Depressione per mancanza di ruolo/integrazione sociale di un ragazzo con ritardo mentale lieve

Buonasera, sono molisano, ho 47 anni, una sorella più grande e un fratello di 35 anni nato con un ritardo mentale che, seppur dichiarato disabile al 100% dalla nascita, è sempre stato un ragazzo solare e gentile, molto abitudinario ma sempre ragionevole e spesso lucido così che spesso per molti era difficile percepire il suo handicap.


È riuscito a frequentare e superare le scuole, anche le superiori, col sostegno ma senza grandi difficoltà.


Tuttavia, per via del suo handicap, è spesso stato isolato dai ragazzi della sua età ed è cresciuto senza grandi amicizie per lo più sempre con i miei o i miei parenti.


Ha sempre desiderato avere un progetto di vita tutto suo ma senza avere idee molto chiare sul da farsi.
Mio padre e mia madre hanno cercato spesso espedienti per tenerlo occupato e farlo sentire utile in mancanza di riferimenti o programmi sociali ad hoc per ragazzi nella sua condizione.


Da 10 anni a questa parte mio padre ha cercato di farlo inserire in una piccola comunità in un eremo legato alla chiesa che frequentava insieme ai miei ogni genitori ogni settimana (lui ha sempre assecondato mio padre ma non mi è mai sembrato convinto o contento).


Col sopraggiungere del periodo covid che ha alterato notevolmente le sue abitudini, ha cominciato ad avere crisi di ansia e di panico mai avute prima (era abituato a camminare nel pomeriggio e non poteva farlo così come non poteva frequentare l'eremo).

I miei genitori lo hanno portato al CSM di Termoli dove viviamo e hanno iniziato la somministrazione del farmaco Latuda che non solo non ha sortito effetti desiderati ma ha peggiorato la situazione fino a farlo scappare di casa più volte.
È diventato molto inquieto, con scatti di ira inusuali ed episodi di schizofrenia, è arrivato a chiedere anche di ricoverarsi (ma poi è scappato anche dall'ospedale spaventato dal fatto di non essere a casa e senza i miei).


In questi ultimi anni la situazione è molto altalenante ma non buona, dopo consulti privati, la terapia attuale è a base di Quietapina 300 mattina e sera (tot 750 mg).


Nel frattempo il suo progetto di vita di trasferirsi a vivere nell'eremo è tramontata facendo ulteriormente crescere la sua inquietudine e depressione.
Piange spesso anche per giorni, gli danno il Lorazepam in quei giorni, perché non vede via di uscita, si sente inutile, senza amici e senza futuro.


Abbiamo cercato più volte aiuto nel supporto del CSM di Termoli, senza successo, poi in centri di attività diurne ma anche li si sentiva fuori posto con ragazzi in condizioni molto peggiori delle sue.
Abbiamo visitato un centro di residenza permanente ma non accetta di andarci perché terrorizzato dalla lontananza da casa.


Mi chiedo è possibile che ragazzi come lui, capaci di aiutare in mille attività, siano condannati ad essere esclusi dalla vita sociale?
So che sono nati programmi di inserimento di ragazzi con handicap in alcune città ma non certo dalle mie parti.
Come possiamo affrontare questo problema?


Grazie
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.4k 1k
Parla come se in presenza di una malattia come la schizofrenia il problema fosse trovare un ambiente che esiste e che gli permette un funzionamento.
Ma la diagnosi di preciso è quella, o era un modo di dire e la diagnosi è diversa ?

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
La diagnosi originaria di mio fratello è di un deficit cognitivo di grado lieve su base organica associato a grave instabilità attentiva e comportamentale.

Il referto dell'ospedale legato agli episodi degli ultimi anni riporta come diagnosi una "psicosi non specificata". Lo psichiatra del CSM parlava al tempo di sintomi di schizofrenia ma non c'è una diagnosi ufficiale.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.4k 1k
Pensare che vi possa essere un adattamento a qualche ambiente con un ruolo addirittura produttivo e di inquadramento in un'attività in questa situazione è poco realistico. Non è l'ansia il problema che produce le anomalie comportamentali maggiori, la psicosi comporta altri tipi di limite, e spesso vi sono deliri non dichiarati o parziali che motivano i rifiuti, le rigidità o i comportamenti inspiegabili da fuori, non soltanto durante le crisi, che li rendono semplicemente più evidenti.

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
I deliri sono dichiarati ed evidenti ma sono nati nell'ultimo anno, inventa un futuro improbabile fingendo di avere un rapporto con alcune persone che vede in video internet salvo poi scontrarsi con la realtà, il che gli crea forti crisi di pianto aggravando ulteriormente la sua depressione.

Noi vediamo queste sue fantasie come un tentativo di vivere una vita normale che nella realtà non ha. Un po' come farebbe un bambino. E io sinceramente mi chiedo quanti di noi benpensanti potrebbero dire di star bene con una prospettiva come la sua che a 35 anni non vede nessuna possibilità di futuro lavorativo o sociale, vivendo in casa con due genitori anziani. Le sue psicosi sono certamente facilitate da un handicap di base ma tuttaffatto ingiustificate. I suoi ragionamenti sull'argomento sono molto consapevoli.

Le psicosi sono certamente un problema da non sottovalutare e da trattare con una terapia farmacologica, già riformulata più volte in altrettante visite specialistiche, ma che di base non è sufficiente.
Come ribadito anche dai dottori del piccolo centro di riabilitazione residenziale che abbiamo visitato, serve una terapia cognitivo comportamentale, densa di attività di inclusione sociale di diverso tipo in cui sentirsi parte attiva di una comunità e non un peso.

Lui purtroppo, pur dichiarando di star male a casa con i miei, rifiuta il trasferimento perché lo vede come un posto deve essere scaricato. Oltretutto ha paura di allontanarsi da casa da solo, non avendolo mai fatto prima e non riusciamo a smuoverlo da queste convinzioni.

Le strutture diurne che potrebbero essere di supporto in questa situazione scarseggiano e offrono poco o niente ad un ragazzo con un handicap come il suo che gli consente comunque una vita molto attiva sia a livello motorio che mentale.

I miei genitori hanno molta difficoltà a gestire questa situazione, io non ci sono sempre perché lavoro fuori regione, e la situazione diventa sempre più difficile man mano che la disperazione che prova per la sua condizione di immobilismo cresce.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.4k 1k
"Noi vediamo queste sue fantasie come un tentativo di vivere una vita normale che nella realtà non ha. "

Questo significa scambiare i sintomi per delle produzioni volontarie, che peraltro riguardano il cervello stesso della persona. Quindi uno sarebbe in grado di cambiarsi il cervello apposta, con uno scopo.... I sintomi non hanno alcun senso, non comunicano alcunché se non lo stato del cervello.

Si parte in generale da un presupposto sbagliato. Che sia possibile una struttura ad hoc, che sia gestibile sempre e comunque una condizione mentale, e che questa gestione sia diversa da una gestione casuale, magari empirica e basta sul buon senso. A volte è possibile, a volte no. Ma soprattutto , senza il consenso di una persona che - se è come mi dice - non ha coscienza di realtà e quindi non può condividere in alcun modo il punto di vista di chi gli è intorno, siamo in una condizione sospesa.

Dr.Matteo Pacini
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Utente
Utente
Osservazioni interessanti condivisibili o meno ma sicuramente di scarsa utilità.

Grazie ugualmente.
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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze 45.4k 1k
Un'occasione mancata per un commento educato.
Ma è inutile, quando uno parte da presupposti sbagliati si arrabbia per aspettative irrealistiche, e arriva a pretendere (soluzioni e perfino risposte) senza più attribuirsi alcuna responsabilità di ragionamento e scelta.

Dr.Matteo Pacini
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