Un "disturbo bipolare"

Gentili dottori,
sono un utente poco più che trentenne che ha già richiesto un vostro parere in un post intitolato “Follia. Si può guarire?”.
Vi scrivo per dirvi che sono da anni in cura da un neurologo che mi ha diagnosticato (forse un po’ genericamente) un “disturbo bipolare”. Già nella precedente richiesta spiegavo brevemente la mia malattia comparsa quando avevo circa 26/27 anni e durata, tra alti e bassi, circa 4 anni e caratterizzata da atteggiamenti psicotici e ossessivi, continue paranoie, “manifestazioni del magico” (come le definisce il mio neurologo), ossessione per la sessualità, manie di persecuzione eccetera (vera e propria follia, vi assicuro). Se comunque c’è bisogno che racconti (chiaramente brevemente) di nuovo la mia malattia posso farlo senza problemi.
Mi sono curato con massicce dosi di Aloperidolo (più Artane e mi sembra Depakin) ma oramai sono più di due anni e mezzo che posso dire, non senza un brivido, di stare bene. Continuo naturalmente una terapia di mantenimento che consiste in una puntura di Haldol Decanoas 50 da 1 mg ogni 21 giorni (che sono sempre 23/24 giorni), Artane, e una pasticca di Topamax 50 la sera come stabilizzante.
Ora… da qualche mese mi sono rivolto al CSM per una psicoterapia e quindi da maggio sono in cura anche da una psicologa/psichiatra che spero mi possa aiutare a scongiurare il rischio di ricaduta (il mio principale terrore) e spero anche che mi possa accompagnare ad uscire definitivamente (se possibile) dalla mia malattia (il mio principale desiderio) e smettere di prendere medicine.
C’è il fatto che la mia terapista, qualche seduta fa, mi ha detto che voleva cambiarmi terapia farmacologica. Dunque (la faccio breve) si è più o meno accordata telefonicamente col mio neurologo e da domani devo assumere 1 capsula di Invega da 6 mg la mattina e 1 compressa di Seroquel da (fino ad arrivare a) 100 mg la sera.
Vi chiedo, quindi, cosa ne pensate di questa nuova terapia considerando che quella attuale, a mio modestissimo parere, mi ha fatto stare bene per (ripeto) 2 anni e mezzo senza apparenti effetti collaterali tranne, forse, una certa mancanza di libido (forse dovuta però anche ad altri fattori). Sostanzialmente ho molta paura di stare di nuovo male.
Poi vi dico anche che ho perso un lavoro precario e il neurologo (medico d’esperienza, primario in un grande ospedale) mi dice che se mi trovo un lavoro stabile e una soddisfacente vita sentimentale e sociale potrebbe (quasi) arrivare a sospendermi del tutto le medicine (cosa che mi renderebbe felice), cosa questa che non vede affatto d’accordo la terapista del CSM secondo la quale la mia malattia ha bisogno di anni e anni prima di potersi definire debellata.
Vorrei un vostro parere al riguardo.

Nel chiedervi scusa per la lettera forse un po’ confusa e lunga e nel ringraziarvi per la cortese attenzione vi porgo i miei più cordiali saluti.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.2k 1k
Gentile utente,

La cura proposta è una di quelle possibili, però si tratta comunque di antipsicotici. Il topamax in un disturbo bipolare I (perché mi par di capire che sia una forma psicotica) non ha un ruolo, è uno stabilizzante dell'umore minore, a dose bassa e comunque il farmaco che regge il tutto è l'haldol. Invega è un altro antipsicotico, mentre seroquel 100 a quella dose non svolge una funzione preventiva, e comunque non ha molto senso associarne due di antipsicotici in un cambio di terapia.

Per quanto riguarda "e spero anche che mi possa accompagnare ad uscire definitivamente (se possibile) dalla mia malattia (il mio principale desiderio) e smettere di prendere medicine":
Questo è un errore grossolano. La psicoterapia non ha questa funzione, e l'intento finale è paradosso.
Non sembra aver capito in cosa consiste la malattia. Quello che ha in mente è predisporre il terreno per una grave ricaduta (sospendere le medicine) anche se non ha in mente di farlo adesso e tutto insieme, ma il risultato finale non cambierebbe. Dopo ricadute non è detto che il disturbo sia ugualmente curabile come prima, e bene come era stato curabile prima.

Il fatto che sia approdato ad una terapia iniettiva di solito significa che non era in grado di assumere stabilmente quelle per bocca. Almeno solitamente si ripiega su quelle iniettive perché, anche se più pesanti, perlomeno non si possono sospendere nel momento in cui questo pensiero viene in mente.

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

[#2]
Utente
Utente
Gentile Dr. Pacini,
prima di tutto la ringrazio per la risposta.
Volevo dirle che in effetti non ho mai avuto un buon rapporto con i miei farmaci e durante la malattia, credendo di stare benissimo (se mi fossi reso conto di stare male sarebbe stato molto più facile e breve uscirne) era molto complicato farmi assumere farmaci e quindi il medico ha optato per l’iniezione. Ma ora entrambe i miei referenti (e io stesso) ritengono che abbia raggiunto un più che sufficiente grado di consapevolezza circa la mia malattia e quindi hanno ritenuto possibile il passaggio alle compresse.
Non ho mai pensato di sospendere (autonomamente) i farmaci. C’è solo il fatto che io fino ai miei 26/27 anni sono stato più o meno felice e soprattutto “normale” (mi capisca) e ho semplicemente il desiderio, che azzardo a definire naturale, di ritornale alla “normalità” di una vita senza farmaci; perché (c’è poco da fare…) il prendere ogni sera pasticche per la psiche, farsi le punture o quant’altro ha delle ripercussioni nefaste su vari aspetti del mio carattere e sulla mia autostima e di conseguenza sulla vita di relazione e sentimentale. In terapia stiamo lavorando anche su questo ma non vedo, per ora, risultati.
Sì, poi mi sento dire spesso che è meglio avere il mio disturbo che soffrire, per esempio, di diabete. Verissimo. Ma come dire… Immagini se io mi trovassi una ragazza (e sono una persona neanche brutta ma sono anni che non ne ho una) e la sera prima di coricarmi con lei dovessi prendere il neurolettico quotidiano perché altrimenti divento pazzo… e immagini se dovessi confidare alla poverina che faccio uso di psicofarmaci (non ci voglio neanche pensare, ho avuto brutte esperienze in merito)….
Quello che sto cercando di dire è che il disagio psichico - e non una leggera depressione ma un problema serio come il mio - non è socialmente accettato e probabilmente sono io il primo a non accettarlo. Ecco quindi il desiderio di debellare definitivamente la malattia e ritornare a vivere “normalmente” come prima, senza medicine. Ma è solo un desiderio, ripeto(2punti) non ho mai avuto intenzione di autosospendermi i farmaci.
Dalla sua risposta deduco che anche per lei non è il caso di pensare di diminuire o sospendere la terapia. Vabbeh…

La ringrazio ancora per il tempo dedicatomi e, cordialmente, la saluto.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.2k 1k
Gentile utente,

Tutte considerazioni comprensibili se non fosse per il fatto che manca la consapevolezza della malattia, grande assente di tutto questo discorso. una vita senza farmaci corrisponde nella realtà ad una vita con la malattia non curata. In base alla diagnosi questo puà o meno essere accettabile, ma una diagnosi di psicosi non lascia grande spazio per una vita di relazione se non è curata.
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