Paroxetina vs fluoxetina? quando preferire l'una o l'altra molecola?

Buongiorno,
vorrei sapere quali sono le differenze tra Paroxetina e Fluoxetina, e quali sono i campi di utilizzo più indicati per ognuna.

In particolare mi interessa capire:
- sono equivalenti sul disturbo d'ansia?

- sono equivalenti sulla depressione?

- sono equivalenti sui disturbi dell'umore?

- quando e perché preferire una molecola all'altra?

- quanto gioca la soggettività del paziente?

- quanto gioca l'età del paziente (ad esempio giovane adulta, donna in menopausa?


grazie a chi mi risponderà
Dr.ssa Franca Scapellato Psichiatra, Psicoterapeuta 4.1k 206
Gentile utente,
i due farmaci sono entrambi inibitori della ricaptazione della serotonina, SSRI.
Le domande che pone non possono avere una risposta univoca: lo specialista sceglie di utilizzare l'una o l'altra in base alla sua esperienza e la risposta dipende da caratteristiche del paziente, neurofisiologiche e psicologiche, che non si possono stabilire a priori. Questi farmaci non sono indicati al di sotto dei 18 anni, mentre dopo i 65 o in caso di problemi epatici o renali il dosaggio dev'essere ridotto.
Un elemento utile può essere l'anamnesi familiare: una buona o cattiva risposta da parte di un familiare può suggerire di scegliere l'uno o l'altro farmaco.

Franca Scapellato

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Hanno sostanziamente le stesse indicazioni. Per quel che mi risulta, la paroxetina è più usata nel disturbo di panico. La fluoxetina ha anche indicazione nella bulimia. Tolto questo, il resto delle indicazioni è abbastanza sovrapponibile, anche sul pianod del metabolismo epatico di smaltimento.
A parte alcune situazioni specifiche di interazioni farmacologiche, quindi, vanno considerate alternative nel contesto degli ssri.

Dr.Matteo Pacini
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vi ringrazio delle risposte.

Per quanto riguarda le controindicazioni, vi risulta che a parità di dosaggio la paroxetina sia più sedativa, mentre la fluoxetina più attivante? O questo può essere dovuto alla risposta soggettiva di ogni paziente alla molecola?
Se questo è vero, in caso di attacchi di ansia, questo puoi rendere la paroxetina più indicata?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Questo è ciò che normalmente si ritiene, ma potrebbe essere un'idea più che una realtà. Anche perché non dandole alle stesse persone, ma a persone diagnosi tendenzialmente diverse, si hanno impressioni non facilmente interpretabili. "Attivante" va riferimento all'effetto durante la terapia già avviata, e ovviamente ha senso anche rispetto alla diagnosi di partenza.
"Attacchi di ansia" è un termine vago, non è sinonimo di attacchi di panico e non corrisponde ad una diagnosi precisa. Per la precisione poi non è "in caso di" intesa come terapia sull'attacco, ma "in caso di " diagnosi di disturbo di panico.

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Grazie dottor Pacini,
Per cui, se vanno prescritte a persone con diagnosi tendenzialmente diverse, quali sono le caratteristiche delle diagnosi che fanno preferire una molecola all'altra?

Sugli "Attacchi di ansia" mi sono espressa male:
trattasi di sporadici episodi d'ansia, anche invalidanti, dovuti a situazioni esterne oggettivamente difficili da gestire. Non di una diagnosi di disturbo di panico.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Cosa fa preferire un farmaco all'altro, al di là delle evidenze, è questione di fattori personali, quindi non importa.

Dr.Matteo Pacini
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Bene. Riformulo la domanda in maniera più specifica e personale:
Se un paziente con anamnesi di bulimia nervosa, non del tutto in remissione, depressione atipica stagionale, instabilità dell'umore, episodi d'ansia, assume paroxetina (20mg/die), prescritta dallo psichiatra/psicoterapeuta, per un periodo breve ma considerato sufficiente a sentire il pieno beneficio del farmaco (5-6 mesi invernali), seppur riconoscendo tutti i vantaggi avuti (distacco emotivo, tono dell'umore più stabile, aggressività e conflittualità ridotte, episodi d'ansia scomparsi, gestione migliore delle situazioni esterne oggettivamente difficili nell'ambito familiare e lavorativo), per fattori soggettivi, personali, ma in modo oggettivamente evidente, risente notevolmente dell'effetto sedativo, letargico, del conseguente aumento di peso, e percepisce di aver perso alcuni aspetti peculiari, ritenuti dal paziente il proprio "carattere" (vivace, sportivo, reattivo, instabile ma creativo), potrebbe beneficiare dalla riduzione della paroxetina, consigliata dal curante, o potrebbe considerare il passaggio alla fluoxetina?
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Dr. Giovanni Portuesi Psichiatra, Psicoterapeuta 682 38
Direi che messa come l' ha formulata la sua ipotesi mi sembra farmacologicamente legittima. Ancora una volta è meglio fare quesiti specifici piuttosto che generici. Proprio per il bisogno di questa specificità sarebbe il caso che ne parli al suo psichiatra. D' altra parte non è neanche il caso di pensare di poter raggiungere al 100 per cento quello che mi sembra essere ( non a torto) il suo obiettivo: tutti i vantaggi della paroxetina ( già raggiunti) più i benefici della fluoxetina ( essenzialmente sul peso e sulla sedazione). Alla coppia medico - paziente un attenta disamina del bilancio pro contro nel suo caso specifico.

Dr Giovanni Portuesi

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Mi pare che ponga una domanda con una risposta ovvia, praticamente si è risposto da solo con una presentazione tutta impostata in quella direzione. Il che non significa che non sia potenzialmente corretta. Ma che senso ha ipotizzarla in astratto, non la può discutere col suo medico se mai ? O meglio, è una proposta che deriva da chi, e rivolta a chi concretamente ?

Dr.Matteo Pacini
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Chiarisco ulteriormente. Sono in seguita dalla stessa persona per la psicoterapia e per la terapia farmacologica. Nelle prime due settimane ho riscontrato diversi effetti collaterali, sintomi ansiosi e depressivi rafforzati, effetto sedativo da non alzarsi la mattina ecc. Ma ho perseverato. Dopo che il farmaco ha avuto modo di agire, è rimasto l’effetto sedativo, e di letargia da non avere voglia di fare sport, e questa pacatezza generale nella quale non mi riconosco. Ho certamente espresso tutti i miei dubbi in seduta, insieme alla forte preoccupazione per il peso, e il fortissimo disagio di non avere lo stimolo di fare le cose che ritengo sane come ad esempio lo sport, i miei hobby ecc. In funzione di questo, ho chiesto di ridurre la paroxetina, ed è il compromesso che ho raggiunto al momento. Ma ho perso alcuni dei benefici, come ad esempio la stabilità dell’umore, e la distanza emotiva.
Vista la mia fragilità cronicizzata sul discorso alimentare, ho ritenuto utile in questo periodo farmi seguire contemporaneamente anche da un medico nutrizionista anche esso estremamente competente, esperto in DCA, che ha proposto, essendo anche psichiatra, (ma senza entrare a gamba tesa) il cambio con la Fluoxetina. Il mio terapeuta non è d’accordo, per l’effetto attivante che portebbe avere, e in effetti, la cosa mi preoccupa visti gli episodi d’ansia, pochi ma invalidanti che avevo all’inizio della terapia, e lo stato di tensione e stress generale che avevo a carico. Poiché mi fido di entrambi i medici ma conosco solo gli effetti della paroxetina su di me, e anche se le variabili sono tante, vorrei, per decidere, prevedere in qualche modo come potrei trovarmi con il cambio di farmaco.
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Dr. Giovanni Portuesi Psichiatra, Psicoterapeuta 682 38
Posso limitarmi a dire che non vedrei la fluoxetina come attivante nel suo caso

Dr Giovanni Portuesi

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
L'effetto "attivante" non è agitante, sono due cose diverse. Il primo è un tipo di profilo di risposta, non il fatto che il farmaco induce agitazione: se è per quello, possono farlo tutti. La decisione è sua, eviti di mettersi però in situazioni in cui un medico propone e l'altro dovrebbe approvare la proposta del collega, perché capisco che così ci sono attriti o resistenze a prescindere.

Dr.Matteo Pacini
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Ringrazio entrambi.
Capisco che si possano innescare resistenze e attriti, ma io sono fatta così, e per quanto possa risultare "fastidioso", passatemi il termine, mi è sembrato di fare un buon lavoro, oltre che estremamente corretto, condividere minuziosamente con il mio psicoterapeuta tutta la dinamica sulla questione farmaci, alimentazione ecc. allo stesso modo in cui ho espresso la mia diffidenza generale nei confronti della farmacoterapia all'inizio del nostro percorso. Ma non per questo non ho seguito le indicazioni del medico, con fiducia e convinzione. Non sono in terapia per calcolare la reazione del terapeuta, che chiaramente potrebbe anche essere svantaggiosa per me, ma per stare meglio. Ed è - sono convinta - l'obiettivo del mio terapeuta. Io porto il materiale. Sta a lui accogliere e gestire la situazione. Sarei moto delusa, diversamente.
Io credo che lui sia francamente convito che la fluoxetina possa avere effetti maniacalizzanti, per anamnesi famigliare, e perché effettivamente il mio umore è sempre stato altalenante, quando non depresso, spesso estremamente sopra le righe, iperattivo, allegro, ma anche irritabile, Spesso di tono nervoso, isterico e aggressivo (ma è difficile stabilire se questo aspetto non sia stato una conseguenza dovuta alla bulimia, che fa la sua parte sulla mente, purtroppo lo so molto bene!), o viceversa. Non ho però mai avuto episodi maniacali franchi e in effetti non abbiamo mai parlato di diagnosi, intesa come "etichetta". Da qui i miei dubbi.
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Chiarisco ulteriormente. Sono in seguita dalla stessa persona per la psicoterapia e per la terapia farmacologica. Nelle prime due settimane ho riscontrato diversi effetti collaterali, sintomi ansiosi e depressivi rafforzati, effetto sedativo da non alzarsi la mattina ecc. Ma ho perseverato. Dopo che il farmaco ha avuto modo di agire, è rimasto l’effetto sedativo, e di letargia da non avere voglia di fare sport, e questa pacatezza generale nella quale non mi riconosco. Ho certamente espresso tutti i miei dubbi in seduta, insieme alla forte preoccupazione per il peso, e il fortissimo disagio di non avere lo stimolo di fare le cose che ritengo sane come ad esempio lo sport, i miei hobby ecc. In funzione di questo, ho chiesto di ridurre la paroxetina, ed è il compromesso che ho raggiunto al momento. Ma ho perso alcuni dei benefici, come ad esempio la stabilità dell’umore, e la distanza emotiva.
Vista la mia fragilità cronicizzata sul discorso alimentare, ho ritenuto utile in questo periodo farmi seguire contemporaneamente anche da un medico nutrizionista anche esso estremamente competente, esperto in DCA, che ha proposto, essendo anche psichiatra, (ma senza entrare a gamba tesa) il cambio con la Fluoxetina. Il mio terapeuta non è d’accordo, per l’effetto attivante che portebbe avere, e in effetti, la cosa mi preoccupa visti gli episodi d’ansia, pochi ma invalidanti che avevo all’inizio della terapia, e lo stato di tensione e stress generale che avevo a carico. Poiché mi fido di entrambi i medici ma conosco solo gli effetti della paroxetina su di me, e anche se le variabili sono tante, vorrei, per decidere, prevedere in qualche modo come potrei trovarmi con il cambio di farmaco.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
"Io credo che lui sia francamente convito che la fluoxetina possa avere effetti maniacalizzanti"

Che non c'entra nulla con il concetto di attivante, è questo che intendevo. Se parliamo di effetto maniacalizzante, vuol dire che siamo dalle parti del disturbo bipolare, e in questo senso la paroxetina è ugualmente in grado di fare quell'effetto.

Se uno propone un cambio, a chi lo propone ? Al collega ? Se lo ritiene indicato, può segnarlo direttamente. Se invece non vuole interferire perché l'altro collega mantiene il suo ruolo, allora neanche glielo consiglia. Se no si creano queste situazioni in cui poi non si pone solo il problema di cosa ciascuno ritiene migliore, ma del fatto che uno abbia dato un parere che chiaramente vorrebbe veder realizzato, però da esterno tramite il paziente.

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Vede, io ho contattato il primo dottore come psicoterapeuta, con la premessa di forte perplessità rispetto alla farmacoterapia. Non volevo andare in cura da uno psichiatra. Il dottore, quando mi ha prescritto la paroxetina, in autunno, riteneva di affiancare appena più avanti uno stabilizzatore dell'umore, ma io ho categoricamente rifiutato di prendere due farmaci, ho accettato, per provare, di iniziare l'ssri e vedere i risultati.
Il secondo dottore, insieme alla parte nutrizionale, certamente che ha fatto la prescrizione della fluoxetina, ma io ho obiettato che volevo parlarne con il terapeuta, giacché mi segue anche in farmacoterapia e dato che mi conosce meglio. Non nascondo che la mia reazione istintiva alla situazione creatasi è stata quella togliere completamente i farmaci. D'altra parte, i due professionisti ai quali mi sono rivolta, anche se hanno anno entrambi profili trasversali, sono psichiatri - qualche campanello d'allarme, anche se inconsciamente, mi sarà pure suonato.
Ne ho parlato con il terapeuta, e siamo arrivati al compromesso, (ma perché non ho lasciato molta scelta), di abbassare molto lentamente la dose di paroxetina e monitorare come va. Ora sto assumendo 5 mg, (che mi pare di capire siano paragonabili all'effetto placebo) sono più reattiva, meno riflessiva, più aggressiva, decisamente non sono depressa. La parte nutrizionale è sotto controllo, senza sforzo. Mi sorge il dubbio che, anche se non ho la certezza dell'etichetta, eh sì - potremmo essere dalle parti di una depressione bipolare, e ora che è primavera, sto andando verso il versante ipomaniacale, e rifiuto i farmaci perché mi sento meglio. O, più semplicemente, dato che la paroxetina mi ha fatto recuperare le forze psichiche, ora che sto meglio, faccio l'errore di interrompere la farmacoterapia prima del tempo. Di questo sì che dovrò parlarne in terapia.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Le ipotesi che fa sono plausibili, salvo per il fatto che se uno è in ipomania è convinto di agire bene e l'autocritica si allenta, anziché emergere.
L'altra cosa: le valutazioni alla riduzione o aumento delle dosi non sono quelle interessanti, perché l'effetto si vede dopo.

Dr.Matteo Pacini
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Se ho capito bene, intende dire che ci vuole del tempo per valutare l'effetto della riduzione della dose di farmaco? Dopo quanto tempo, indicativamente ?

Ho iniziato la riduzione progressiva della paroxetina, passando alle gocce, mooolto lentamente, un mese fa. Non ho avuto nessun effetti da dismissione degni di nota.
Ad oggi sono a zero da un paio di giorni, e mi sento bene: attiva, lucida e finalmente centrata "dentro me stessa". Ho gestito un paio di situazioni di tensione in maniera molto civile, ( la psicoterapia sta dando qualche frutto), e forte del piano alimentare: nessuna crisi bulimica o perdita di controllo per tutto il mese.
Cosa da segnalare: con la paroxetina, libido a mille, ma difficilmente raggiungevo l'orgasmo. Ora invece: discreto calo della libido, ma orgasmo ok, (che non guasta per chiunque, depresso o no). Ma questo non è inusuale?
Mi viene da dire: se sono triste, e non prendo nulla, riesco a fare sport, mi attengo al piano CBT e mangio bene, (niente picchi glicemici, niente crisi), faccio sesso, evito il più possibile la gente troppo agitata. Rimangono: i casini lavorativi, le malattie e i lutti.

Dovrò attendere qualche evento esterno destabilizzante (ce ne saranno, anche se, spero proprio, di no e "faccio le corna") per valutare se crollo, o si assumono psicofarmaci a titolo preventivo? Ho già la fluoxetina acquistata, li pronta, ma boh?
Come vi suona "Psichiatria nutrizionale"? Ha solide fondamenta scientifiche ?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Comer le dicevo, bisogna attendere tempistiche di alcuni mesi per capire come vanno le cose se si tratta della bulimia, perché non ha un decorso costante, può avere interruzioni.
Mi pare ci sia confusione tra il mangiar bene e la bulimia. Non è che la bulimia si cura mangiando bene, sarebbe un non-senso. La bulimia consiste in abbuffate, è ovvio che l'abbuffarsi non sia un "mangiar bene", ma questo è il sintomo appunto. Più che psichiatria nutrizionale, che al momento non sussiste, le persone sono innamorate dell'idea di controllare le proprie funzioni con il cibo giusto. Nel momento in cui il cervello funziona, come dice Lei, "riesce" a fare x, y. z e non ha motivo di fare altro che non quello che vuole e che gradisce, salvo doversi adattare al resto.
Lo stile di vita è una conseguenza dello star bene o male.

Dr.Matteo Pacini
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Per il momento, e Lei mi conferma che è presto, nella mia valutazione dei pro e contro tra il prendere e non prendere la paroxetina, diversi aspetti vanno nella direzione del non prenderla. Li ho accennati, ma approfondisco meglio quello legato alla bulimia:
Riesco a fare sport, questo mi aiuta a non ingrassare ( ingrassare ovviamente mi terrorizza). Poi fare sport è una cosa che mi piace da sempre, è sempre stata un àncora, e mi aiuta a stare bene anche di umore, ma senza eccessi, (eccessi che, quando in passato ne ho avuti, riconosco che fanno parte di un atteggiamento compensatorio tipico del disturbo alimentare).
Soffro purtroppo di bulimia da più di 30 anni, mai curata adeguatamente, con gli alti e i bassi che dice correttamente Lei.
Ma ora, con, se vuole, con una stupida speranza, e molta fiducia nell'aiuto di due medici, e forse perché la bulimia mi ha proprio stufato, (la sento "non più funzionale a nulla" mentre per anni era il mio rifugio), riesco, senza sforzo, per la prima volta nella mia vita ad attenermi al piano alimentare proposto. E per "mangio bene" intendo che riuscendo a tenere sotto controllo i picchi glicemici, che, Lei lo sa bene, è l'aspetto prettamente fisiologico che innesca e mantiene il meccanismo, non ho crisi dovute all'abbassamento degli zuccheri provocato dal vomito e conseguente circolo vizioso senso di colpa-abbuffata-vomito-senso di colpa-abbuffata. Cosa che prima non è che non sapevo ma - non so perché -non riuscivo a fare.
La volontà centra poco - ora so questo.
Aggiungo, faccio molta attenzione, lavorando in psicoterapia, agli aspetti emotivi: cause scatenanti, impulsività, gratificazione immediata ecc.

Rimane sempre aperta la domanda iniziale (con variante, perché a quanto pare, emerge che la paroxetina per me si è bruciata ogni possibilità, incenerita proprio, con il conseguente aumento di peso), aspettare mesi e vedere come va, o passare alla fluoxetina, prima di stare di nuovo male?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
Il meccanismo è mantenuto dall'impulso a mangiare. Il meccanismo secondario della glicemia riguarda lo star male se non si mangia, lì per lì, ma non è il movente.
La volontà non è che c'entri, è che quella che abbiamo è spesso dentro il disturbo quando il disturbo si esprime.
Il controllo ipotetico delle cause scatenanti non toglie che il disturbo non prevede che vi siano cause scatenanti, si dà per buono che possa anche essere autonomo da qualsiasi cosa. Ovvero, ciò che lo scatena non è una causa assoluta, a volte agisce ma a volte no.

Dr.Matteo Pacini
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Al momento non ho impulso a mangiare più di ciò che mangio. Camminerò per gradi, un passo alla volta, e vedrò come va.

"Più che psichiatria nutrizionale, che al momento non sussiste, le persone sono innamorate dell'idea di controllare le proprie funzioni con il cibo"
"L'amor che move il sole e l'altre stelle", senza nessuna evidenza scientifica?

D'altra parte siamo tutti un po' cavie della ricerca scientifica, farmaceutica o no,
o mi sbaglio?
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
SI sbaglia.

Anzi quest'affermazione offensiva se la poteva risparmiare, sia per la sua banalità che per la sua inesattezza.
Le persone fanno da cavie per qualsiasi cosa, dopo di che si agitano per le aziende farmaceutiche. Risultato: mille fogli da firmare per consensi vari e disinformazione dilagante.

Se Lei scrive per insultare chi le risponde come categoria mi pare abbia poco senso. Che scrive a fare se poi pensa che siamo un branco di criminali al soldo di chissà chi.

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Ma, no affatto! Non era mia intenzione. Era una considerazione generale, non certo sulla categoria medica, che tra l’altro ammiro e molto.
Ho trovato molto utili le Sue risposte, e di questo la ringrazio.
Mi dispiace molto se le mie parole sono risultate offensive. Di questo mi voglia scusare.
Il mio commento era riferito al fatto che qualunque decisone di direzione di cura io prenda al momento, farmacologica o meno, non è prevedibile, poiché, anche se ci sono delle linee guida, in parte sarà sempre un incognita come io possa reagire ad un farmaco, e rientrerà sempre in un caso statistico.
La mia curiosita sulla Psichiatria Nutrizionale è genuina, e forse mi sono espressa in
modo brusco perché nella sua risposta non ho trovato soddisfazione.
La citazione sull’amore, magari criptica, era un modo di dire che le persone, aldilà di tutto, spesso seguono la spinta interiore a fronte di ogni evidenza. Ma vabbè, non riesco mai a risultare piacevole, è un dato di fatto.

Un Cordiale Saluto
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Un branco di criminali - proprio no!
È fuori strada.
Che scrivo a fare - Su questo magari ha ragione, visto il risultato.

Un Cordiale Saluto
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 46.1k 1k
"siamo tutti un po' cavie della ricerca scientifica, farmaceutica o no,
o mi sbaglio?"

Prima offende e poi si tira indietro "era una considerazione generale", mica riferito ai medici, anzi li stima....
Infatti. E' proprio quello che ha scritto.

Dr.Matteo Pacini
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