Astenia marcata da giorni

Gentili dottori, scusate se torno a scrivere.
Ma la situazione sta diventando davvero invalidante.
Da un periodo soffro di una marcata astenia, dolori muscolari alle gambe e sonnolenza.
Non riesco più a compiere nemmeno semplici attività quotidiane, riesco a stare in piedi pochissimo e devo sedermi.
Inoltre ho continuo bisogno di dormire, ma al risveglio la situazione non cambia.

I classici sintomi ansiosi si sono attenuati molto, gli attacchi di panico sono spariti, l' umore rimane comunque basso.
È come se la depressione fosse passata al corpo.
Attualmente assumo la paroxetina, aumentata a 30mg da tre gg.
Io non capisco se a darmi questi disturbi sia l' effetto del farmaco o la malattia stessa.
Indubbiamente la terapia non sta funzionando granché, se non sull' ansia e il panico, ma sugli altri aspetti no.

Il medico che mi segue è in ferie, lo rivedo a settembre, mi ha già anticipato che vuole provare ad inserire in terapia il Tolep.
Io credo che vada cambiata anche la paroxetina, questa volta scalando, perché un mese fa facendo lo switch dalla paroxetina all' escitalopram sono stata malissimo.
Scusate se chiedo continuamente pareri, ma davvero la situazione sta degenerando.
Almeno prima, nonostante l' ansia e il panico, riuscivo ad accudire le bambine e la casa, in questo momento le forze fisiche non mi accompagnano.

Inoltre ho notato che al minimo sforzo fisico o mentale, il mio cervello si sovraccarica eccessivamente, inizio a sentirmi confusa, intollerante ai rumori, esaurita.
Quando accade devo per forza mettermi a letto in silenzio e rilassare la mente.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45k 1k 248
" l' effetto del farmaco o la malattia stessa."
Sono la stessa cosa in un certo senso, cioè il peggioramento dopo aumento dose all'inizio si verifica ma sulla base della biologia che in quel momento è in atto, cioè quella del disturbo.
Il tolep indicherebbe una forma bipolare di disturbo dell'umore, altrimenti per una depressione non vedo il nesso.

Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini

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Utente
Utente
Grazie dottor Pacini, guardi io non so che dire. So soltanto che in 9 mesi ho dovuto cambiare 4 medici, non perché sono diffidente o mi piace cambiare, semplicemente ho trovato solo superficialità e terapia prescritta con molta superficialità.
Sono sempre stata un soggetto ansioso e tendenzialmente lo stress, eventi traumatici mi mandano in ansia e mi abbassano l' umore, facendomi sprofondare in crisi depressive. Ma la cosa non è ciclica, solo in risposta ad eventi che io vivo con stress. Come dicevo in altri post, sono stata bene 10 anni, in seguito all' ultima fase della malattia di mio padre e alla sua morte, ho avuto questa forte ricaduta. Non ho mai avuto fasi di eccessiva euforia, manie, ipocondria, fissazioni, solo crisi di ansia generalizzata e successiva depressione. Mai nessuno dei medici che mi ha visto ha parlato di sindrome bipolare, ma di disturbo ansioso depressivo. In 9 mesi mi sono stati prescritti Paroxetina 20 mg, Lyrica, Anafranil, Depakin, Aripripazolo, Xanax fino a 4 mg al giorno. Io sinceramente l'unica terapia che ho assunto è stata la paroxetina 20 mg e xanax max 10 gtt/die, adesso ne prendo max 6 gtt. Anafranil l' ho assunto per meno di una settimana,poi sospeso da sola. Depakin mai preso. Lyrica assunto un mesetto,poi sospeso. Aripripazolo un paio di giorni.
Insomma una terapia pasticciata al massimo, perché non capisco il motivo della prescrizione e alla richiesta di spiegazioni mi viene detto che è per potenziare l'effetto delle paroxetina.
Per non parlare della sospensione brusca della paroxetina e l' inizio del cipralex, ho resistito 12 gg e sono dovuta tornare alla paroxetina nuovamente.
Mi creda, mi sento confusa, sono alla ricerca di un medico che imposti una terapia adeguata ma evidentemente devo cercare ancora
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Utente
Utente
Poi volevo fare un'altra precisazione/sfogo. Non riesco a comprendere perché, alcuni medici,negano o comunque sono evasivi quando viene chiesto loro se il farmaco x può dare effetti collaterali. Io so bene che l' inizio della terapia, l' aumento del dosaggio o la sospensione possono creare disturbi, che non sono uguali per tutti o della stessa intensità. Ma perché negarlo? A me la cosa non spaventa e tantomeno non influenza la scelta se fare o proseguire una terapia, ma perché non informare il paziente?! O per meglio dire, non informare determinati pazienti valutando anche chi hai davanti. Era un piccolo sfogo, nulla di più! Certo è che,questo atteggiamento del medico,potrebbe farmi perdere anche fiducia nel suo operato e credo che sia ancora peggio dell' effetto di un farmaco in sé. Eppure io comunico con il mio medico solo durante le visite mensili, non mi piace assillare o disturbare con telefonate o messaggi. Cerco di resistere agli effetti dei farmaci, perché so che sono comuni e aspetto che passino o si attenuano.
Per dirle, durante il cambio molecola, stavo malissimo, ho stretto i denti 12 giorni poi stremata ho scritto al medico che mi ha risposto " perché non mi ha contattato prima?" Io aspettavo solo che passasse quel malessere, ma per me troppo forte da sopportare.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45k 1k 248
In che senso negare: cioè le è stato detto che un farmaco NON può dare effetti collaterali ? Mi parrebbe veramente strano. Del resto ci sono i foglietti a elencarli, quindi al di là del fatto che il medico lo specifichi, è chiaro che è così con una statistica relativa, spesso è anche riportata.

Però, considerando il tipo di diagnosi, forse il senso che posso ipotizzare è che chiedere se avrà degli effetti è come se dicesse al medico che non vuole averne, e questo genera una risposta di chiusura, cioè si percepisce che si lamenterà di qualche effetto, che non lo sopporterà, etc, e questo non perché sarà veramente importante, ma perché aumenterà l'ansia e quindi sorgeranno presunti effetti che corrispondono al 99% ad uno stato ansioso, e all'1% ad un elemento indipendente, e magari passeggero. E, immaginandosi questo, alcuni reagiscono facendo barriera. Altri scendendo nei dettagli, ma dire che questo serva è relativo. Serve dare una serie di informazioni, ma a volte si innesca un meccanismo per cui poi la persona pretenderebbe di sapere cosa avrà, quando andranno via, etc.

"Per dirle, durante il cambio molecola, stavo malissimo, ho stretto i denti 12 giorni poi stremata ho scritto al medico che mi ha risposto " perché non mi ha contattato prima?"
Se aspettava che passasse, avrà fatto anche bene, e quindi il medico ha reagito così perché alla fine il problema qual era ? Detto così l'avrà preso come una protesta. Di fatto poteva accadere, è anche un segnale di pre-risposta, e dopo si è risolto. Se non è successo sostanzialmente niente, dire che ha avuto effetti "terribili" ma ha atteso che passassero fa percepire al medico che alla fine ha ragionato in un modo, ma ci tiene a innescare una polemica con lui.
Dico solo ipotizzando sulla base della mia esperienza.

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
Dottor Pacini, ho ben compreso il suo discorso. Mi creda, nessuna protesta o polemica contro me stessa e i medici. Quando chiedo degli effetti collaterali di un farmaco, che so bene che esistono, come so bene che se il farmaco funziona vale la pena patire qualche effetto per poi avere dei benefici, forse inconsapevolmente lo faccio per avere un "conforto" nulla più.
Come riconosco bene che la psichiatria, purtroppo,è una branca della medicina, a differenza di altre specialistiche, molto complessa. Non esistono marcatori o esami strumentali che possono guidare il medico in una diagnosi precisa e anche con i farmaci si va a tentativi e aggiustamenti. Lavoro nel mondo della sanità anche io, in pronto soccorso... che dire?!
Spero di trovare la giusta terapia e di tornare presto ad una vita più serena e funzionale.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45k 1k 248
La branca è molto meno fumosa di quel che si pensa. Purtroppo l'opinione pubblica e a cultura non gradiscono le nozioni e le verità che questa disciplina ha e che potrebbe utilizzare a loro vantaggio. Non parlo di teorie, che vadano pure al macero; parlo di evidenze. In questo siamo più sfortunati delle altre discipline forse.

So bene che spesso uno chiede un conforto, ma a volte si creano dei muri perché il modo o il momento, o l'oggetto su cui si chiede conforto sono tradotti dall'altra parte come una minaccia o un attacco. Se le sembra strano, però è così, e purtroppo non dipende ormai solo dal rapporto medico-paziente, ma da variabili esterne e stritolanti.

Dr.Matteo Pacini
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