva stare bene, ora purtroppo è qualche tempo che dopo aver tentato di toglierlo di nuovo a dicembre e poi tentato di aumentarlo nuovamente a 1 compressa senza successo, non ritorno più a stare bene come prima di dicembre... forse devo aspettare ancora un po' o forse devo davvero provare il solian... non so.
[#11]
Gentile utente,
Mi scusi ma mi sembra ci sia confusione. Lei ha fatto una cura e stava bene (sereupin), poi lo smette e dopo sta di nuovo male. Quindi si cambia farmaco, e qui manca un perché, anzi è contro logica, perché se stava bene con la paroxetina, non c'è una ragione stretta per pensare di usare come prima cosa un farmaco diverso.
Distimia o depressione, cambia poco a livello terapeutico. Che non abbia avuto effetto curativo è un conto (cioè finché lo prende sta bene, se non lo prende sta male), ma questo non mi sembra un criterio per non utilizzarlo più. Un altro medicinale dovrebbe invece avere a priori un effetto curativo ? Non risulta. Poi non si tratta di effetto curativo, per curativo si intende che lei sta bene e continua a star bene. Effetto di produrre guarigione definitiva, questo no, ma appunto la guarigione definitiva di un disturbo che comuque ha una tendenza a ricorrere non vedo cosa di preciso voglia dire.
Mi scusi ma mi sembra ci sia confusione. Lei ha fatto una cura e stava bene (sereupin), poi lo smette e dopo sta di nuovo male. Quindi si cambia farmaco, e qui manca un perché, anzi è contro logica, perché se stava bene con la paroxetina, non c'è una ragione stretta per pensare di usare come prima cosa un farmaco diverso.
Distimia o depressione, cambia poco a livello terapeutico. Che non abbia avuto effetto curativo è un conto (cioè finché lo prende sta bene, se non lo prende sta male), ma questo non mi sembra un criterio per non utilizzarlo più. Un altro medicinale dovrebbe invece avere a priori un effetto curativo ? Non risulta. Poi non si tratta di effetto curativo, per curativo si intende che lei sta bene e continua a star bene. Effetto di produrre guarigione definitiva, questo no, ma appunto la guarigione definitiva di un disturbo che comuque ha una tendenza a ricorrere non vedo cosa di preciso voglia dire.
[#12]
Utente
Le spiego esattamente come sono andate le cose. Fino a dicembre stavo bene con la mia mezza compressa di sereupin, poi ho tentato di ridurre la dose, ma senza successo. Sono subito tornato a prendere mezza compressa, ma la dottoressa mi ha detto di tornare alla dose di 1 compressa. Purtroppo non sono riuscito a causa degli effetti indesiderati, sono stato male per più di 3 settimane senza che passassero. Così in questo periodo la mia ragazza mi ha proposto una visita da un neuropsichiatra di sua conoscienza, il quale mi ha diagnosticato la distimia e mi ha detto di passare al solian 50mg, spiegandomi che secondo lui è la cura più adatta per i motivi che ho spiegato già nel precedente intervento. Ora già da 2 settimane sono tornato alla dose di mezza compressa, ma nonostante i miglioramenti non sono ancora tornato a stare bene come prima di dicembre. L'ansia si è placata, ma mi sento molto fiacco, ho sensazioni strane che fatico a descrivere e ogni tanto devo ricorrere all'en, poche gocce solo per cercare di dormire bene... forse bisogna ancora che attenda che mi stabilizzi nuovamente con il dosaggio della paroxetina. Non so... comunque spero che ora la situazione le sia un po' più chiara.
[#13]
Gentile utente,
E' un decorso in cui appunto c'è stata un po' di confusione. Quali effetti indesiderati se fino a poco prima aveva preso quella dose, e a lungo ? E' stato male e riaumentando non è stato bene, ma come spesso accade probabilmente anziché identificare la ricaduta ha puntato il dito contro quella mezza compressa in più che fino a poco prima aveva tranquillamente assunto.
E' chiaro che se ricade la cura non funziona il giorno dopo, ci rimette lo stesso tempo di prima, un mese, non importa se era solo mezza in meno.
Un'altra cosa. Non è un insuccesso di nessuno, era una prova, va verificato il risultato. Il successo è star bene, smettere le medicine è una prova.
E' un decorso in cui appunto c'è stata un po' di confusione. Quali effetti indesiderati se fino a poco prima aveva preso quella dose, e a lungo ? E' stato male e riaumentando non è stato bene, ma come spesso accade probabilmente anziché identificare la ricaduta ha puntato il dito contro quella mezza compressa in più che fino a poco prima aveva tranquillamente assunto.
E' chiaro che se ricade la cura non funziona il giorno dopo, ci rimette lo stesso tempo di prima, un mese, non importa se era solo mezza in meno.
Un'altra cosa. Non è un insuccesso di nessuno, era una prova, va verificato il risultato. Il successo è star bene, smettere le medicine è una prova.
[#14]
Utente
Le spiego perchè possiamo affermare con certezza che non riesco più a tollerare più di mezza compressa. La mia cura con una intera è durata circa un anno e 7 mesi, poi sono passato a metà e dopo circa 6 mesi sospesi del tutto la prima volta. Dopo solo 2 mesi ebbi una ricaduta, tentai di ricominciare risalendo "lentamente" a 1, ma già a 3/4 la nausea e l'agitazione che provavo erano troppo insopportabili, così mi fermai a metà e piano piano ricominciai a stare bene. Dopo quasi 10 mesi forte del mio stare bene ho ritentato a sospendere di nuovo(8 dicembre), ma visto che ho iniziato quasi subito a stare male seppur eliminando solo un quarto di compressa ripresi la cura immediatamente con mezza compressa(15 dicembre), ma la dottoressa mi fece riprovare a salire a 1 compressa in quanto giustamente ritiene che sia la dose efficace, ma anche stavolta sono stato con più di 3 settimane con sintomi come vomito nausea agitazione etc... già con solo 3/4 di compressa, così due settimane (27 gennaio)fa sono tornato a metà e ho prenotato la visita dal neuropsichiatra...ora a distanza di 2 settimane ancora non sto bene come prima, e non so se devo aspettare ancora un po' o pensare che il sereupin con me non funziona più...e chissà perchè...
[#15]
Gentile utente,
Appunto, questo non indica che Lei non tolleri il farmaco. Indica che quando sta male inizialmente le peggiora alcuni sintomi. Succede spesso. L'importante è se la dose che tollera bene è efficace o meno. Non ha senso che non tolleri una cosa che ha preso per mesi e mesi a quella dose.
Appunto, questo non indica che Lei non tolleri il farmaco. Indica che quando sta male inizialmente le peggiora alcuni sintomi. Succede spesso. L'importante è se la dose che tollera bene è efficace o meno. Non ha senso che non tolleri una cosa che ha preso per mesi e mesi a quella dose.
[#16]
Utente
Si forse ho capito cosa intende dire. Il problema è che la prima volta che presi sereupin ad una compressa intera, stetti da cani, ma male male!, per due settimane circa poi passò e stetti bene, le ultime volte invece anche solo 3/4 mi facevano davvero male (problemi gastrointestinali, agitazione e insonnia all'ennesima potenza) e dopo più di 3 settimane non stavo meglio. Fino a dicembre la dose di mezza compressa mi faceva stare bene... ora in realtà non lo so più dopo tutto il pasticcio fatto dal tentativo di sospensione non ero più tornato a stare bene come prima, forse avrei dovuto attendere un po' di più, non so. Ad ogni modo da oggi in accordo con entrambi i miei dottori (base e neuropsichiatra) ho inziato con solian 200 un quarto di compressa. Fra una settimana dovrei eliminare completamente sereupin e chiamare il neuropsichiatra per comunicargli come vado... oggi comunque a parte qualche sensazione, non so se di suggestione per il nuovo farmaco, strana tipo rimbambimento e un po' di confusione posso dire che mi sento un po' meglio e soprattutto ho tanta voglia di fare.... speriamo che questa cura vada bene e non sia solo suggestione iniziale, almeno quanto mi ha fatto bene sereupin prima... se volete vi tengo informati.
Purtroppo avevo chiesto al dottor Gukov come si poteva fare per la psicoterapia con la mutua ma non ho avuto risposta...
Grazie comunque di cuore a tutti!
Purtroppo avevo chiesto al dottor Gukov come si poteva fare per la psicoterapia con la mutua ma non ho avuto risposta...
Grazie comunque di cuore a tutti!
[#17]
Gentile utente,
ho ritenuto opportuno dare lo spazio e non interrompere il Suo consulto col Dr Pacini.
Sono contento dei miglioramenti dei quali scrive.
La psicoterapia in regime della mutua?
Esistono i Centri di Salute Mentale (CSM), l'accesso ai quali di norma è gratuito e che afferiscono alle ASL (agenzie sanitarie locali) come ci afferiscono anche i Medici della Mutua. Sono finanziati dalle tasse, come anche i servizi dei bedici di base. In questi Centri di Salute Mentale ci sono sia gli psichiatri, sia gli psicologi, ed è possibile fare la psicoterapia. Bisogna però fare prima la visita (e poi avere gli eventuali indicazione e l'invio) da uno psichiatra che lavora in un tale centro. Nella Sua città ci saranno più CSM: ognuno per ogni zona della città. Deve andare in quello che è della zona nella quale Lei è residente. In tali centri possono esserci molto più pazienti desiderosi di fare la psicoterapia che gli psicologi a disposizione, ma ci andrei e chiederei comunque !
Altrimenti dovrebbero esserci gli ambulatori di Psichiatria e di Psicoterapia presso gli Ospedali principali, dove il Suo Medico di Base può inviarLa con una prescrizione su ricetta rossa (in regime della mutua). Lì, se non può avere esenzioni, ad esempio per motivi di reddito, dovrà pagare una somma comunque molto più bassa, imparagonabile agli onorari in privato.
Inoltre esistono anche le Cliniche e gli studi privati, ma "convenzionati" con la Regione, che si occupano delle visite specialistiche, dove il Suo Medico di Base può inviarLa sempre in regime della mutua. Mi informerei dal Suo Medico di Base se conosce e se esistono tali servizi "conovenzionati" nella Sua città.
Penso che la domanda su "psicoterapia in regime della mutua" sorge dalle considerazioni economiche, e lo posso benissimo capire. Devo però avvisarLa che bisognerà dare lo spazio anche alle altre considerazioni.
Ad esempio, l'inopportunità di cambiare uno psicoterapeuta il legame col quale si è già stabilito ed il lavoro col quale è già iniziato e si è dimostrato benefico (mentre nei servizi pubblici talvolta può succedere che lo psicoterapeuta viene spostato su un altro posto di lavoro dove Lei non può accedere in regime della mutua oppure esce in pensione ecc., e potrà proseguire il lavoro con Lei solo privatamente). Insomma, con tutti i benefici dei sercizi pubblici e delle grosse istituzioni in generale, uno dei loro punti deboli è la minore costanza del rapporto con una data persona.
Inoltre, non pagare proprio niente potrebbe incidere negativamente sulla percezione dell'impegno proprio e dell'impegno dello psicoterapeuta, sulla motivazione e sulle aspettative. In altre parole, bisogna evitare l'atteggiamento "non posso aspettare un gran che, ma non ho neanche pagato".
Aggiungo inoltre che spesso uno psicoterapeuta che sappia lavorare con Lei e del quale Lei possa avere fiducia non si trova subito, bisogna cercarlo, talvolta provare con diversi prima di arrivare all'obbiettivo. Se tale psicoterapeuta si troverà nei servizi pubblici o "convenzionati" oppure nel privato non è dato sapere a priori. Le auguro, se lo decidete, di non arrendersi nella ricerca.
Sulla questione della psicoterapia può consultare anche la sezione di "Psicologia" di questo sito.
un saluto,
ho ritenuto opportuno dare lo spazio e non interrompere il Suo consulto col Dr Pacini.
Sono contento dei miglioramenti dei quali scrive.
La psicoterapia in regime della mutua?
Esistono i Centri di Salute Mentale (CSM), l'accesso ai quali di norma è gratuito e che afferiscono alle ASL (agenzie sanitarie locali) come ci afferiscono anche i Medici della Mutua. Sono finanziati dalle tasse, come anche i servizi dei bedici di base. In questi Centri di Salute Mentale ci sono sia gli psichiatri, sia gli psicologi, ed è possibile fare la psicoterapia. Bisogna però fare prima la visita (e poi avere gli eventuali indicazione e l'invio) da uno psichiatra che lavora in un tale centro. Nella Sua città ci saranno più CSM: ognuno per ogni zona della città. Deve andare in quello che è della zona nella quale Lei è residente. In tali centri possono esserci molto più pazienti desiderosi di fare la psicoterapia che gli psicologi a disposizione, ma ci andrei e chiederei comunque !
Altrimenti dovrebbero esserci gli ambulatori di Psichiatria e di Psicoterapia presso gli Ospedali principali, dove il Suo Medico di Base può inviarLa con una prescrizione su ricetta rossa (in regime della mutua). Lì, se non può avere esenzioni, ad esempio per motivi di reddito, dovrà pagare una somma comunque molto più bassa, imparagonabile agli onorari in privato.
Inoltre esistono anche le Cliniche e gli studi privati, ma "convenzionati" con la Regione, che si occupano delle visite specialistiche, dove il Suo Medico di Base può inviarLa sempre in regime della mutua. Mi informerei dal Suo Medico di Base se conosce e se esistono tali servizi "conovenzionati" nella Sua città.
Penso che la domanda su "psicoterapia in regime della mutua" sorge dalle considerazioni economiche, e lo posso benissimo capire. Devo però avvisarLa che bisognerà dare lo spazio anche alle altre considerazioni.
Ad esempio, l'inopportunità di cambiare uno psicoterapeuta il legame col quale si è già stabilito ed il lavoro col quale è già iniziato e si è dimostrato benefico (mentre nei servizi pubblici talvolta può succedere che lo psicoterapeuta viene spostato su un altro posto di lavoro dove Lei non può accedere in regime della mutua oppure esce in pensione ecc., e potrà proseguire il lavoro con Lei solo privatamente). Insomma, con tutti i benefici dei sercizi pubblici e delle grosse istituzioni in generale, uno dei loro punti deboli è la minore costanza del rapporto con una data persona.
Inoltre, non pagare proprio niente potrebbe incidere negativamente sulla percezione dell'impegno proprio e dell'impegno dello psicoterapeuta, sulla motivazione e sulle aspettative. In altre parole, bisogna evitare l'atteggiamento "non posso aspettare un gran che, ma non ho neanche pagato".
Aggiungo inoltre che spesso uno psicoterapeuta che sappia lavorare con Lei e del quale Lei possa avere fiducia non si trova subito, bisogna cercarlo, talvolta provare con diversi prima di arrivare all'obbiettivo. Se tale psicoterapeuta si troverà nei servizi pubblici o "convenzionati" oppure nel privato non è dato sapere a priori. Le auguro, se lo decidete, di non arrendersi nella ricerca.
Sulla questione della psicoterapia può consultare anche la sezione di "Psicologia" di questo sito.
un saluto,
[#18]
Gentile utente,
Continua a ripetere la stessa cosa, di cui però non mi sembra riesca a cogliere una cosa molto semplice. Quando prende o aumenta sereupin si sta spesso peggio, è successo a Lei la prima volta e anche la seconda. Non è che "faccia male", è che prima di funzionare qualche sintomo peggiore. Questo non dipende tanto dal sereupin in sé, ma dalle condizioni in cui trova il suo cervello.
Continuo a dire che questo percorso in cui per motivi non chiari si passa ad altra terapia non è di per sé molto comprensibile, che poi funzioni anche quella nuova è un altro discorso.
Continua a ripetere la stessa cosa, di cui però non mi sembra riesca a cogliere una cosa molto semplice. Quando prende o aumenta sereupin si sta spesso peggio, è successo a Lei la prima volta e anche la seconda. Non è che "faccia male", è che prima di funzionare qualche sintomo peggiore. Questo non dipende tanto dal sereupin in sé, ma dalle condizioni in cui trova il suo cervello.
Continuo a dire che questo percorso in cui per motivi non chiari si passa ad altra terapia non è di per sé molto comprensibile, che poi funzioni anche quella nuova è un altro discorso.
[#19]
Utente
Forse faccio fatica a spiegarmi, provo ad estremizzare la situazione nel tentativo di rendere l'idea. La prima volta che assunsi sereupin 1 compressa intera(novembre 2008) ho avuto sintomi gastrointestinali, nausea, agitazione etc.. per circa 10 giorni, poi sono passati e sono stato bene. Due mesi fa quando ho provato ad aumentare a 3/4 di compressa (dopo un tentativo di sospensione e dopo mesi che ne assumevo solo mezza compressa) ho avuto sintomi devastanti come nausea, vomito, agitazione insonnia etc... per più di TRE settimane dopo l'aumento a 3/4, questi sintomi sono subito rientrati tornando a mezza compressa. Io ho capito quello che dice lei, ma non posso resistere a questi sintomi per mesi nella speranza che poi passino e torni a stare bene(nel frattempo io devo vivere, lavorare etc...), il mio medico ha ritenuto 3 settimane un tempo sufficiente per capire che probabilmente non tollero più il farmaco a dosaggi più alti di mezza compressa visto che dopo PIù DI 3 settimane a 3/4 continuavo ancora a stare male vomitare e chi ne ha più ne metta... appena tornato a mezza compressa i sintomi gastrointestinali sono scomparsi. A seguito di questo evento ho fatto una visita da un neuropsichiatra per capire la mia situazione e soprattutto per capire se il mio medico di base stava agendo correttamente, il quale ha ritenuto che gli ssri (alla luce dell'esperienza fatta in questi 3 anni) ora non vanno più bene per il mio caso(non mi chieda il perchè, io non ci capisco nulla di medicina e mi fido di quello che mi viene detto da voi medici), la sua diagnosi è stata di distimia. Quindi questo è il motivo del cambio di terapia... Spero questa volta di aver spiegato il perschè del cambio di terapia, se lei continua a dire che dovevo insistere con il sereupin e attendere che passassero i sintomi ho paura di avere davvero problemi di comprensione, in quanto resistere per 3 settimane a quei sintomi per me è già stato un mezzo miracolo...
[#20]
Utente
Non me ne voglia dottor Pacini, io non posso che ringraziarla solo per il fatto che spende qualche minuto della sua vita a rispondermi e cercare di consigliarmi e lo apprezzo davvero tanto! Però ho paura che la distanza dovuta al fatto che si debbano spiegare in poche righe certe situazione ci sta limitando nel capirci l'uno con l'altro, per lo meno ho questa sensazione. Ad ogni modo ripeto che apprezzo tantissimo il suo impegno nel cercare di darmi consigli sul mio caso.
[#21]
Gentile utente,
"probabilmente non tollero più il farmaco a dosaggi più alti di mezza compressa" Questo fenomeno dovrebbe essere meglio inquadrato, poiché il fatto che nel tempo uno non tolleri più dosi dello stesso medicinale non è noto per quanto concerne il medicinale in sé.
A volte cambia il metabolismo, a volte le interazioni con altri prodotti, a volte le condizioni di partenza sono diverse, e mi riferisco a quelle cerebrali in particolare.
La tollerabilità delle medicine a volte subisce miglioramenti drastici per il solo passaggio dall'ambiente "libero" a quello ospedaliero.
Il motivo del cambio di terapia non credo sia la diagnosi di distimia, ma i sintomi che non miglioravano dopo 3 settimane.
Ci siamo spiegati benissimo, soltanto che spesso si vedono percorsi terapeutici in cui si cambia medicinale senza ragioni strette. Diciamo che questa volta è stato peggio dopo 3 settimane che ha aumentao di 5 mg la paroxetina che già stava assumendo a 10 mg, questo è un dato di fatto.
"probabilmente non tollero più il farmaco a dosaggi più alti di mezza compressa" Questo fenomeno dovrebbe essere meglio inquadrato, poiché il fatto che nel tempo uno non tolleri più dosi dello stesso medicinale non è noto per quanto concerne il medicinale in sé.
A volte cambia il metabolismo, a volte le interazioni con altri prodotti, a volte le condizioni di partenza sono diverse, e mi riferisco a quelle cerebrali in particolare.
La tollerabilità delle medicine a volte subisce miglioramenti drastici per il solo passaggio dall'ambiente "libero" a quello ospedaliero.
Il motivo del cambio di terapia non credo sia la diagnosi di distimia, ma i sintomi che non miglioravano dopo 3 settimane.
Ci siamo spiegati benissimo, soltanto che spesso si vedono percorsi terapeutici in cui si cambia medicinale senza ragioni strette. Diciamo che questa volta è stato peggio dopo 3 settimane che ha aumentao di 5 mg la paroxetina che già stava assumendo a 10 mg, questo è un dato di fatto.
Questo consulto ha ricevuto 21 risposte e 57.6k visite dal 07/02/2012.
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