Sono un medico affetto da disturbo d'ansia
Sono un medico e questo forse ha reso difficile affidarmi completamente al mio psichiatra che è anche psicoterapeuta, orientamento psicodinamico. Da 10 anni seguo un percorso di psicoterapia individuale durata sedute 20 min, una ogni 15 gg in convenzione con il ssn.
Ultimamente mi ha detto di non potermi aiutare credo a ragione …perché di testa mia aumentavo il dosaggio terapia in caso di ricadute, come se gestissi io la terapia e non lui.
Gli dò perfettamente ragione: è come se un pz cardiologico decidesse di sospendere o aumentare un antiaritimico! Mi ha detto di affrontare il problema a studio privato da lui con maggior impegno, giustamente retribuito, una volta a settimana, oppure di prendermi in una pausa di flessione o cercare un altro terapeuta ( il tutto detto con massimo garbo e stima reciproca).
Ma nel momento buio penso solo forse in modo organicistico che il farmaco mi possa aiutare.
Disturbo d’ansia ad impronta fobica, fobico-sociale, rimugina menti mentali con spunti ossessivi che mirano a contrastare le fobie. Ripercussione somatiche molto fastidiose: mi si chiude lo stomaco e mangio sforzandomi molto. Nei momenti bui vorrei stare disteso sul letto ed aspettare che passi…e invece l’ansia aumenta.
Sforzandomi riesco ad affrontare la vita, riduco al minimo la tendenza all’evitamento fobico.
Esordì 10 anni fa assumendo il contorni di un vera e propria depressione. Periodicamente 4-5 volte
in questi 10 anni ho avuto ricadute ansioso-fobiche della durata di mesi.
Credo di essermi irrobustito tuttavia in questi anni.
Sono stanco di fare psicoterapia, la paroxetina potrebbe non funzionare più? Vorrei demedicalizzarmi…”depsichiatrizzarmi”.
Cosa potete consigliarmi? Da un mese sono passato da mezza cpr di paroxetina (era più di un anno che andavo bene) ad una intera.
Sto associando alla paroxetina da 20 (che assumo da 10 anni) l’alprazolam 0,50 una cpr per tre al dì..pensando di scalare in seguito l’alprazolam.
Grazie al mio psichiatra e forse alla paroxetina o al mio impegno sono riuscito ad avere una vita normale, realizzarmi professionalmente e formare una famiglia. Ogni tanto qualcosa si inceppa e ne soffro molto…come se mi venissero richieste troppe cose cui non riesco al essere all’altezza.
Il lavoro mi fa molto bene, mi distrae e mi tira su.
Chi mi è vicino e anche il mio psichiatra dice che i farmaci non c’entrano nulla…o poco…ed è un fatto squisitamente di dinamiche psicologiche…
Grazie in anticipo delle vostre eventuali risposte. Non vi chiedo la terapia ma un orientamento. Al momento mi segue anche il mio medico di famiglia.
Vi saluto con viva cordialità.
Ultimamente mi ha detto di non potermi aiutare credo a ragione …perché di testa mia aumentavo il dosaggio terapia in caso di ricadute, come se gestissi io la terapia e non lui.
Gli dò perfettamente ragione: è come se un pz cardiologico decidesse di sospendere o aumentare un antiaritimico! Mi ha detto di affrontare il problema a studio privato da lui con maggior impegno, giustamente retribuito, una volta a settimana, oppure di prendermi in una pausa di flessione o cercare un altro terapeuta ( il tutto detto con massimo garbo e stima reciproca).
Ma nel momento buio penso solo forse in modo organicistico che il farmaco mi possa aiutare.
Disturbo d’ansia ad impronta fobica, fobico-sociale, rimugina menti mentali con spunti ossessivi che mirano a contrastare le fobie. Ripercussione somatiche molto fastidiose: mi si chiude lo stomaco e mangio sforzandomi molto. Nei momenti bui vorrei stare disteso sul letto ed aspettare che passi…e invece l’ansia aumenta.
Sforzandomi riesco ad affrontare la vita, riduco al minimo la tendenza all’evitamento fobico.
Esordì 10 anni fa assumendo il contorni di un vera e propria depressione. Periodicamente 4-5 volte
in questi 10 anni ho avuto ricadute ansioso-fobiche della durata di mesi.
Credo di essermi irrobustito tuttavia in questi anni.
Sono stanco di fare psicoterapia, la paroxetina potrebbe non funzionare più? Vorrei demedicalizzarmi…”depsichiatrizzarmi”.
Cosa potete consigliarmi? Da un mese sono passato da mezza cpr di paroxetina (era più di un anno che andavo bene) ad una intera.
Sto associando alla paroxetina da 20 (che assumo da 10 anni) l’alprazolam 0,50 una cpr per tre al dì..pensando di scalare in seguito l’alprazolam.
Grazie al mio psichiatra e forse alla paroxetina o al mio impegno sono riuscito ad avere una vita normale, realizzarmi professionalmente e formare una famiglia. Ogni tanto qualcosa si inceppa e ne soffro molto…come se mi venissero richieste troppe cose cui non riesco al essere all’altezza.
Il lavoro mi fa molto bene, mi distrae e mi tira su.
Chi mi è vicino e anche il mio psichiatra dice che i farmaci non c’entrano nulla…o poco…ed è un fatto squisitamente di dinamiche psicologiche…
Grazie in anticipo delle vostre eventuali risposte. Non vi chiedo la terapia ma un orientamento. Al momento mi segue anche il mio medico di famiglia.
Vi saluto con viva cordialità.
[#1]
Gentile utente,
I ragionamenti che si fanno da pazienti risentono molto dei sintomi, in questo caso psichici, che possono portare verso strade paradossali o pensieri che hanno funzione di sfogo, tipo quello di pensare di togliere la cura perché così la malattia non avrà più "soddisfazione", ovviamente un paradosso.
La diagnosi non è chiara, e andrebbe definita in maniera standardizzata. Le cure se non sono efficaci è bene che siano cambiate, e l'ansiolitico in maniera continuativa solitamente è indice di una risposta non completa.
La gestione delle medicine è compito del curante, però non mi sembra neanche sensato affermare che il farmaco non può essere risolutivo o che le dinamiche psicologiche debbano essere avulse dalla fisiopatologia di un disturbo d'ansia, ossessivo o fobico. Spesso ne sono semplicemente l'espressione clinica più immediata, che poi si può ricondurre ai sintomi fondamentali magari.
Non esiste una prospettiva organicista contrapposta ad altro, esistono solo strumenti di vario tipo che hanno un effetto sull'organo bersaglio, e che è bene che gestisca un medico perché il paziente è portato a operare una gestione su direzioni dettate dalle esigenze o dai ragionamenti proprio del disturbo, più che dalle linee che possono invece portare ad una soluzione.
Pertanto, faccia diagnosticare la cosa in maniera standard e adeguare la cura se questa non sembra funzionare.
I ragionamenti che si fanno da pazienti risentono molto dei sintomi, in questo caso psichici, che possono portare verso strade paradossali o pensieri che hanno funzione di sfogo, tipo quello di pensare di togliere la cura perché così la malattia non avrà più "soddisfazione", ovviamente un paradosso.
La diagnosi non è chiara, e andrebbe definita in maniera standardizzata. Le cure se non sono efficaci è bene che siano cambiate, e l'ansiolitico in maniera continuativa solitamente è indice di una risposta non completa.
La gestione delle medicine è compito del curante, però non mi sembra neanche sensato affermare che il farmaco non può essere risolutivo o che le dinamiche psicologiche debbano essere avulse dalla fisiopatologia di un disturbo d'ansia, ossessivo o fobico. Spesso ne sono semplicemente l'espressione clinica più immediata, che poi si può ricondurre ai sintomi fondamentali magari.
Non esiste una prospettiva organicista contrapposta ad altro, esistono solo strumenti di vario tipo che hanno un effetto sull'organo bersaglio, e che è bene che gestisca un medico perché il paziente è portato a operare una gestione su direzioni dettate dalle esigenze o dai ragionamenti proprio del disturbo, più che dalle linee che possono invece portare ad una soluzione.
Pertanto, faccia diagnosticare la cosa in maniera standard e adeguare la cura se questa non sembra funzionare.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
[#2]
(..)Da 10 anni seguo un percorso di psicoterapia individuale (..)
Gentile utente quando un approccio terapeutico si protrae così a lungo sta diventando esso stesso parte del problema. Esso si trasforma in una sorta di tentata soluzione che in realtà sta mantenendo, paradossalmente, in vita quelle "presunte" dinamiche che hanno dato origine al problema.
Accade spesso che i sintomi d'ansia (seppur siano nati da dinamiche psicologiche particolari) assumono un andamento autonomo ormai distaccato da condizioni originarie e mantenute in vita mediante processi di condizionamento e/o tentativi disfunzionali ed erronei di tenerli a bada.
Questo circolo vizioso può essere spezzato mediante inerventi più brevi che potrebbero aitarla a raggiungere gli obiettivi che si propone.
(..)Vorrei demedicalizzarmi…”depsichiatrizzarmi”.(..)
saluti
Gentile utente quando un approccio terapeutico si protrae così a lungo sta diventando esso stesso parte del problema. Esso si trasforma in una sorta di tentata soluzione che in realtà sta mantenendo, paradossalmente, in vita quelle "presunte" dinamiche che hanno dato origine al problema.
Accade spesso che i sintomi d'ansia (seppur siano nati da dinamiche psicologiche particolari) assumono un andamento autonomo ormai distaccato da condizioni originarie e mantenute in vita mediante processi di condizionamento e/o tentativi disfunzionali ed erronei di tenerli a bada.
Questo circolo vizioso può essere spezzato mediante inerventi più brevi che potrebbero aitarla a raggiungere gli obiettivi che si propone.
(..)Vorrei demedicalizzarmi…”depsichiatrizzarmi”.(..)
saluti
Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 8.8k visite dal 21/09/2010.
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Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.