Risperidal, citalopram e sogni

Gentili Dottori,
ho cominciato da una settimana una terapia con 1 mg risperdal, 1 pastiglia di citalopram e 1,5 mg di lexotan da prendere in fascia serale (soffro di insonnia, disturbi della percezione corporea e autolesionismo). Parallelamente, proseguo un percorso di analisi iniziato a settembre, motivo per cui è fondamentale che io ricordi i sogni e riesca a poi a parlarne in seduta. Da quando però ho cominciato la terapia, oltre alla sensazione di "rintronamento" mattutino (che dal risveglio prosegue sino all'ora di pranzo) non riesco a ricordare un solo sogno, se non immagini confuse e disordinate. So quindi di aver sognato ma non ricordo cosa. Mi chiedo se sia un disturbo frequente legato alle prime settimane di trattamento o se invece sia un problema che può permanere e che quindi rischia di compromettere l'efficacia della cura e la possibilità delle libere associazioni. Oltre a ciò, al risveglio ho spesso mani e occhi gonfi con i classici segni del cuscino da ritenzione idrica, sensazione che scompare del tutto solo nel tardo pomeriggio per poi ricomparire al mattino successivo (ma avendo cominciato la terapia in fase premestruale questo potrebbe imputarsi alle alterazioni ormonali tipiche di questa fase). E' più probabile che questi disturbi siano correlati all'assunzione di citalopram o del risperdal? Ieri notte ho provato a non prendere il lexotan (dato esclusivamente per l'insonnia), e sono comunque riuscita a dormire senza per altro avere memoria dei sogni al risveglio. Immagino sia bene che contatti lo psichiatra che mi ha prescritto la terapia, chiedo comunque anche a voi se questi disturbi "di memoria onirica" siano tipici per questi farmaci o se al contrario possa trattarsi di una sorta di effetto placebo, o di "profezia che si autoavvera" causati dalla preoccupazione (forte) di iniziare una terapia farmacologica di questo tipo.
Vi ringrazio in anticipo per la risposta
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119
Gentile utente,
lo psichiatra che Le ha prescritto la farmacoterapia è al corrente che Lei è in psicoanalisi?

Dr. Alex Aleksey Gukov

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Utente
Utente
Gentile Dr. Gukov,
innanzitutto grazie per avermi risposto. Si, lo psichiatra che mi ha prescritto la terapia è al corrente del fatto che sono in analisi.
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119
Bene,
è anche importante che lo psichiatra abbia ed esprima il suo parere sul ruolo che ciascuna delle cure (e tutte assieme) possano avere nel Suo percorso (vedi in seguito).

Rispetto agli effetti dei farmaci sul sonno, non di tratta di suggestione. Effettivamente tutti i tre farmaci a Lei prescritti influiscono sulla capacità di evocare i sogni. Sia perché i sogni, almeno secondo la teoria psicoanalitica, sono i segni di inquietudine interna, ed i farmaci dovrebbero fare il proprio lavoro, migliorando le Sue condizioni psichiche complessive, compresa questa inquietudine. Sia perché tutti i tre farmaci, con modalità diverse, modificano specificatamente anche la fisiologia del sonno. A secondo del caso individuale questo ultimo effetto può essere considerato un effetto desiderato mentre in alcuni casi può essere considerato un effetto non desiderato. Tuttavia, non è un "blocco" assoluto dei sogni in tutti i casi. Ci sono parecchie persone che assumono la farmacoterapia da Lei citata o anche più alta e riescono a ricordare i propri sogni in modo molto vivido. Questo dipende dai fattori individuali ed anche dal tipo di malattia. Come è individuale anche la capacità e la maniera di ciascuno di ricordare i sogni.

Nella Psicoanalisi, in linea di massima e da molti analisti più ortodossali viene richiesta l'astensione dalle cure farmacologiche (secondo me, soprattutto non a causa dei loro effetti sui sogni, ma per altri motivi), benché questa astensione non è la norma per molti altri psicoanalisti di oggi.

Per questo Le ho chiesto se lo psichiatra curante è al corrente della Sua psicoterapia. Tuttavia, può essere che il Suo psichiatra ritenga la cura farmacologica indispensabile per Lei. Bisogna che assieme con lui valutate tutti i benefici e gli svantaggi della farmacoterapia, anche a prescindere della psicoanalisi. Non bisogna decidere da soli.

Comunque, come scrivevo, l'astensione dalle cure farmacologiche non è affatto la regola nella pratica di molti psicoanalisti di oggi. Il ricordo del sogno è sempre già una sua versione modificata dalla nostra mente. Anche la vaghezza del ricordo, che molti hanno anche senza la farmacoterapia, è una di tali modifiche. Anche un sogno vago può essere utilizzato in psicoanalisi. In ogni modo, anche nella psicoanalisi classica l'analisi dei sogni non è l'unico metodo. Ad esempio, le "libere associazioni" è un altro metodo della psicoanalisi, e non viene ostacolato dalla terapia farmacologica. L'analisi dei sogni e le libere associazioni sono due tecniche diverse, ma si basano su alcuni principi simili. In pratica, il materiale dei ricordi dei sogni può dare la possibilità a lavorare con esso quasi come con le libere associazioni. Però nel modo analogo possono essere utilizzati anche gli altri materiali (fantasie, diari, versi, e potenzialmente anche gli altri fenomeni), oppure le libere associazioni propriamente dette.

Di questo bisogna parlare con il psicoanalista. Penso che la farmacoterapia e la psicoanalisi possono essere associate senza impedire una ad altra a funzionare.
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Utente
Utente
Gentile Dr. Gukov,
è stato gentilissimo a rispondermi con tanta accuratezza e velocità. Concordo con Lei sul fatto che in analisi ci si possa servire non solo di sogni ma anche di altro materiale inconscio, e che l'eventualità di un "buco" onirico si possa coprire, riempire, attingendo da altre fonti.
Forse la mia preoccupazione è data più dal fatto che mentre prima ero abituata al risveglio ad annotare i sogni e lo facevo con un certo entusiasmo, ora al risveglio l'unica cosa che sento è una sensazione di testa vuota, come fosse una pagina bianca, e questo mi preoccupa. In generale mi preoccupa la modalità di azione dei neurolettici e leggere tutto quel che se ne dice aumenta la mia preoccupazione (danni permanenti, atrofizzazione della zona frontale del cervello e tutta una serie di effetti collaterali spiacevoli a breve e lungo termine). Non riesco a concentrarmi nello studio, mi sento confusa, e mi chiedo se davvero ne valga la pena. Di fatto sono passata dal non assumere nulla all'assunzione di tre farmaci senza alcuna gradualità, e faccio fatica ad accettarlo.
Lo psicoanalista da cui sono in cura , per quanto privilegi com'è ovvio la terapia della parola, ritiene che in alcuni casi e per alcuni periodi i farmaci non siano da demonizzare ma al contrario da utilizzare come salvagente, come argine. In linea teorica sono d'accordo con lui, sul lato pratico, essendo io in prima persona a doverli assumere, la teoria cede di fronte al dubbio e alla paura.
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119
Gentile utente,
soggettivamente La capisco, ma bisogna essere più obbiettivi. Ogni cosa può essere un "rimedio" ma anche un "veleno": dipende, oltre alla quantità, anche dalle indicazioni e dalle controindiczioni. Bisogna dunque basarsi sulla situazione e sugli obbiettivi concreti.

Come è stata definita la Sua diagnosi psichiatrica?

Lei scrive: "soffro di insonnia, disturbi della percezione corporea e autolesionismo". E' una descrizione dei sintomi, non ancora una diagnosi.

Che cosa intende per i "disturbi della percezione corporea" ? In che cosa consistono ?

Dalle Sue precedenti richieste dei consulti ho appreso che Lei soffriva dei disturbi di alimentazione (bulimia). Tale diagnosi è stata confermata ? Come va adesso (il disturbo di alimentazione) ?

Sempre dalle Sue precedenti richieste dei consulti su questo sito apprendo che sono presenti anche disturbi ormonali, ginecologici e, probabilmente, immunologici. In che condizione della salute fisica si trova attualmente ? Quali diagnosi sono state confermate ? Si è riuscito a capire qualcosa di più ? Assume sempre l'eutirox e l'aldactone?

Sono solo uno psichiatra, ma è necessario considerare il quadro nell'insieme, anche per capire se Lei può correre rischi particolari con alcuni psicofarmaci. Aspetto le Sue risposte.
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Utente
Utente
Effettivamente non mi è stata fatta alcuna diagnosi e questo perché lo psichiatra dal quale sono stata inviata (conosciuto peraltro dal mio psicoanalista) ha ritenuto che fosse più utile intervenire rapidamente con una terapia farmacologica per alleviare l'angoscia senza, da parte sua, interferire nel transfert entrando "troppo" nel merito della questione ad esempio con un'indagine più approfondita del disagio e la formulazione di una diagnosi specifica. Mi ha chiesto quali fossero i sintomi, e dopo averli descritti ha proposto la terapia indicata. I sintomi -che in effetti s'intrecciano con quelli di natura endocrinologica e allergologica - hanno a che fare con una certa ricorrenza di edemi al volto che io "sovrapercepisco" vedendomi il volto deformare allo specchio cosa che mi spinge poi ad un passaggio all'atto con forme di autolesione più o meno pesanti come tagli, ferite o il ricorso al vomito autoindotto. L'analista ha ritenuto fosse opportuno inviarmi ad uno psichiatra perché si era accorto che ogni qual volta tentassimo di affrontare l'argomento "faccia", toccando "quel che sta dietro la questione del volto", finivo per avere una crisi dispercettiva pressoché immediata con progressivo autoisolamento e un incremento negli episodi autolesivi.
Di fatto, i disturbi ormonali ed allergologici sono presenti, ma è possibile che siano di natura psicosomatica, o comunque intrecciati al mio vissuto personale che appunto comprende anche una lunga fase di anoressia bulimica (anche se anche in questo senso il problema più che rispetto al corpo è localizzato al viso). I sintomi e le crisi peggiorano in effetti in fase premestruale:dal punto di vista ormonale mi è stato diagnosticato di recente un iperestrogenismo di cui dovrà essere valutata la causa con le prossime analisi del sangue e un'ecografia al surrene (due anni fa mi era stato riscontrato un piccolo nodulo al surrene sx e si vorrebbe valutare la possibilità che si tratti di un incidentaloma ormone secernete), dal punto di vista allergologico mi è stata diagnosticata un'intolleranza al nickel e una serie di allergie alimentari ad alimenti rilascianti istamina.
In passato terapie cognitivo comportamentali e ricoveri in cliniche psichiatriche non hanno dato alcun esito positivo se non appunto un acuirsi della sintomatologia e un progressivo isolamento sociale, motivo per cui mi sono rivolta -contenta di averlo fatto- ad un approccio psicoanalitico. Il punto è che nel tentativo di capire ciò che sta dietro (o dentro) il sintomo, l'effetto paradosso è quello di un peggioramento del sintomo stesso che attualmente sembra non essere ancora simbolizzabile, o traducibile in parole. E' però vero che il sintomo tocca anche un reale del corpo che non è solo frutto di fantasie o dispercezioni (il mio ragazzo si accorge del viso che si gonfia, ad esempio, anche se chiaramente non lo vede deformarsi come lo vedo io) e questo complica le cose. Il guaio è che là dove gli psichiatri tendono a vedere solo la componente psichica della questione, gli endocrinologi, allergologi, ginecologi vedono solo le problematiche relative alla loro specializzazione e questo purtroppo non aiuta.
Mi fido del mio analista e della sua capacità di valutare la situazione, quello che temo è che il ricorso ai neurolettici sia stato un po' affrettato (un colloquio di venti minuti e successivamente una prescrizione). Mi è stato detto "i neurolettici agiscono diminuendo il flusso di informazioni" e questo mi spaventa molto: chiaro è che il farmaco non è intelligente, quindi immagino che il flusso che va a ridurre sia generalizzato, cioè viene ridotto su tutti i fronti. E questo spiegherebbe la generale sensazione di stordimento, spossatezza, confusione. Certo, da una settimana non mi faccio del male, ma la sola cosa che vorrei fare è starmene a letto a dormire. E poiché, come spero si capisca leggendomi, so perfettamente ragionare e al di fuori dei momenti di crisi sono assolutamente lucida, non vorrei che per mettere a tacere una parte di me si finisse col mettere a tacere tutto. Come dire, se in una casa scopro un topo e anziché mettere una trappola decido di spruzzare un un potente veleno ovunque, ammazzo sì il topo, ma magari oltre al topo avveleno anche tutti gli inquilini...
(grazie infinitamente per il tempo e l'attenzione che mi sta dedicando)

p.s. attualmente non assumo più aldactone ma proseguo con la cura di eutirox 50 mg più cetirizina (antistaminico) o bentelan 1 mg a bisogno
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119
Gentile utente,
chiedo scusa della lunghezza anche di questa mia risposta, ma magari sarà utile.

Il veleno per i topi, con il quale paragona il farmaco è un'allegoria forte ! Bisogna però semplicemente mettere il veleno nei posti giusti. Chi non ha l'intelligenza non è il veleno, ma chi lo ha spruzza ovunque. E' vero che i farmaci hanno effetto "globale" (un po' su tutto l'organismo), ma quando questo effetto si fa sentire troppo, non è normale e si chiama i "sintomi collaterali".

(I sintomi che Lei avverte attualmente in correlazione con l'inizio della farmacoterapia più probabilmente sono transitori, ma se persistono per più settimane, bisognerebbe ricontattare lo psichiatra per riaggiustare eventualmente i dosaggi, anche se le dosi che assume sono già basse).

In realtà i neurolettici possono essere abbastanza selettivi nella loro azione rispetto a tipi diversi dell'attività mentale e di affettività. Tale selettività può essere ottenuta, scegliendo a chi darlo e usando con pazienti diversi dosaggi diversi. Intelligente non deve essere il farmaco ma chi lo prescrive. Come anche la penna di per sé non ha l'intelligenza senza chi la usa.

Neurolettici possono essere impiegati:

1) per la cura delle alterazioni del rapporto con la realtà (ad esempio, alcuni alterazioni della percezione e dell'interpretazione della realtà);

2) per il controllo dei comportamenti (ad es. dell'aggressività) e dell'ansia; piccole dosi di neurolettici possono essere usate anche a scopo ansiolitico, avendo, a differenzza di ansiolitici classici (come lexotan), il vantaggio di non instaurare la dipendenza.

3) molte altre indicazioni.

Questi usi non sono le diagnosi, ma i motivi sintomatologici. Ad esempio, entrambi (1) e (2) possono essere presenti, pur nei contesti diversi e nell'entità diversa, sia nei disturbi psichiatrici maggiori che nelle problematiche caratteriali. In ciascun caso l'uso che può essere fatto di questi farmaci dovrebbe essere un po' diverso. Non a caso ho pescato dai molti usi dei neurolettici solo (1) e (2): ho seguito le Sue proprie descrizioni. Mi viene però difficile pronunciarsi sulle indicazioni nel Suo caso, perché non sono sufficienti le descrizioni, serve anche la visita diretta, che io non posso fare via internet e non so nemmeno il parere diagnostico del collega che l'ha visitata. Voglio pensare che il collega abbia fatto una valutazione corretta, e che la prescrizione sia fondata.

Passiamo alle potenziali avversità dei farmaci. Lei assume il Risperdal (nome chimico: risperidone) a bassissimo dosaggio. Se la durata (della quale necessiterà la cura della Sua condizione) sarà breve, il rischio degli effetti collaterali a lungo termine è minimo. Comunque, anche se la dose è bassa, farei attenzione ad alcuni possibili effetti collaterali a breve termine, tanto più che dai Suoi dati Lei risulta sottopeso:

- un neurolettico come il Risperidone (ma anche l'antidepressivo, il Citalopram) entrambi possono abbassare i livelli di sodio e, di conseguenza, anche di potassio. Tale fenomeno non ha una chiara correlazione con la dose, dunque può manifestarsi a qualunque dosaggio; non si manifesta però in tutte le persone (tuttavia Lei ha già di partenza la predisposizione ai problemi con elettroliti). Il positivo è che tale fenomeno ha più possibilità di manifestarsi durante le prime settimane di cura ed è meno probabile in seguito. Il negativo è che i sintomi di squilibri elettrolitici possono manifestarsi in maniera poco distinguibile dall'effetto sedativo del farmaco: l'unico modo è fare i controlli degli elettroliti (da concordare con lo specialista).

- i neurolettici, in particolare il risperidone, possono aumentare i livelli dell'ormone Prolattina, l'eccesso del quale complicherebbe il Suo già complicato quadro endocrino. Nell'ipotiroidismo i livelli di prolattina potrebbero essere già di partenza più suscettibili ad alzarsi, e nelle alterazioni della ghiandola surrenale la prolattina può essere instabile. Comunque per le modifiche nella secrezione e nei succesivi effetti ci vogliono dei mesi. Nel caso nel quale lo specialista riterrà opportuno aumentare sensibilmente la dose, potrebbe aver senso valutare con lui un altro neurolettico o valutare se un neurolettico è veramente necessario. Vorrei sottolineare che con la dose del risperdal che assume (che è molto bassa) tale effetto è quasi impossibile. La precauzione comunque serve sempre. Riferirei al Suo endocrinologo di tale terapia, perché lui Le possa indicare se sono necessari e con quale frequenza i controlli della prolattina.

- entrambi i farmaci (risperidone e citalopram) possono aumentare il peso corporeo: di solito ciò avviene gradualmente nell'arco dei mesi con molte ma non con tutte le persone. Nel Suo caso è da capire se potrà essere un effetto desiderato o meno. Lei è sottopeso e logicamente potrebbe giovarne. Gli antidepressivi della classe del citalopram ad esempio sono usati nei disturbi di alimentazione per stabilizzare il peso (anche tramite la stabilizzazione delle fluttuazione degli stati d'animo che altrimenti portano agli estremi nella condotta alimentare). Tuttavia, proprio nelle persone coi precedenti dei disturbi di alimentazione tale fenomeno (se avverrà, che non è detto) potrebbe essere un fattore emotivamente negativo. Per cui ci vorrebbe un corretto monitoraggio della farmacoterapia e una discussione più approfondita con lo psichiatra rispetto al Suo rapporto coi farmaci, gli obbiettivi e le aspettative di tale cura.

Nel complesso, fra le condizioni che Lei ha non ci sono controindicazioni assolute, ma alcuni fattori di rischio a breve termine, l'interazione dei farmaci con i quali, si può comunque controllare, se lo specialista che La segue coi farmaci è al corrente della situazione organica e psichica globale.

Devo purtroppo dire che vedo scorretta la scelta, concordata con l'analista, di seguire senza troppe spiegazioni una cura, quando questa cura non è di competenza dell'analista.

Non voglio affatto dire che la cura è sbagliata (senza conoscere da vicino il caso non mi permetto di pensarlo, anzi, voglio pensare che lo psichiatra è competente). Sto criticando piuttosto la modalità relazionale: se l'intenzione è di lasciare separate (a livello di diverse figure professionali che le rappresentano) l'analisi ed i farmaci, bisogna che la comunicazioe con ciascuna di tali figure abbia i rispettivi spazi sufficienti, non decurtati. In altre parole, non condivido la limitazione eccessiva del contatto con un secondo medico a scopo di non favorire il transfert. E se Lei avrà bisogno di sapere che cosa motiva la cura coi farmaci ? dell'informazione sui farmaci ? Se ha bisogno delle risposte ai Suoi rispettivi dubbi ? Se deve riferire gli effetti collaterali, concordare i dosaggi, la durata della cura, ecc. ? Con chi ne parlerà ?

Rispetto al transfert penso che è importante non solo che cosa dici ma, anzi di più, a chi e come lo dici, e prenderei il rapporto con lo psichiatra come un rapporto con qualsiasi altro specialista fra quelli che Lei ha visitato e visiterà (endocrinologo, ginecologo, immunologo ecc.): con loro, spero, Lei può parlare liberamente delle Sue malattie senza che ci si pensa al transfert.

Altrimenti, secondo me, c'è rischio che il Suo quadro sia malinterpretato e mal seguito dallo psichiatra, mentre l'analisi si complichi con il sovraccarico del ruolo dell'analista.

In realtà non sono un psicoanalista (avendo comunque una certa cultura generale in materia), e rispetto al transfert (come anche rispetto agli altri elementi di questa scuola) può darsi che sbaglio, ma rispetto alle esigenze del rapporto fra il medico ed il paziente penso di non sbagliare.

Post Scriptum
Non sottovaluterei i Suoi disturbi organici. Che possa essere presente un componente psicosomatico non vuol dire che non ci siano anche le altre cause.
Mi permetto di suggerire ad approfondire meglio l'ambito immunologico. Diverse manifestazioni apparentemente spiegabili da fattori diversi o da più fattori assieme, possono essere segni esterni di una malattia di fondo. Parecchi disturbi endocrini, quando sono "esenziali" ("apparentemente senza causa") possono essere di origine autoimmune. La Mononucleosi Infettiva è una malattia virale che in alcuni casi lascia come sequele a lungo termine disturbi di immunità, più spesso in eccesso di questa ultima, mentre in difetto più spesso all'inizio. Le malattie dell'immunità spesso si accompagnano con alterazioni emotive e psichiche e la cura delle prime giova anche alle seconde. Le cure endocrine (ad esempio, le sostitutive con gli ormoni tiroidei) hanno effetti diretti importanti sulla psiche e monitorarle bene non è meno importante.
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Utente
Utente
Gentile Dr. Gukov,
come sempre la ringrazio per la sua gentilezza e pazienza che he nel rispondermi.
Rispetto al transfert forse mi sono spiegata male io: è stato lo psichiatra e non l'analista a preferire una "toccata e fuga" rispetto ad una serie di colloqui più approfonditi, e da quel che ho capito la preferenza è motivata dalla volontà di non interferire troppo nel lavoro che sto facendo con lo psicoanalista e nella convinzione che fosse più utile intervenire tempestivamente con un trattamento farmacologico anziché posticipare in attesa di chiarire il quadro e formulare una diagnosi. Personalmente questa valutazione ha lasciato perplessa anche me.
Per quel che riguarda i possibili effetti collaterali quel che so è che ogni mattina mi sto svegliando con mani e viso molto gonfi che migliorano solo verso sera, e questo sebbene s'inserisca perfettamente nel mio quadro clinico, non solo non giova alla mia autostima e alla mia tranquillità, ma temo sia aggravato dall'uso del citalopram. L'ho fatto sapere telefonicamente allo psichiatra che però ritiene si tratti di dispercezioni (evidentemente anche il mio ragazzo deve soffrirne, allora, perché è stato proprio lui al risveglio a notare l'edema al viso) e la situazione diventa kafkiana. La verità è che effettivamente c'è un problema di natura organica che mi porta a scompensi elettrolitici ed organici. L'aldactone migliorava le cose ma le peggiorava per altri aspetti: migliorava l'iperaldosteronismo e quindi l'edema al viso ma mi causava fastidiose irregolarità mestruali (polimenorrea). D'altra parte, da quando l'ho interrotto, la sindrome premestruale è peggiorata esponenzialmente (ora dura dal giorno dell'ovulazione in poi), il mestruo arriva sempe in ritardo di almeno 6 giorni e in quei giorni l'edema al volto è praticamente sempre presente.
Ha nominato la mononucleosi che effettivamente ho avuto 6 anni fa. Da allora il quadro endocrino è peggiorato (prima avevo il ciclo regolare) ma la ricorrenza degli edemi non è mutata (ne soffro dall'età di 17 anni). Io davvero non so più dove sbattere la testa.
E' possibile, certo, che il problema sia di natura psicosomatica, ma trascurando gli aspetti somatici, il rischio che si corre è quello di curare un disturbo inesistente (dispercezioni) con farmaci pesanti (risperdal) semplicemente perché non si è riusciti a risolvere il disturbo organico che causa il gonfiore al volto. A volte una pastiglia di bentelan mi aiuta a stare meglio. Avendone sofferto anche mio padre ho pensato potesse trattarsi di angioedema ereditario causato da carenza di C1 inibitore ma in passato abbiamo fatto le indagini del caso (valutando il C4) e non è risultato alcuno scompenso. Altro, da profana, non saprei ipotizzare. Quel che so è che questo problema sta compromettendo la mia salute psichica.

p.s. rispetto al possibile aumento di peso effettivamente la cosa mi spaventa molto. Lo psichiatra mi ha assicurato che a questi dosaggi è escluso che possa capitare ma essendo soggetta a ritenzione idrica temo che anche in questo caso accadrà quel che non voglio accada.
Idem per il problema della prolattina che io, di mio, ho già alta.
Il fatto è che lo psichiatra, prima di prescrivermi i farmaci, non mi ha chiesto nulla della mia situazione organica, si è limitato ad annotare i sintomi di natura psichica (angoscia, autolesionismo) tralasciando il resto.
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Dr. Alex Aleksey Gukov Psichiatra 2.8k 119
Gentile utente,
condivido molto di quello che Lei scrive, a parte la tendenza di accogliere le informazioni con una certa carica emotiva, impressionabilità. Qui serve sangue freddo. La Sua dose del neurolettico è veramente bassa, e nel mio discorso si tratterebbe più delle precauzioni. Penso che effettivamente poteva essere corretto non fare una serie di incontri, ma solo uno per formulare la diagnosi e per iniziare la terapia. In relatà a tale scopo spesso può bastare anche un incontro solo. Però, da quanto Lei fa capire, lo psichiatra non è al corrente di alcune informazioni importanti riguardo la Sua salute, le informazioni che non richiedono molto tempo per essere riassunte. Secondo me, avrebbe senso mettere lo psichiatra in contatto con gli altri specialisti o/e chiedere a lui di mettersi in contatto con loro. La farmacoterapia è già iniziata, ma lo specialista la deve comunque monitorare e può eventualmente anche ottimizzarla.

Rispetto agli edemi devo dire che sono un effetto collaterale abbastanza raro del citalopram e della maggior parte degli altri antidepressivi dello stesso grupppo. Se tale fenomeno è preesistito, e se possono essere implicati anche gli altri fattori, più plausibili, come la sospensione dell'aldactone, non mi affretterei di attribuire tale fenomeno all'antidepressivo. Invece posso dire che i farmaci del gruppo del citalopram (ssri) vengono impiegati nella cura della sindrome affettiva correlata al ciclo mestruale, riducendo le fluttuazioni quanto meno di umore legate al ciclo. Si pensa che possa essere implicato un meccanismo endocrino.

Penso che sia utile rimettersi in contatto anche con l'endocrinologo per una serie di questioni accennate in questa discussione.
[#10]
Utente
Utente
Gentile Dottor Gukov,
nel frattempo sono arrivati i risultati delle analisi del sangue, la prolattina in fase follicolare (al 3 giorno del ciclo) è risultata 105,3 (con valori normali 5-35), quindi molto alta. Tanto che era comparsa anche galattorrea.
Di conseguenza lo psichiatra ha deciso di interrompere il risperdal immediatamente. Quello che mi domando è se è possibile che il risperdal in un arco di tempo così ridotto (al momento delle analisi lo assumevo da 8 giorni) possa da solo aver alzato di così tanto la prolattina o se invece è più probabile che fosse già alta - e questo spiegherebbe i ritardi mestruali e i vari disturbi correlati tra cui il gonfiore al viso che attualmente è sempre presente, specie al mattino- e che il risperdal abbia solamente dato la "botta finale".
Il citalopram mi era stato sostituito con zoloft. Ho letto però che anche quest'ultimo può causare un aumento della prolattina. Mi conferma?
(chiedo a voi perché attualmente l'endocrinologa che mi aveva prescritto le analisi non è reperibile)

[#11]
Dr. Stefano Garbolino Psichiatra, Psicoterapeuta, Sessuologo 2.5k 36
Gentile utente,

di per sè il citalopram non altera la prolattina (anche se le interferenzi ormonali di tali farmaci sono possibili ed a più livelli) ed in effetti dopo solo 8 giorni di risperdal parebbe poco probabile l'interferenza ormonale.

In ogni caso conviene ricontattare l'endocrinologa per decidere se approfondire o meno tale aspetto.

Cordialmente
www.psichiatriasessuologia.com

[#12]
Utente
Utente
Gentile Dr. Garbolino,
la ringrazio per la risposta. Il citalopram l'avevo comunque sostituito con lo zoloft dopo pochi giorni, per cui non credo abbia concorso all'aumento di prolattina (a meno che anche lo zoloft non dia questo tipo di problemi). Sicuramente dovrò risentire l'endocrinologa, se non altro per riportarle l'esito degli esami. Il guaio è che mi sarà possibile vederla solo tra un mese e nel frattempo i disturbi legati all'iperprolattinemia rendono ancor più complicata la gestione di quelli psichiatrici.
(per sintetizzare, le crisi psicotiche aumentavano esponenzialmente in fase premestruale proprio perché fatico ad accettare le modifiche del corpo precedenti all'arrivo del ciclo tra cui, in particolare, una forte ritenzione idrica al viso. L' aumento della prolattina potenziato dall'assunzione dei farmaci antipsicotici peggiora i sintomi fisici e mi fa stare in una condizione di "perenne fase premestruale" e mi ritrovo in un'impasse. Se prendo i farmaci per migliorare le crisi, aumentano i fattori endocrini che "le scatenano". Come se ne esce?)

[#13]
Dr. Stefano Garbolino Psichiatra, Psicoterapeuta, Sessuologo 2.5k 36
Gentile utente,

per questo motivo credo sarebbe opportuna (ma non voglio sostituirmi all'endocrinologa) una valutazione approfondita della alterazione ormonale.
[#14]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.3k 1k
Gentile utente,

La sua diagnosi non appare definita, poiché elenca una serie di aspetti ma non il nome dato a questo complesso di cose.

Ha una psicosi ? Quale ?

"Parallelamente, proseguo un percorso di analisi iniziato a settembre". Che significa "un percorso di analisi ?", teso a che cosa ? Sta facendo ragionamenti su elementi della teoria analitica che non hanno corrispondenza biologica, come se fosse scontato a priori che questo percorso sia il fondamento e abbia valore terapeutico.

Mi sembra paradossale che, se ha una psicosi, stia intraprendendo un percorso anomalo in cui le medicine dovrebbero svolgere un ruolo collaterale

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

[#15]
Utente
Utente
Gentile Dr. Pacini,
non mi è mai stata fatta una diagnosi. E questo perché è stato ritenuto dagli psichiatri che ho visto e dagli psicoterapeuti ai quali mi sono rivolta che fosse più importante 1. diminuire la sintomatologia 2. capirne le cause , piuttosto che inquadrare il disagio all'interno di una griglia di categorie psichiatriche.
Per cui, va da sé, se soffro di psicosi o di grave nevrosi io francamente non lo so- e dubito di essere in grado di valutarlo da sola.

"Percorso di analisi" signfiica né più né meno quel che ho scritto, ovvero che sono in analisi, 2/3 volte a settimana. Lacaniana, precisamente. E questo da settembre. Precedentemente sono stata in cura presso uno psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico per circa 7 anni, senza però ottenere alcun beneficio. Prima ancora, successivamente ad un ricovero, sono stata seguita da una psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale. Risultati zero, se non peggioramento.
La sintomatologia è questa: isolamento, paura dello sguardo degli altri, crisi autolesive quando il viso si gonfia (per cause non ancora chiare, supposto iperalodesteornismo e ora iperprolattinemia, per altri edema idipatico di natura psicosomatica, per altri ancora allergia, per altri ancora - psichiatri- si tratta di dispercezioni. Che però non spiegherebbero il fatto che anche le persone che mi stanno accanto notano quando il viso si gonfia e quando torna normale), senzazione di "perdita di confini", paura di guardami allo specchio, crisi ricorrenti di bulimia con vomito autoindotto, angoscia generalizzata, insonnia o sonno disturbato, evitamento sociale, crisi di pianto durante i rapporti sessuali (che di fatto tendo ad evitare in tutti i modi). Tutto questo da quando ho 13 anni. Il problema del gonfiore al viso e delle crisi che ne seguono da quando ho 17 anni.

Nella mia famiglia ci sono dei precedenti di schizofrenia (zio paterno), isteria (zia paterna) e depressione.

A cosa si riferisce per "percorso anomalo"? Ritiene che la psicoanalisi sia un percorso anomalo? E' stato l'analista che visto il peggioramento delle crisi autolesive e il progressivo autoisolamento ha ritenuto fosse necessario un supporto farmacologico. Poi, certo, i farmaci, peggiorando il quadro endocrinologico hanno paradossalmente peggiorato anche quello psicologico. Ma questo non si poteva prevedere.

[#16]
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.3k 1k
Gentile utente,

"non mi è mai stata fatta una diagnosi. E questo perché è stato ritenuto dagli psichiatri che ho visto e dagli psicoterapeuti ai quali mi sono rivolta che fosse più importante 1. diminuire la sintomatologia 2. capirne le cause , piuttosto che inquadrare il disagio all'interno di una griglia di categorie psichiatriche."

Purtroppo questi sono frequenti luoghi comuni della medicina psichiatrica. Importantissimo diminuire la sintomatologia, specie nella misura in cui è diretta espressione del meccanismo del disturbo, e per far questo appunto vi sono strumenti standard. Come fare a scegliere lo strumento ? O si va per sintomi, o si va per insiemi di sintomi, o si va per diagnosi. Di solito per sintomi e per insiemi si va quando c'è urgenza o quando comunque si vuol partire con una prova di terapia perché non si ritiene fattibile subito immediatamente la diagnosi. Dopo però è sempre bene capire come si muove la sua malattia, altrimenti si lavora su sintomi che sono comuni a malattie totalmente diverse tra di loro. La tosse di una polmonite non è la stessa cosa della tosse di una laringite o di un tumore al collo per dire.

"Anomalo" perché non c'è diagnosi, e ci sono già due approcci. I farmaci scelti comprendono un antipsicotico, c'è una familiarità per psicosi o comunque per disturbi psichiatrici maggiori, che Lei riferisce. Poiché l'analisi rimane una teoria, è anomalo che una psicosi per lungo tempo non sia diagnosticata e preveda un approccio in cui si elaborano contenuti di pensiero, che è un elemento alterato per definizione nelle psicosi.
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