Due diagnosi
Sono andato da un altro psichiatra sia per avere un secondo parere sia perché il primo era andato in pensione.
La diagnosi del secondo psichiatra è stata però diversa.
Mi ha detto che non ci sono i presupposti per una diagnosi di disturbo bipolare NAS e mi ha diagnosticato una disforia di genere con iperattività emotiva e ruminazione ideativa su tale condizione.
Il secondo psichiatra giustamente ha fatto una visita slegata dal primo parere, tant'è che essa rimane come visita isolata dalla prima.
Ho presentato la questione al medico di base che ha letto la seconda relazione e dopo averla letta è rimasta un po' perplessa perché ciò contrasta con la tesi dell'alternanza di umore basso e alto, oltre a buon funzionamento sociale e pattern ipnico regolare.
Come ci si comporta in questi casi?
Ad esempio per il rinnovo patente qual è la diagnosi da riportare nel certificato anamnestico? Ho responsabilità a livello penale se il medico di base decide che è corretta una diagnosi piuttosto che un'altra?
In che senso ?
" ciò contrasta con la tesi dell'alternanza di umore basso e alto" Cosa significa contrasta con la tesi .... Contrasta con il fatto che ha sbalzi d'umore, questo voleva dire ?
"Ho responsabilità a livello penale se il medico di base decide che è corretta una diagnosi piuttosto che un'altra?"
Senta, Lei ha intenzioni ostili verso qualcuno. Per quale motivo ? Il medico di base sa che lo vuole denunciare (!) perché esprime un parere su una diagnosi. Roba da non credere.
Dr.Matteo Pacini
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Mentre la prima è classificata la seconda resta meno precisa e comunque la questione è indipendente dal rinnovo della patente in cui deve essere eventualmente inserita una diagnosi codificata secondo le tabelle previste.
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Cioè, io anche al nuovo medico di base per tutelarmi legalmente dovrei presentare le due diagnosi e far valutare a lui/lei?
" ciò contrasta con la tesi dell'alternanza di umore basso e alto" Cosa significa contrasta con la tesi .... Contrasta con il fatto che ha sbalzi d'umore, questo voleva dire ?
Io su questo non le so dire nulla. Non sono un tecnico. Io non ho mai riferito allo psichiatra di avere sbalzi d'umore. La diagnosi è stata fatta dopo un test psicodiagnostico e un breve dialogo. Tra l'altro ho chiesto il test psicodiagnostico che ho fatto allo psichiatra ma non ce l'ha. Probabilmente avrò messo di avere umore basso nel test perché a voce non è questa la problematica che ho riportato.
Ora le dico la mia impressione signor Pacini, che spero sia giudicata sensata: la seconda diagnosi riporta dell'iperattività emotiva. Ecco, lei sa meglio di me che una persona bipolare ha anche iperattività emotiva. Il dubbio del secondo psichiatra è che non ci fossero sufficienti elementi per una diagnosi di disturbo bipolare NAS. Cioè, io non ho mai detto al vecchio psichiatra che ho umore basso e alto. Ricordo di aver detto che avevo lasciato il lavoro per ricominciare l'università.
Non ho capito se il vecchio psichiatra ha visto nel fatto che io abbia fatto un colloquio con lui un'allarme a livello di umore, un'oscillazione, chissà in quale senso, dopo aver lasciato il lavoro, a questo punto in senso depressivo, perché se uno lascia il lavoro e va all'università, il ché può essere però anche una scelta, e accetta dopo un ciclo di psicoterapia di andare da uno psichiatra, s'immagina che non è in un buon periodo a livello di studio o da un altro punto di vista, insomma che ci sia un problema. Quindi da questo elemento, certamente maggiormente giustificato dal fatto che una psicologa mi avesse consigliato uno psichiatra, unito ad aspetti relativi all'espressività, all'atteggiamento avrebbe dedotto un disturbo bipolare?
Il fatto è che il secondo psichiatra ha giudicato questi elementi, io gli ho detto tutto, che lavoravo e che poi ero andato all'università. insufficienti per individuare una storia che riportasse a un disturbo bipolare.
Io di chi mi dovrei fidare?
In che senso?
Isolata, nel senso che non è contestualizzata alla prima. Infatti lo psichiatra mi ha detto che mi faceva la sua visita semplicemente. Chiaramente visto che era la sua visita, nella relazione emerge la sua diagnosi fatta dopo diverse domande e dopo aver appreso delle cose.
A volte chiedono il certificato del medico di base, che registra le diagnosi fatte, e non per forza tutto deve essere convergente o di univoca interpretazione.
Dr.Matteo Pacini
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Quello è.
Il medico può benissimo riportare tutte le diagnosi anche se contraddittorie, specificando che sono diagnosi diverse, e poi chi c'è penserà a chiarire, anche perché le diagnosi codificate non sempre corrispondono a quelle della clinica, o dei manuali.
Dr.Matteo Pacini
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Io non so quale sia il suo approccio diagnostico ma ritengo quello del primo psichiatra un po' facile.
Lei crede che questa questione si possa affrontare nel CIM della mia area territoriale o è qualcosa di troppo soggettivo perché ci si orienti su una diagnosi?
Io mi sentirei di andare al CIM a trattare la questione perché è coinvolta la mia persona però sono d'accordo anche con lei quando dice che si possono riportare più diagnosi, anche considerando il fine sperimentale di una diagnosi., lo capisco.
Se guardo alle cose, insomma alla medicina, le dico che lei ha ragione, ma se guardo al mio interesse, quello di avere una diagnosi fedele alla mia storia emotiva no.
Troverà persone che la pensano in maniera opposta. Io non darei giudizi di questo, in generale, è una questione di
Disforia di genere è specifico su quella questione. Ma alcuni ritengono che sia legato, in maniera unitaria, anche all'esistenza di un disturbo dell'umore (il dibattito è se derivi dal problema di identità non corrispondente all'anatomia e alla funzione, oppure se invece siano semplicemente due aspetti coesistenti, che si associano- con il tema di identità sessuale, corpo etc che ovviamente non può non diventare centrale, ma non nel disturbo dell'umore in sé). Il fatto che uno rappresenti o si rappresenti il tentato suicidio in un modo non significa che fondamentalmente quel tema ne sia la causa determinante, né la variabile decisiva.
"quella del disturbo bipolare NAS, che richiede tecnicamente la presenza di fasi maniacali, ipomaniacali o depressive"
No, non cita quelle miste. E comunque, alcune fasi non sono riconosciute dalla persona come tali, sono vissute come normalità, benessere, oppure attribuire a ragioni esterne. E non c'è un legame né con l'intensità, né con la ripetizione di queste fasi.
Il punto secondo me è questo. Lei si sente più a suo agio con una diagnosi che interpreta i sintomi con una causa, come se cercasse di giustificare, cosa di cui non c'è bisogno. Non c'è bisogno di giustificare un disturbo dell'umore, o di altro tipo. Non è qualcosa di morale.
La diagnosi di bipolare secondo il mio personale parere la scoccia perché le pare più superficiale, impersonale e indifferente alla sua questione legata al genere. Ma non è questo che una diagnosi deve individuare.
Dr.Matteo Pacini
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Comunque capisco che sia difficile anche per voi perché chiaramente l'ambiente della psichiatria è largo (è una scienza che si avvale di strumenti e quantitativi e qualitativi, con interdisciplinarità relativa a studi sociologici, antropologici a questioni psicologiche e più prettamente psichiatriche).
P.s.: quando dicevo che lei mi sembra empatico volevo chiedere la sua attenzione per provocarle senso critico perché esponesse la questione che ha riportato. Ma è una questione ancora aperta anche alla luce dello spostamento della disforia di genere da disturbi della salute mentale a disturbi della salute sessuale dell'ultima versione del DSM? In disforia di genere come disturbo della salute sessuale sono inclusi anche segni di disagio emotivo e il loro trattamento oppure, insomma, con questo nuovo spostamento si indica semplicemente il desiderio di appartenere al genere opposto?
Quindi, al di là di dire se la disforia è di genere, o è bipolare, si potrebbe benissimo avere una situazione in cui chi ha disforia di genere è anche bipolare, e in cui forse la disforia è manifestazione indiretta di quello, più che una conseguenza inevitabile del problema di genere. Certo, chi ha il problema di genere non è soddisfatto, magari ha urgenza di avere una sistemazione della propria identità rispetto al corpo, ma dire che ciò è una "disforia" in senso patologico è altro.
Dr.Matteo Pacini
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Concludiamo il consulto. Grazie per avermi prestato la sua attenzione.
Al primo psichiatra io ho detto che ho una disforia di genere ma nel secondo incontro. Cioè, se gliel'avessi detto nel primo incontro l'avrei facilitato nel riconoscere dei sintomi come legati ad una condizione clinica diversa da quella individuata da lui che giustamente ha osservato le cose, come parlavo, quei pochi elementi che gli ho offerto (aver lasciato il lavoro e iniziato l'università). Guardi che io posso ammettere di aver sbagliato a livello di rapporto paziente-medico, cioè di aver sbagliato nell'aver fatto percepire come problematici (la scelta del lavoro e di ricominciare l'università) alcuni aspetti. Ma onestamente dottore, a me non sembra di averli fatti percepire come problematici, cioè mi sembra di aver solo parlato come se stessi raccontando la mia vita, certo mettendo in discussione un po' il mio rendimento all'università. E io capisco che questo possa essere un elemento per una diagnosi psichiatrica nel contesto in cui chiaramente una persona sia da uno psichiatra e se gli venga chiesto qual è il suo problema non lo dica. Certamente l'avrei facilitato e sarebbe stato tutto più chiaro se gliel'avessi detto fin da subito. Mi pento amaramente, dottore. Sa perché? Me lo confermi anche lei perché io non sono stupido (mi rendo conto se sto negando la realtà o meno e ho un po' il sospetto): perché mi pare che io voglia un po' riformulare il corso delle cose. Le cose sono andate così, che io ho ricevuto una diagnosi di disturbo bipolare perché di fatti lo sono e visto che solo successivamente ho riferito di una disforia di genere, non essendo chiaro sin dall'inizio sul reale disagio, io sia sia bipolare che disforico di genere. Dovrei accettare questo?
Non so se lei ha esperienza a livello processuale. Le vorrei chiedere a proposito di questo. Me lo dica schiettamente: se io vado a rinnovare la patente senza che il medico di base abbia indicato il disturbo bipolare nel certificato cosa rischio alla luce della logica generale a cui una persona che ha una diagnosi è sottoposta? Sarei giudicato pericoloso socialmente perché non mi reco in CML facendo visite psichiatriche? Potrebbero essere presi dei provvedimenti come misure di sicurezza?
Iniziano le offese....
" Lei sa che con una persona con una diagnosi "si può fare quel che si vuole" perché in qualche modo ciò è giustificato dal fatto che ella nella maggior parte dei casi non ha capacità di intendere e di volere. "
Ma figuriamoci, no.
"c'è ancora molta ambiguità circa il fatto che ci si sia allontanati dalla logica manicomiale o meno"
Che suppongo per Lei sia il Male Assoluto. Non deve per forza essere la visione o il presupposto del pensiero altrui. Mancano strutture per assistere i malati di ogni tipo, le uniche sono quelle per i responsabili di reato, questo è il paradosso. I quali non necessariamente sono contenibili per la parte della loro pericolosità, ma forse proprio perché condannati riescono a curarsi, mentre agli altri, liberi, sono liberamente preda delle loro malattie.
Questa sua preoccupazione circa la diagnosi è veramente incomprensibile. Come anche la confusione che secondo me fa tra le diagnosi e ciò che uno riferisce, potendo scegliere, ai fini di una pratica. La dottoressa avrà fatto sicuramente bene, ma quel che sul piano scientifico vale mica c'entra nulla con la legge di per sé.
Lo Stato di pone il problema di contenere la pericolosità, dando per scontato e imponendo che sia possibile, che si possa fare con i mezzi disponibili e senza misurare i risultati peraltro. Neanche le diagnosi sono controllate, si fa al momento di compilare un modulo per un rinnovo patente. Per poi sollevare eventualmente il dubbio dell'idoneità alla guida, su basi che sono nella maggioranza dei casi indefinite.
Sul piano psichiatrico, non si capisce quasi mai se si stia parlando di effetti delle terapie, di effetti del disturbo, o di altro.
Dr.Matteo Pacini
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"c'è ancora molta ambiguità circa il fatto che ci si sia allontanati dalla logica manicomiale o meno"
Che suppongo per Lei sia il Male Assoluto. Non deve per forza essere la visione o il presupposto del pensiero altrui. Mancano strutture per assistere i malati di ogni tipo, le uniche sono quelle per i responsabili di reato, questo è il paradosso. I quali non necessariamente sono contenibili per la parte della loro pericolosità, ma forse proprio perché condannati riescono a curarsi, mentre agli altri, liberi, sono liberamente preda delle loro malattie.
Spero che lei stia scherzando e si riferisca al fatto che il pensiero della logica manicomiale possa essere insensatamente ossessivo poiché è tipico del vostro mestiere la tendenza all'analisi. Io sono sicuro che ogni psichiatra, in fondo, sappia quanto possa essere dannoso per una persona andare contro la sua volontà in termini di consenso alle cure. Credo che ogni psichiatra sappia che piuttosto che ingabbiare una persona a tempo indeterminato e curarla, una cosa fine a se stessa, bisogni aiutarla a percepire quella diagnosi come qualcosa che non riguardi totalmente la sua persona, una classificazione indicativa (chiaro che in una struttura questo sarebbe impossibile essendo a contatto con la realtà psichiatrica tradizionalmente intesa).
Questa sua preoccupazione circa la diagnosi è veramente incomprensibile. Come anche la confusione che secondo me fa tra le diagnosi e ciò che uno riferisce, potendo scegliere, ai fini di una pratica.
La mia preoccupazione è che indipendentemente da quello che ha deciso di fare la dottoressa io sia comunque visto come un bipolare che guida senza essere in CML vedendo in questo un chiaro elemento discutibile a livello di condotta e che possa essere sottoposto a un processo, non in termini giuridici, a cui non voglio essere sottoposto.
Lei parla del fatto che si possa trattenere una persona nel caso di reato. Io su questo non sarei così rigido. Si può prendere un provvedimento anche nel caso in cui venga individuata una condotta , tanto più su una persona che ha una diagnosi psichiatrica.
La dottoressa avrà fatto sicuramente bene, ma quel che sul piano scientifico vale mica c'entra nulla con la legge di per sé.
In che senso circa il mio caso?
--
In che senso: "circa il suo caso", stiamo parlando del suo caso...
Dr.Matteo Pacini
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Mi spieghi una cosa: ma è proprio fuori da qualsiasi logica rapportare le cause dei sintomi (nel mio caso pensieri suicidi) alla diagnosi? Può essere interpretato come un desiderio ingiustificato del paziente? Non sarebbe giustificabile scientificamente un passaggio da disturbo bipolare NAS a disforia di genere? Visto che ci sono stati dei pensieri suicidi e un tentato suicidio la diagnosi di disforia di genere avrebbe bisogno di essere accoppiata ad una diagnosi psichiatrica vera e propria non potendo vedere pensieri e tentato suicidio come caratteristici della disforia di genere? Come diceva lei prevale il modo in cui ho parlato durante il colloquio, il mio atteggiamento che giustificano la diagnosi di disturbo bipolare?
Non lo sa. E non sa se ne andavano fatte. Non è che chiunque voglia fare una transizione ha una disforia di genere...E, nel caso, il dibattito su cosa sia la disforia di genere è aperto.
A Lei piace una diagnosi e l'altra no. E le ho spiegato perché. Altrimenti sarebbe un interessante questione, da definire, ma senza alcuna reale implicazione. Lo chiami come vuole, non cambia nulla. Ma Lei si sente offesa da una diagnosi e riconosciuta dall'altra.
E sbaglia in questo.
Più ne parla e più è evidente a me che leggo che è così.
Dr.Matteo Pacini
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Io capisco la funzione che possa avere una diagnosi psichiatrica, capisco il ragionamento che sia meglio, ai fini epidemiologici, statistici, di prevenzione e tutela della mia salute e di protezione sociale, capisco che a livello documentale si debba conservarla perché c'è stata, capisco anche l'orgoglio di uno psichiatra nel dover anteporre al valore scientifico delle cose l'urgenza emotiva di un paziente rispetto alla percezione di sé, una cosa che potrebbe essere considerata poco professionale rispetto a quanto lei diceva (che non è questo il fine di una diagnosi) ma anche nel rispetto della mia persona circa la verità della questione non si potrebbe impegnare lo psichiatra a dirimere la cosa?
Il suo scopo è declamare che nessuno può farle una diagnosi e che al centro deve essere messo il suo disagio (come se una diagnosi non facesse questo) con le parole che vuole Lei, con le implicazioni causali che decide Lei, etc.
Bah
Dr.Matteo Pacini
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Ma non mi dica.....
No, a Lei non interessa l'alternativa. A me interessa, e anche a molti miei colleghi. A Lei interessa apparentemente solo per piegare le diagnosi alle parole che le piacciono, e così facendo rischia di non capire niente delle diagnosi che le fanno.
Sembra che sia approfondimento, ma è superficialità. Si fissa su delle parole e non le interessa la sostanza.
Dr.Matteo Pacini
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Non ha valutato come sta facendo lei che io abbia sia un disturbo bipolare e che mi senta appartenere al sesso opposto ma che sostanzialmente la diagnosi è di disforia di genere e non di disturbo bipolare, ma non perché ci sarebbe una congruità in relazione al generico significato di disforia fra le due ma perché il disturbo bipolare non c'è a detta sua. Non sono io che lo dico. Peccato che non abbia voluto indicarlo nella relazione che mi ha rilasciato perché ha voluto farmi solo la relazione diagnostica risultante dalla sua visita. Cioè, mi ha detto: "io le rilascio una relazione sulla mia visita". Quando ci siamo risentiti mi ha detto che per affermare seriamente che non sono bipolare servirebbe una perizia che è una cosa lunghissima. Ma lei capisce che a me passa anche la voglia se la maggior parte degli psichiatri ragiona come lei. Purtroppo qualsiasi tentativo di negare un disturbo mentale a favore di un'altra storia di un paziente viene visto da lei, e credo da molti altri, come atto di ribellione a quelli che sono i vostri standard operativi e la cosa v'infastidisce.
Guardi che questa diagnosi per me è stato un grave danno e al di là delle vostre cose il rispetto per la persona è al centro di tutto.
E un altro invece ha detto di sì.
"Guardi che questa diagnosi per me è stato un grave danno e al di là delle vostre cose il rispetto per la persona è al centro di tutto."
Ecco, si capiva subito che questo era l'intento...
Attaccare qualcuno che ha semplicemente dato a Lei un parere medico. Sono senza parole.
Certo, perché il suo disprezzo per i medici la porta a dire che per noi (chiunque, me, un altro a caso) la persona è da disprezzare e non la consideriamo.
Non si permetta di diffamare. Per giunta da anonima.
Se ha reagito così, io mi interesserei piuttosto del perché, vista l'assurdità.
Prima di farsi fare in futuro una diagnosi, avvisi il medico che potrebbe essere da Lei diffamato e attaccato per il semplice fatto di averle dato una risposta in scienza e coscienza. E accusato, a seconda di quello che le dicono, anche di disumanità.
Dr.Matteo Pacini
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Io non diffamo nessuno, per carità. Non sono un guerrafondaio. Sono una persona che crede nel valore della mediazione, nella discutibilità delle cose, nell'ascolto.
Mi dispiace se abbia visto intento diffamatorio nelle mie parole.
La saluto.
"Tornassi indietro non avrei accettato il consulto psichiatrico che ho accettato, semplicemente."
Neanche si rende conto di questa frase, suppongo, dell'assurdità.
Il tutto ....per una diagnosi, un parere espresso senza alcuna implicazione da un medico da Lei consultato, che spesso resta parole o finisce su un foglio nelle sue mani.
Mi spiace per Lei, che si perde in questi problemi inesistenti. Ma l'aggressività e la polemica non sono accettabili.
Dr.Matteo Pacini
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