Validità certificato di guarigione clinica
Che valore ha ai fini del riconoscimento dell'idoneità psico-fisica all'impiego un certificato di guarigione clinica?
Un'amministrazione, in cui ne ho vinto uno riportava sul bando fra i requisiti il possesso dell'idoneità psicofisica.
, Non dovrebbe fare fede questo certificato?.
La diagnosi di disturbo bipolare NAS mi è stata fatta in 10 minuti e con un test psicodiagnostico da un medico facente funzione di codirettore del CIM senza specializzazione in psichiatria, prima dirigente medico di primo livello disciplina psichiatria, specializzato in pediatria ma che ha seguito dei corsi di perfezionamento, corsi di formazione e convegni non proprio strutturati nell'insieme, posso dedurre.
A quanto pare in questo caso si è trasceso dalla complessità della faccenda non approfondendo i sintomi né facendo una lettura globale della persona relegando il risultato ad un test psicodiagnostico principalmente, esprimendo anche dubbio in maniera spontanea al momento della diagnosi.
Questo è un approccio a cui io non necessariamente mi oppongo.
Capisco che è tutto secondo legge, la questione del titolo, e che diagnosticare attraverso un test ed una breve visita rientra anche nella libertà intellettuale dello psichiatra, i professionisti e gli studiosi possono avere visioni diverse, ma io sono interessato a crescere professionalmente e mi sento parte di processi un po' troppo complessi e che richiedono molto tempo... Nella prima mansione che ho svolto mi si stava aprendo una carriera di responsabilità che mi è stata proposta e che ho rifiutato ben due volte per il tipo di mansione che svolgevo... Credo di avere i presupposti, ma questo lo dimostreranno i risultati delle competizione interne a cui parteciperò, per livelli più alti.
So che con una guarigione clinica certificata non ci sarebbe motivo di dubitare dell'idoneità psicofisica di una persona, questo lo penserebbero tutti se si considera il fatto che la persona guarita debba poter avere una certa prospettiva di vita (professione, famiglia ecc.
), per questa prospettiva già si lavora sui malati psichici.
Credo che psichiatri e psicologi lavorino proprio per questo, però c'è un aspetto: la possibilità di ricadute.
La presenza parziale dei sintomi, che ho letto può essere anche totale, se non impedisce il livello di funzionalità della persona non è un problema.
So che gli psichiatri usano il termine remissione.
Vogliate voi accettare il mio tono polemico dal momento in cui mi trovo coinvolto in un processo che studiosi e professionisti riconoscono essere sicuramente complesso, quello di una discutibilità che non coinvolge di certo solo la psichiatria ma le scienze in genere, sia quelle che sono vicine ad analisi più qualitative sia quelle che sono vicine ad analisi più quantiative.
Potrei avere delle risposte il più possibile nette?
Capisco che per voi è difficile ma io devo orientarmi tenendo conto della mia progettualità.
Lei ha fatto un concorso, e quindi quale problema si pone ? Di andare a dirgli spontaneamente che è guarito clinicamente dal disturbo bipolare diagnosticato ? Chi fatto emergere questa notizia sanitaria, e perché poi dovrebbe essere automaticamente un fatto che rende non idonei ?
Il disturbo bipolare non si diagnostica con nessun test. Fin qui la cosa è certa. La guarigione clinica non significa sostanzialmente niente in una malattia con decorso recidivante.
Essendo pieno di soggetti bipolari in tutte le professioni e funzioni, fino a quelle massime , la questione generale però rimane poco chiara.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
Lei ha scritto: "Il disturbo bipolare non si diagnostica con nessun test."
Non vorrei perdere tempo essendo inutilmente polemico senza arrivare a una conclusione perché non so quale grado di autorevolezza a livello istituzionale abbia la sua affermazione, per la natura stessa dell'affermazione, chiarisco che sto dicendo che un'affermazione del genere potrebbe non avere proprio una riconducibilità a qualcosa di istituzionale per natura, questo intendo, non sto svalorizzando quello che ha scritto, però direi che a questo punto non ci sia proprio un orientamento univoco fra voi psichiatri. Credo abbiate delle linee guida da rispettare che dovreste quantomeno condividere in quanto comunità di studiosi e professionisti, tra l'altro di una cosa particolarmente delicata come la sanità, in particolare la salute mentale. Perché il dottore che mi ha diagnosticato questo disturbo ha esclamato dopo il test psicodiagnostico che ho fatto "Ah, forse ho capito cos'hai!"? Perché mi ha fatto fare un test per diagnosticarmi un disturbo dopo meno di 10 minuti di visita. Io gli stavo parlando volendo approfondire alcune questioni e lui dopo meno di dieci minuti mi ha fatto capire che dovevamo fare il test perché aveva fretta. Onestamente ho proprio percepito la sensazione che non volesse stare molto a scervellarsi, come dire un po' di superficialità e poca volontà di ascoltare una persona che stava cercando di arrivare ad una chiarezza nella comunicazione della sua esperienza di vita recente. Ho mia madre come testimone.
Io trovo che lei sia un professionista che ha molta volontà di occuparsi di alcune cose; va a fondo nelle cose, fa delle domande, fa notare incongruenze alla persona su cose che ha scritto. Mi fa molto piacere leggere quello che ha scritto, ossia che un disturbo non si diagnostica con un test però io mi sono rivolto all'INPS chiedendo se si potesse fare chiarezza su una diagnosi proprio a ragione di quanto ha scritto lei ma non mi è stato indicato ci sia un istituto preposto a ciò. Ho anche inviato una PEC all'ASP ma non ho ricevuto risposta. A questo punto vorrei capire questa visione, che una diagnosi psichiatrica necessiti di una lettura globale della persona e che il test psicodiagnostico possa essere solo da supporto sia una visione personale dello psichiatra o ha un'istituzionalizzazione. A dirla tutta ho trovato altri psichiatri che promuovono la loro attività a partire dai test psicodiagnostici.
Io non voglio che sia revisionata la mia diagnosi se è vero che sono bipolare. Però dal momento in cui io ho un dubbio che viene proprio dal fatto che ricordo l'espressione del dottore quando mi ha diagnosticato quel disturbo, ricordo non solo il "forse" ma anche che l'aver pensato che avessi questo disturbo è avvenuto durante la lettura del test psicodiagnostico dopo una chiacchierata di meno di 10 minuti in cui abbiamo parlato del fatto che avessi cambiato un corso di laurea per motivi lavorativi. Lui mi ha detto che nella vita bisogna adattarsi. Da lì io ho iniziato a mostrare un po' di opposizione a questa filosofia, dichiarando di essere poco flessibile all'adattamento. Mentre ho cercato di comunicare qualcosa in più rispetto a questa mia inflessibilità così da aprirmi a più questioni, come ad esempio quella psicosessuale che io avevo urgenza di comunicare, sono stato invitato a fare il test. Lei ritiene che questo modo di operare sia denunciabile? Se sì, c'è un'autorità dell'organizzazione per cui collaborate preposta che può approfondire la questione? Poi mi è stato detto sempre da questo dottore di dovermi fidare. Mi ha espressamente detto: "devi fidarti sennò ti freghi".
Mi scusi, mi permetto di chiederle se c'è una relazione fra quello che dice circa il fatto che si diagnostichi un disturbo con una lettura globale della persona che ha una durata più lunga di meno di 10 minuti e non con un test psicodiagnostico perché mi fido di lei avendo intuito che ha un modo di operare non superficiale dall'esperienza su questo portale.
Appunto. Prima di tutto ha detto che il medico non era uno psichiatra. Ma a parte questo, Lei stesso dice "dovreste".... quindi avere linee guida e manuali, certo, come tutti. Però non capisco il problema: se non le piace il modo di visitare di un medico, o lo ritiene inadeguato, chi le vieta di chiedere un altro parere ?
Non esiste uno che confermi una diagnosi se non in un contesto istituzionale. Se uno viene periziato, si fa una diagnosi che ha valore in quel procedimento. Ma fuori da quello può non aver alcun peso. Se uno si presenta all'INPS e riceve un'invalidità con una diagnosi, ciò non implica che un medico sia d'accordo con quella diagnosi o sia tenuto a considerarla quella valida quando deve prendere le sue decisioni.
La diagnosi si fa con una visita medica, che nel caso della psichiatria è anche in forma di colloquio. Non è una" lettura globale della persona", si devono cercare sintomi e dinamiche tipiche di un disturbo o di un altro, e lo si fa nella maniera più rapida osservando la persona nel contesto di una visita, raccogliendo i suoi racconti (non solo come informazioni, anche come sintomo, perché parlare, esporre, argomentare sono innanzitutto segni di come si è).
Ma tutto ciò che c'entra col fatto di avere una certificazione che non serve a niente. E' come dire "certifico che il paziente sta bene, non ha alcun sintomo - e quindi può ricadere". Se si cura da tot tempo e non è ricaduto, già è qualcosa e si può mettere. Se non ha avuto più episodi da 30 anni.... neanche è detta l'ultima parola, ma si può specificare. Ma al di là di questo...
Però non capisco più che altro a cosa le serve, non capisco perché mai in un lavoro uno si dovrebbe fare avanti con un certificato del genere se nessuno glielo ha chiesto.
Dr.Matteo Pacini
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Sì, ma è stato dirigente medico primo livello disciplina psichiatria e facenti funzione di codirettore del CIM. Credo sia stato autorizzato, questo per spostare la questione su un piano istituzionale.
Continuando la discussione per comprenderne qualcosa in più a livello istituzionale lei ha detto che "non esiste uno che confermi una diagnosi se non in un contesto istituzionale. Se uno viene periziato, si fa una diagnosi che ha valore in quel procedimento. Ma fuori da quello può non aver alcun peso.".
Come posso essere periziato in modo tale che il giudizio abbia un'autorevolezza maggiore rispetto a quella del primo medico?
Vorrei chiederle inoltre se dunque, dal momento in cui "si devono cercare sintomi e dinamiche tipiche di un disturbo o di un altro, e lo si fa nella maniera più rapida osservando la persona nel contesto di una visita, raccogliendo i suoi racconti (non solo come informazioni, anche come sintomo, perché parlare, esporre, argomentare sono innanzitutto segni di come si è)" meno di 10 minuti siano sufficienti a diagnosticare un disturbo?
Ad ogni modo io sono d'accordo sul fatto che parlare, esporre e argomentare sono innanzitutto segni di come si è ma credo che ognuno sappia cosa comunichi. La mia posizione parte da questo presupposto, da una profonda consapevolezza di me e circa quello che ho comunicato nel momento della visita. Io ho comunicato una gioiosità gaia, tipica delle persone omosessuali che possono avere un'incongruenza di genere, non una disforia di genere, perché non sono presenti segni clinici di una mancata corrispondenza fra genere di appartenenza e genere percepito. Ho il dubbio che questa gioiosità sia stata scambiata per un tratto che ha potuto costituire valore di sintomo per la diagnosi, oltre ad avere il dubbio che la diagnosi sia stata fatta soprattutto dal test perché il medico era fortemente dubbioso che io potessi avere un disturbo o quale potessi avere, se ce l'ho, fino al momento in cui ha letto il test, momento in cui però ha comunque espresso dubbio dicendo "forse ho capito cos'hai". Appunto forse. Io credo che se si sia basato sul fatto che si devono cercare sintomi e dinamiche tipiche di un disturbo o di un altro e che questo lo si faccia nella maniera più rapida osservando la persona nel contesto di una visita, raccogliendo i suoi racconti (non solo come informazioni, anche come sintomo, perché parlare, esporre, argomentare sono innanzitutto segni di come si è) abbia letto questa mia gioiosità gaia, tipica di un ragazzo omosessuale, io non gli avevo detto di essere omosessuale, come sintomo, segno di un modo di essere problematico da un punto di vista psichiatrico erroneamente. Questa mia idea parte da una profonda consapevolezza di me, questo voglio sia chiaro, non da un'opposizione al fatto che si facciano diagnosi psichiatriche. Come dice lei è pieno di soggetti bipolari nelle professioni e anche nelle funzioni massime. Non avrei motivo di oppormi ad una diagnosi. Non ho posizioni ideologiche di un certo tipo.
Lei è disposto a verificare questo con la mia disponibilità a comunicare chiaramente il modo in cui sono? Quale validità a livello istituzionale avrebbe la sua posizione?
Io vorrei sapere se lei è disponibile a capire insieme alla mia collaborazione da un punto di vista di chiarezza di comunicazione di come sono se si tratta di una sintomatologia che riconduce al disturbo bipolare NAS oppure solo di una gioiosità che può essere tipica del mio orientamento omosessuale, escludendo una variante psicopatologica dello stesso.
Capisce che la cosa mi interessa profondamente alla luce di una questione storica sulla depatologizzazione dell'omosessualità? Non so se le due cose, disturbo bipolare NAS e omosessualità, possano essere correlate alla luce di una omogeneità circa un quadro sintomatologico che porta alla tesi di omosessualità nella variante psicopatologica, cosa che ho appreso esista da un opuscoletto, A Qualcuno Piace Uguale (Einaudi, 2010), della presidente dell'associazione psichiatri Simona Argentieri.
Mi dica se il disturbo psichiatrico che avrei è o meno elemento facente parte di un quadro da cui si può individuare nel complesso quella che una variante psicopatologica dell'omosessualità. Può darsi che io stia facendo confusione e che il disturbo bipolare NAS non centri nulla con questo.
Detto questo. Lei opera anche nel pubblico? Io sarei disposto a raggiungerla nel luogo in cui lei opera per fare delle visite approfondite in cui lei possa fare le sue considerazioni per poi attraverso una certificazione relazionata, se opera nel pubblico, dare peso istituzionale alle stesse.
Grazie dell'attenzione.
Continuo a non capire però il contesto:
Lei è andato a CIM, perché ? Cosa ha determinato il fatto che ci andasse a chiedere una diagnosi ?
E adesso, tutta questa importanza che dà ad una diagnosi fatta da un medico, a che è dovuta ? A chi la deve mostrare, chi le ha detto di esibire una diagnosi ufficiale ? In quale contesto, per quale pratica serve che Lei torni con una diagnosi scritta nero su bianco e definitiva.
Alla fine il punto sembra essere che non gradisce una diagnosi che rimane un parere medico, non si capisce perché debba viverla come se la portasse scritta in fronte.
Dr.Matteo Pacini
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Non sono andato al CIM a fare la diagnosi. Essa è stata fatta al CIM formalmente due anni dopo la chiacchierata, come la chiamava il medico che l'ha formulata e il test psicodiagnostico solo nel momento in cui ho deciso di chiedere la pensione di invalidità.
Comprende quindi che il problema per me era molto pratico. Per quanto riguarda la questione psico-sessuale, è questa quella che mi ha spinto ad andare da una psicologa, d'altronde con lei abbiamo discusso soprattutto di sessualità. Questa è la risposta alla domanda che ha fatto in realtà, cioè del perché io sia andato al CIM prescindendo dall'aspetto meramente economico. Lei non riusciva ad interpretare e mi ha consigliato questo psichiatra che dopo meno di dieci minuti mi ha bloccato quando stessi per andare al dunque del mio problema, quello psico-sessuale. Era un tipo di disagio relativo a questo che volevo esprimere, Penso di aver comunicato una gioiosità gaia che non ha a che fare con l'eccitazione tipica della fase maniacale del disturbo bipolare, nè dell'umore alto che si alterna all'umore basso. L'umore alto mi sovviene in momenti di gioia per eventi (es. è capitato alla nascita di mia nipote) e l'umore basso sovviene attraverso momenti di piacere che mi inducono a dimenticare la causa del fenomeno, che è spesso banale (un ricordo di una relazione amicale o sentimentale che volevo continuasse ma che non è continuata, per esempio). Successivamente questo medico mi ha detto che non era un sessuologo. Io credevo che uno psichiatra avesse elementi di psicologia con cui non è difficile fare delle deduzioni in tema di psico-sessualità. Lei conviene sul fatto che un approccio davvero moderno alla psichiatria obbliga ad essere trasversali sui temi su cui essa si pone delle domande? E' chiaro che la psichiatria non è la psicologia che forse è più vicina ad un tema del genere ma mi aspettavo uno sforzo da parte del medico nell'ampliare le sue vedute e cercare delle relazioni fra le cose.
Io le ho chiesto comunque se la sua posizione riguardo a quello che gli comunicherei, visto che lei mi ha parlato del fatto che una diagnosi si fa raccogliendo informazioni dal racconto di una persona e anche sull'impressione che fa una persona, possa essere istituzionalizzata.
Nonostante qualche incomprensione io credo che lei abbia gli strumenti adeguati se nel mio caso si tratta solo di gioiosità o dei sintomi del disturbo bipolare. Vedo che lei è disposto a problematicizzare le cose. Il fatto che mi abbia chiesto perché sia andato al CIM dimostra che in qualche modo sta provocandomi circa la coscienza di una problematicità che mi apparterrebbe, così lei mi ha spinto a dire la verità, cioè che c'è stata una motivazione economica.
Una sua interpretazione che valore avrebbe in termini di revisione dell'attribuzione di malattie mentali alla mia persona?
Io so che a livello legale si può arrivare ad una errata diagnosi e in particolare a malattia inesistente. E' disponibile ad essere coinvolto in questo processo? Che valore legale avrebbe il suo parere?
MI scusi, io credo di essere chiaro. Le ho detto che intenderei dire la verità circa quello che ho comunicato allo psichiatra, gioiosità. Per il momento mi sento uomo per la maggior parte del tempo. A volte esprimo una sensibilità che ha più a che fare con qualità d'animo femminili.
Mi scusi dottore, la vedo un po' contrariata sul fatto che io possa oppormi a questo parere medico. In realtà vorrei che lei parlasse con me per capire quanto io sia consapevole delle mie azioni, mi riferisco al fatto di essermi recato da una psicologa e di aver accettato di fare un paio di visite psichiatriche. Se il suo parere ha immediato valore legale e può essere presentato in forma di relazione al CIM per annullare la diagnosi del medico precedente la prego di indicarmi l'indirizzo presso cui recarmi per dirimere la questione. Se ciò può essere fatto tramite videochiamata la prego di fornirmi i suoi contatti. Mi fido della sua capacità di suscitare il bisogno di esprimere la verità che è ciò a cui io tendo.
E' andato al CIM a fare che cosa ? A fingere di avere qualcosa per avere una pensione di invalidità ? E poi quindi non le sta bene che in base agli elementi (falsi ?) che ha riferito sia stata poi fatta una diagnosi ?
L'invalidità l'ha o no ?
Annullare la diagnosi ? Non capisco, se il motivo è che Lei si è recato al CIM senza motivo reale, che bisogno c'è di una certificazione ?
Rimane oscuro cosa cambia una volta annullata la diagnosi. Cosa cambia con una diagnosi che giace in una cartella del CIM...? Oppure risulta come invalidità ?
Dr.Matteo Pacini
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Io non sono andato al CIM innazitutto. Che io abbia finto di avere qualcosa per avere una pensione di invalidità lo sta deducendo lei. Io ho sfruttato, sto dicendo, badi che le cose vanno anche interpretate, altrimenti si esula dalla complessità delle stesse, un errore dello psichiatra che ha scambiato una gioiosità gaia per eccitazione e umore alti tipiche del disturbo bipolare in particolare la seconda è tipica degli sbalzi di umore. E' lo psichiatra che non ha interpretato bene. Lei parte dal presupposto che lo psichiatra riesca sempre ad interpretare e che se non riesce la responsabilità è dalla persona con cui egli si è interfacciato che riferisce informazioni false, ma questo posso capire che è la cosa più immediata da pensare. Mi sembra chiara la mia tesi riguardo a quello che sto cercando di dirle però, avendo la percezione di ciò che è successo. Se poi lei fa una deduzione sua circa il fatto che ho riferito falsi elementi è un problema più suo. Io sono sicuro di quello che ho riferito, in meno di 10 minuti tra l'altro, semplicemente il fatto di aver cambiato corso di laurea per questioni lavorative. Dopo di che sono stato invitato a fare un test e lì è avvenuta la diagnosi. Mentre gli riferivo, perché questo ho riferito, che avevo cambiato corso di laurea, probabilmente ha letto nel mio atteggiamento degli elementi che l'hanno ricondotto al fatto che abbia un disturbo bipolare. Io le sto chiedendo se lei è disponibile a capire, forse chiedendogli uno sforzo che probabilmente a questo punto va oltre agli strumenti che ha visto che riesce solo a farsi domande facili, come ad esempio perché una persona vada al CIM, come se una persona che vada al CIM sia automaticamente nello stato di paziente, ma capisco che per riduzione si possa ragionare in un certo modo. Io sono finito al CIM praticamente per una psicologa che mi ha consigliato un medico che svolge attività di psichiatra che ha sbagliato ad interpretare-, Badi che capire questo richiede che lei abbia l'interesse a dubitare delle capacità interpretative di un suo collega. Ce l'ha quest'interesse? Io sto dicendo chiaramente che c'è stato un equivoco e ho più detto volte che tipo di equivoco. Le ho chiesto quale rilievo a livello istituzionale ha la sua posizione nel caso lei sia disponibile ad avvicinarsi alla mia tesi, non servono delle competenze per avere la percezione di quello che sia potuto succedere fra due persone, e in ogni caso se lei vuole verificare questo capirebbe se sono bipolare o meno oppure se ho ragione io, banalmente. Le pare che possa avere l'invalidità se ho capito che è accaduto quello che ho già spiegato, appunto un equivoco? Avevo deciso di sfruttare questo errore di interpretazione del medico con cui ho fatto queste visite ma non l'ho fatto chiaramente. Però sia chiaro che io facendo la richiesta ho pensato di sfruttare un errore di interpretazione. Non ho riferito falsi sintomi. Sono stato poi invitato al CIM quando ho deciso di sfruttare questo errore per avere il certificato della diagnosi da presentare al medico di base, attraverso cui fare la richiesta della pensione di invalidità alla cui visita non mi sono presentato. Lei mi sta accusando di aver fatto produrre un falso, molto ingenuamente, mi scusi, come logica più facile che forse lei può usare con una persona che non ha percezione di sé. Io, invece, so cosa ho fatto, le ripeto, ho notato che il medico ha scambiato una cosa per un'altra e versando in una condizione economica precaria ho deciso di sfruttare quest'errore e ho richiesto la pensione di invalidità. Ho riferito anche pensieri suicidi ed è capitato li provassi nel momento in cui percepissi un'incongruenza di genere a volte. Data questa incongruenza di genere, chiarisco che la percezione di appartenere al genere femminile ce l'abbia raramente, è capitato una volta e ho avuto questi pensieri, e una capacità di guardarmi dentro a livello di personalità e a livello di percezione della stessa, ho notato che sia stata scambiata una gioiosità gaia per alcuni tratti del disturbo bipolare.
E' chiaro che dal momento in cui io credo ci sia stato un equivoco io voglia annullare la diagnosi. La certificazione di guarigione clinica l'ho avuta perché lo psichiatra che di recente si è insediato al CIM non era disponibile a mettere in dubbio la capacità interpretativa dello psichiatra e mi ha parlato telefonicamente del fatto che in assenza totale o parziale di sintomi si potesse certificare una guarigione clinica. Io, ed è questo il problema, non sapevo cosa fare. Avevo contattato l'ASP tramite PEC esprimendo le mie perplessità e chiedendo di un'autorità nell'amministrazione sanitaria che potesse fare verificare questo caso ma non ho ricevuto risposta. Non voglio fare una causa. Non voglio alcun risarcimento per errore medico. Secondo me è normale che in cose così complesse si possa incappare in equivoci.
Detto questo, visto che lei dice che il mio discorso è ambiguo, le faccio notare che la mia ultima risposta aveva una richiesta. Lei crede di poterla soddisfare? Qui mi sembra che io sia invece molto pratico, mi perdoni. Così come sono pratico sul fatto che chieda se ci sia una voce autorevole all'interno dell'amministrazione sanitaria che possa dichiarare una diagnosi errata (malattia inesistente) senza che io denunci.
Io ho comunicato solo questo in meno di dieci minuti. Onestamente avevo entusiasmo perché mi rivolgevo a uno psichiatra per discutere della mia sessualità dato il contenuto della psicoterapia con la psicologa. Io sono stato invitato subito a fare il test senza poter fare capire a cosa fosse dovuto quel po' di entusiasmo, al fatto che volessi andare a fondo sulla questione della psico-sessualità.
Quindi ha chiesto l'invalidità utilizzando come base la diagnosi di Disturbo Bipolare. Lei è convinto che la diagnosi sia infondata. Al CIM era andato per farsi visitare (ci voleva tanto a dire una cosa così semplice ?).
"e versando in una condizione economica precaria ho deciso di sfruttare quest'errore e ho richiesto la pensione di invalidità. "
Esatto, quindi questo è quello che ho detto, ha preso una diagnosi che Lei ritiene falsa per utilizzarne i benefici. Quindi da una parte vuole i benefici, e dall'altro contesta la diagnosi perché.... non si capisce questo, in che cosa questa diagnosi la danneggi.
Che in un CIM l'abbia visitata e la diagnosi l'abbia posta uno che non è psichiatra è un'anomalia, ma non è detto che lo sia sul piano formale.
Se Lei non è d'accordo con la diagnosi perché vuole obbligare il CIM a sottoscrivere questo suo dissenso ? Rimane il parere di uno scritto su una cartella. Poteva contestarlo in quel momento, invece ha voluto chiedere l'invalidità...
La parte che manca e tuttora non c'è nella storia è il perché ci tenga a far annullare la diagnosi. Uno può farsi visitare, ma nessuno garantisce che facciano una diagnosi come vuole Lei. Oppure chiede un certificato di guarigione clinica (il che significa che la diagnosi è confermata e che sta bene al momento, quindi una cosa diversa dal fatto che la diagnosi fosse sbagliata).
Non si è ancora capito cosa cambia.
PS tutto il discorso sull'equivoco in realtà non si può stabilire qui, e la sua interpretazione non è che sia evidentemente vera o meno.
Dr.Matteo Pacini
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Ora è più chiaro tutto. Mi scusi. Mi ha stimolato lei ad essere meno ambiguo. Le conviene tenere in considerazione solo questa risposta per capire quello che sto sostenendo.
Detto questo. Come si può annullare questa diagnosi? Attraverso quale procedimento?
Lasci stare che io non gradisca un parere. Le chiedo un'informazione tecnica rispetto alle procedure dell'amministrazione sanitaria.
Tagliando corto, il discorso dell'equivoco o quello che chiarisco nell'ultima risposta, dove si può stabilire?
Le dico anche che in realtà il certificato di guarigione clinica non ce l'ho perché al CIM mi sono recato solo in occasione della pensione di invalidità. Mi è stato proposto al cellulare dallo psichiatra ora insediatosi nel CIM della mia zona di farlo recandomici ma non mi sono recato. Ho inventato questo dettaglio solo per cercare di prevedere una situazione futura in cui io scelga di averlo perché la questione non si sia risolta secondo la mia tesi, cosa che riterrei essere assurda.
No, Lei non ha detto di avere simulato, come però sembrava all'inizio (non è colpa mia se racconta le cose omettendo praticamente tutti gli elementi di base che permettono di capire il senso dei fatti). Adesso la mette in modo diverso e quindi sembra solo che Lei abbia chiesto l'invalidità e non sia d'accordo sulla diagnosi per cui l'ha chiesta (una cosa abbastanza assurda).
" Io sono sicuro che sia stata scambiata l'allegria, la gioia dell'essere gay per disturbo bipolare e che il tentativo di suicidio sia stato dovuto ad atti di bullismo."
A me sembra un discorso privo di senso invece. Lei ne è convinto, quindi non cerca alcun confronto, e probabilmente mancano dei dettagli banalissimi.
Ho avuto casi simili, con diagnosi contestate che si riferiva fatte in 10 minuti e con mezzi non idonei. E invece in tali casi semplicemente la persona raccontava i fatti in maniera del tutto distorta, omissiva e a tesi.
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Si continua a non capire quale sia il problema, alla fine di tutto questo discorso. Uno arrabbiato perché non è d'accordo con un parere medico. Parere medico da cui non discende alcunché, e che Lei andò a chiedere facendosi valutare più di una volta, perché la diagnosi arrivò non subito (quindi non in 10 minuti). Un racconto in cui non tornano alcune cose, mancano delle spiegazioni di partenza, e soprattutto non si capisce il motivo.
Che cosa cambia ? Dov'è il problema ? Che c'entra il lavoro ?
Dr.Matteo Pacini
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Continuo a non capire il senso di tutto questo. Se facesse capire poi a cosa le serve tutto questo, magari rispondere in maniera ancora più chiara sarebbe facile.
Cerchi di non trascendere, perché sto avendo pazienza nel rispondere, nonostante Lei mantenga oscuri molti punti fondamentali. Quindi capirà che la fatica non è poca. Ma vedo che non l'apprezza e prova anche a denigrare.
Dr.Matteo Pacini
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Mi è stato detto da alcuni avvocati che ci sono delle alternative ai procedimenti giudiziari nel caso di errata diagnosi (malattia inesistente).
Io le chiedevo una mano a capire questo che è quello che mi interessa.
Da quello che lei dice bisogna necessariamente che ci sia un procedimento giudiziario.
Io vorrei sapere solo questo. Il resto non mi interessa. Non è di certo lei su tutti, appunto che decide se la malattia diagnosticata precedentemente è esistente.
Lei può chiedere una valutazione, ma non cancella quella di altri colleghi. CI mancherebbe. E' questo concetto di "cancellazione" che non mi è chiaro. Insomma, è come se volesse far correggere di nuovo un compito di italiano delle medie, e far rivedere i voti finali. Ma tutto ciò - ammesso che si possa fare - ha uno scopo pratico ?
Io non vedo lo scopo pratico.
A chi può importare di che diagnosi le fece un medico. C'è qualcosa che non dice.
Dr.Matteo Pacini
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Di solito si se non c'è un fine. Ma anche quando si riconosce in un processo il fatto che una diagnosi sia sbagliata, non è che venga cancellata, anzi. Né va a finire da nessuna parte, di per sé, quel nuovo giudizio diagnostico.
"Se ha dei dubbi quanto meno apre il dibattito per arrivare a una tesi."
Ma con chi e a che scopo ?
Dovesse aver bisogno di dimostrare (ma a chi ?) che non ha una determinata diagnosi (o meglio, che non vi erano i criteri per formularla, ma non è che sia sempre possibile) poi può far valere il parere in qualche modo, dipende a che fine, in quale contesto.
Senza specificare il contesto, non è chiaro cosa stia cercando di dimostrare.
Dr.Matteo Pacini
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Approfondimento su Disturbo bipolare
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