Il medico nel farmi continuare

Cari dottori, sono una 25enne in cura con citalopram (1 pastiglia da 20 mg) da 8 mesi. ai sei mesi, stando benissimo e sentendomi del tutto recuperata (anche perchè ho ormai individuato la causa dell'ansia e la controllo con lo yoga), ho provato a smettere di prenderlo, ma facendo l'errore di non farlo in modo graduale. dopo una settimana ho iniziato a sentirmi male, ma solo a livello di disturbi fisici, spossatezza, gambe e testa pesanti... assolutamente nulla a che vedere con il malessere che avevo prima di iniziare la cura. non direi che mi sentissi più ansiosa. allora ho iniziato a prenderne mezza, e stavo meglio, certo non bene come con una, ma meglio. ma appena ho rivisto il medico mi ha detto che non dovevo, ke sei mesi sono pochi e che avrei dovuto prenderlo almeno un anno. soprattutto, quello che mi preoccupa e mi dà fastidio, è che mi ha detto: "stai bene con la pastiglia? allora continua a prenderla". questa non mi sembra una buona ragione. immagino che staro sempre bene con il citalopram, ho letto che dà una buona risposta anche in pazienti che non ne hanno bisogno... inoltre, credo che dipende tutto dal fatto che ho smesso di prenderla troppo rapidamente, dal momento ke è importantissimo farlo gradualmente. d'altra parte, però, mi chiedo che cosa guadagni il medico nel farmi continuare con la terapia. Insomma, sono una persona sana, motivata e che ha avuto uno "scivolone" di ansia (sono da sempre un po ansiosa, ma per una relazione sbagliata ho pereso il controllo. tra l'altro ho fatto uso di marihuana per anni...)dal quale si è ripresa e che ha una gran voglia di sapere come funziona la sospensione di questo farmaco, perchè sono sicura che sapendo cosa mi è successo e con molta forza di volontà posso farne a meno. grazie mille!
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Dr.ssa Cristiana Cecchi Psichiatra, Psicoterapeuta 27
Gentile utente,


premesso che non conosco la sua storia né la corretta diagnosi che le è stata fatta mi sento di concordare con il suo medico. L’errore a mio avviso è stato quello di prendere l’iniziativa e decidere da sola non solo di smettere di assumere il farmaco ma di farlo in maniera non graduale. Quando si iniziano questi tipi di farmaci (non si sta parlando di benzidiazepine che sarebbe opportuno tenere il meno possibile) io generalmente consiglio a miei pazienti di continuare la terapia per almeno 10-12 mesi dopo la remissione della sintomatologia. Questo al fine di ridurre al minimo eventuali ricadute.
A nessuno piace prendere farmaci, nemmeno al diabetico o all’iperteso che quasi sempre sono costretti a prendere la terapia a vita. Adesso lei si sente in piena forma, non vede l’ora di “camminare con le proprie gambe” e dimostrare a se stessa che può farcela senza farmaco; lo capisco, è normale, ma non abbia troppa fretta e si rimetta alle indicazioni e ai consigli del suo medico così come ha fatto quando è stata male.


Cordiali saluti
Dr.ssa Cristiana Cecchi

Dr.ssa Cristiana Cecchi

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Utente
Utente
"L’errore a mio avviso è stato quello di prendere l’iniziativa e decidere da sola non solo di smettere di assumere il farmaco ma di farlo in maniera non graduale." Sono perfettamente d'accordo con lei, e sono la prima ad ammettere l'errore. E so che la lunga durata della cura serve ad evitare ricadute. Il punto è che non capisco fino a che punto mi aiuta il farmaco se so cosa mi è successo e ho risolto il mio problema. Perchè dovrei ricadere? So di persone che hanno smesso di propria iniziativa perché nella mia stessa situazione e che hanno superato con successo il loro disagio.Come lo spiega?

L'affermazione "stai bene con la pastiglia? allora continua a prenderla" non mi soddisfa, a meno che lei non mi garantisca che il giorno in cui non ne abbia davvero più bisogno la pastiglia inizi a farmi star male. E direi che non è così.

" io generalmente consiglio a miei pazienti di continuare la terapia per almeno 10-12 mesi dopo la remissione della sintomatologia": ho iniziato la cura a maggio, e da settembre sono in perfetta forma. in realtà non sono mai stata meglio, ma devo molto allo yoga, mi creda, ha cambiato la mia impostazione di vita. Credo che sia al corrente dei benefici di questa tecnica nelle persone con problemi di ansia. ora, vuol dire che dovrei continuare fino a settembre del prossimo anno? Voglio dire, se la ricaduta non ha a che vedere con il problema che ha causato il mio malessere (non esco ne usciro mai piu con il mio ex ragazzo dopo quello che è successo, ovvio), allora il rischio di ricadute ci può essere anche tra 10 anni... quindi che senso ha? stando così le cose tanto vale non smettere mai per essere sicuri di non ricadere mai più... no?

Forse mi giudicherà un po' insistente e poco fiduciosa nei confronti della medicina, ma essere diabetici non dipende da nessuno. lo si è o no. meglio non esserlo, certamente. ma non ti fa piangere o pensare di non servire a nulla e di aver sbagliato tutto nella vita, impedendoti di essere quella che sei, di uscire, di vedere gli amici. crea altri problemi, ma almeno non si può imputare alle scelte che ognuno fa. la mia ansia me la sono provocata da sola, perchè ho ignorato per anni determinate cose che in fondo sapevo che non andavano bene. non è lo stesso campo da gioco. e con questo non voglio sottovalutare la gravità di malattie che obbligano la gente a curarsi a vita.

La ringrazio per la rapida risposta.
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Dr.ssa Cristiana Cecchi Psichiatra, Psicoterapeuta 27
Gentile utente,


come ho detto io non conosco la sua storia e tramite questo mezzo di comunicazione non posso certo avere la pretesa di capire tutto di lei. Le ho dato delle risposte “generiche”, sulla base dell’esperienza, della letteratura e delle indicazioni relative all’uso di questi farmaci.
Io non ho mai detto e non dirò mai che se una persona interrompe la terapia prima di “X” mesi avrà una ricaduta senza ombra di dubbio (Perchè dovrei ricadere? So di persone che hanno smesso di propria iniziativa perché nella mia stessa situazione e che hanno superato con successo il loro disagio.,) dico che prendendo i farmaci per un adeguato periodo di tempo c’è una maggior probabilità di mantenere la remissione. Comunque a mio parere è un grave errore gestire la terapia da soli e sarebbe sempre, ripeto sempre, meglio parlare dei dubbi, delle perplessità o delle ansie e preoccupazioni con il proprio curante, apertamente senza problemi, prima di prendere qualsiasi decisione. Io è quello che chiedo ad ogni mio paziente, secondo me fa parte del rapporto terapeutico.

Sono sicura e sono contenta che fare yoga l’abbia aiutata a star meglio e molto probabilmente, glielo auguro di cuore, non avrà mai più bisogno di prendere farmaci ma non voglio nemmeno che qualcuno che legge questo forum possa pensare che quando ci si sente bene, benissimo, è l’ora di “buttare via” il farmaco di propria iniziativa. Ogni persona è un caso a se, ogni terapia va impostata sulla persona non solo sul disturbo e nessuno (mi scuso se continuo a ripeterlo ma è importante) dovrebbe autogestire qualsiasi terapia farmacologica.

Ultima osservazione, purtroppo come il diabete anche la depressione o l’ansia spesso “non siamo noi a provocarle” e ci sono situazioni in cui solo i farmaci possono venire in aiuto al paziente. Questo non vuol dire che lo yoga, il lavoro su noi stessi, la psicoterapia non siano utili, anzi talvolta sono necessari e di primaria importanza. Ripeto, dipende dai casi.



Cordiali saluti
Dr.ssa Cristiana Cecchi
[#4]
Utente
Utente
Ha ragione. sa qual è il vero problema? che la dottoressa che mi ha avuto in cura fin dall'inizio ha avuto un figlio e non sarà di ritorno prima di maggio. da settembre, quindi, ho un altro medico, che non sembra del tutto disposto ad ascoltarmi, e anche se lo volesse non è così facile perchè è un medico generico, e ha a disposizione solo pochi minuti durante la visita. pochi minuti che sono stati sufficienti con la dottoressa perchè ci siamo viste fin dall'inizio e l'ho sempre tenuta aggiornata, volta per volta, degli sviluppi della cosa. ora, se dovessi mettere al corrente il nuovo medicodi tutto quello che è successo da marzo ad oggi, probabilmente avrei bisogno di ore. E ripeto, sembra comunque che non abbia un atteggiamento di grande disposizione all'ascolto, piuttosto dà l'impressione di sapere senza dubbio che ho bisogno di più tempo, senza conoscere davvero la causa dei miei problemi. Il che non ispira confidenza. Inoltre, fatto di grandissima importanza, se ho deciso di smettere dopo sei mesi (anche se come ho detto me ne pento) è stato esclusivamente perchè la dottoressa, a suo tempo e conoscendomi ormai da qualche mese, mi disse: "la cura di solito dura tra i 6 e i 9 mesi, ma vedrai che con 6 mesi potrai sospenderla". ora, capirà che dopo un'affermazione tale non accetti di buon grado che uno sconosciuto mi imponga di continuare per un anno o più, giustificando la sua decisione dicendomi che "se sto bene con la pastiglia devo continuare a prenderla". Tutto lì.

Un'ultima cosa. Vista la scarsa fiducia che ho in questo nuovo dottore che mi è stato assegnato, crede che potrei confidare a lei i miei dubbi e le mie questioni? Voglio dire, fa parte di questo utilissimo servizio che offrite presentare la propria situazione in maniera globale e dettagliata in modo da avere realmente una seconda opinione valida? se fosse così sarei felice di poterle raccontare tutto dall'inizio e di poter contare su di lei. Altrimenti, la ringrazio infinitamente per avermi aiutato.

Saluti,

L
[#5]
Dr.ssa Cristiana Cecchi Psichiatra, Psicoterapeuta 27
Gentile utente,


posso capire il suo medico di famiglia che spesso sembra non avere molto tempo per soffermarsi durante il colloquio, considerando il numero di visite che normalmente hanno i medici di base. E’ per questo che sono del parere che bisognerebbe sempre (spesso invece non avviene) rivolgersi ad uno specialista.
Questo sia perché si presume, considerato che esiste una specializzazione, che la preparazione e la formazione sia più specifica, senza nulla togliere ai miei colleghi della medicina generale, sia perché
per questi tipi di disturbi, nella maggior parte dei casi, la terapia va ben oltre la semplice prescrizione del farmaco. L’ascolto, il supporto psicoterapeutico e un buon rapporto medico-paziente fanno parte integrante del percorso. Io sono di questa opinione.
Lei però purtroppo si è imbattuta in una situazione particolare visto che la collega che la seguiva fin dall’inizio ha avuto una gravidanza.

Per quanto riguarda la sua richiesta, potrebbe anche raccontare in dettaglio la sua storia, esprimere i suoi dubbi ed io l’ascolterei (leggerei) molto volentieri ma non potrei fare una diagnosi o indicarle quale è la strada più giusta per lei senza mai averla visitata, senza mai avere avuto nemmeno un colloquio. Questo forum è di grande utilità ma non può e non deve sostituirsi alla visita.
Fermo restando quanto appena detto, rimango a disposizione per leggere eventualmente la sua storia (così come credo i miei colleghi) qui nel forum o se preferisce può anche scrivermi/ci per email.

Un ultima cosa. Visto che lei sembra avere il bisogno e il desiderio di parlare di sé e delle sue perplessità, tant’è che si è rivolta a questo servizio per farlo e sarebbe disposta ad aprirsi, perché non contatta uno specialista della sua zona al fine di avere l’opinione valida che cerca? Sicuramente sarebbe non solo il modo “corretto” per avere tale opinione ma anche un occasione per farsi ascoltare, visto che lei sembra sentirne il bisogno (giustamente!). E’ solo un consiglio.



Cordiali saluti
Dr.ssa Cristiana Cecchi
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