Artroprotesi totale ginocchio
Gent.mi dottori,
Vi espongo il caso di mia madre, oggi 61enne.
Nel Marzo 2005 le è stata impiantata una artroprotesi totale nel ginocchio sinistro.
Lei già soffriva di lupus eritematoso sistemico e linfangite acuta. Nel Dicembre dello stesso anno ha avuto un ictus che le ha procurato un’emiparesi del lato destro. La gamba destra funziona al 60% circa, ma tale da permetterle la deambulazione e una limitata autosufficienza. Il problema è che in queste condizioni, il suo baricentro si è spostato sul lato sinistro dove c’è la protesi al ginocchio.
Recentemente, a distanza di cinque anni, sono apparsi dolori al ginocchio sx tali da non permetterle quel minimo di deambulazione. Ne sono seguite analisi.
Il referto RX dice: “aspetto di lieve scollamento della protesi tibiale nel suo versante postero midiale. Irregolarmente calcifica la midollare femorale in regione sovracondiloidea”.
Successivo referto dopo scintigrafia: “l’indagine scintifgrafica eseguita con tecnica trifasica per collimazione sulle ginocchia ha evidenziato un significativo incremento della perfusione ematica nei distretti articolari del ginocchio sx sia in fase angioscintigrafica, sia in quella all’equilibrio (5 min.). Detta condizione è confermata dall’andamento delle curve costruite sulle relative aree di interesse. In fase tardiva osteotropa il reperto segnalato si apprezza con maggiore intensità (maggiormente in corrispondenza della componente tibiale). Conclusione: il quadro scintigrafico appare compatibile, in prima ipotesi, con reazione osteometabolica periprotesica da sospetta mobilizzazione di tipo settico.
Il medico ortopedico che ha eseguito l’intervento, successivamente ha prescritto la seguente cura preliminare (in attesa di vedere se ci saranno miglioramenti) con referto: iniziale scollamento piatto tibiale artroprotesi ginocchio sx in fase dolorosa sub acuta. Ciclo di Biostim ginocchio sx. Terapia: Patron 2cpr al dì per 10 gg.
Le mie domande e dubbi sono:
- In caso di scollamento tibiale, quale terapia è più appropriata?
- E’ un problema reversibile, nel senso che, l’aderenza della protesi tibiale può essere recuperata?
- Oppure è necessario un altro intervento per fissare meglio il piatto tibiale?
- Quanto può aver influito lo spostamento del baricentro del peso del corpo sul lato sinistro nella mobilizzazione della protesi?
- La terapia prescritta sarà sufficiente a far scomparire il dolore e a far recuperare lo scollamento?
- Il versamento ematico a cosa è dovuto e come può essere riassorbito?
- Il ciclo di Biostimolatore è realmente efficace o è il solito placebo che serve solo al business delle case produttrici?
Cordiali saluti e grazie per la Vs. cortese attenzione.
Vi espongo il caso di mia madre, oggi 61enne.
Nel Marzo 2005 le è stata impiantata una artroprotesi totale nel ginocchio sinistro.
Lei già soffriva di lupus eritematoso sistemico e linfangite acuta. Nel Dicembre dello stesso anno ha avuto un ictus che le ha procurato un’emiparesi del lato destro. La gamba destra funziona al 60% circa, ma tale da permetterle la deambulazione e una limitata autosufficienza. Il problema è che in queste condizioni, il suo baricentro si è spostato sul lato sinistro dove c’è la protesi al ginocchio.
Recentemente, a distanza di cinque anni, sono apparsi dolori al ginocchio sx tali da non permetterle quel minimo di deambulazione. Ne sono seguite analisi.
Il referto RX dice: “aspetto di lieve scollamento della protesi tibiale nel suo versante postero midiale. Irregolarmente calcifica la midollare femorale in regione sovracondiloidea”.
Successivo referto dopo scintigrafia: “l’indagine scintifgrafica eseguita con tecnica trifasica per collimazione sulle ginocchia ha evidenziato un significativo incremento della perfusione ematica nei distretti articolari del ginocchio sx sia in fase angioscintigrafica, sia in quella all’equilibrio (5 min.). Detta condizione è confermata dall’andamento delle curve costruite sulle relative aree di interesse. In fase tardiva osteotropa il reperto segnalato si apprezza con maggiore intensità (maggiormente in corrispondenza della componente tibiale). Conclusione: il quadro scintigrafico appare compatibile, in prima ipotesi, con reazione osteometabolica periprotesica da sospetta mobilizzazione di tipo settico.
Il medico ortopedico che ha eseguito l’intervento, successivamente ha prescritto la seguente cura preliminare (in attesa di vedere se ci saranno miglioramenti) con referto: iniziale scollamento piatto tibiale artroprotesi ginocchio sx in fase dolorosa sub acuta. Ciclo di Biostim ginocchio sx. Terapia: Patron 2cpr al dì per 10 gg.
Le mie domande e dubbi sono:
- In caso di scollamento tibiale, quale terapia è più appropriata?
- E’ un problema reversibile, nel senso che, l’aderenza della protesi tibiale può essere recuperata?
- Oppure è necessario un altro intervento per fissare meglio il piatto tibiale?
- Quanto può aver influito lo spostamento del baricentro del peso del corpo sul lato sinistro nella mobilizzazione della protesi?
- La terapia prescritta sarà sufficiente a far scomparire il dolore e a far recuperare lo scollamento?
- Il versamento ematico a cosa è dovuto e come può essere riassorbito?
- Il ciclo di Biostimolatore è realmente efficace o è il solito placebo che serve solo al business delle case produttrici?
Cordiali saluti e grazie per la Vs. cortese attenzione.
[#1]
Buonasera,
la mobilizzazione delle componenti protesiche, siano esse cementate (come nel 99% delle artroprotesi di ginocchia) o non cementate (come nel 75% delle artroprotesi d'anca) pone a noi chirurghi alcuni problemi da risolvere. Il primo è identificare con certezza il meccanismo/causa dello scollamento.
Bisogna prima di tutto capire se si tratti di una mobilizzazione asettica (cause meccaniche) o settica (causata da un'infezione tardiva arrivata al ginocchio tramite il sangue). In entrambe i casi il trattamento è chirurgico e si tratta di eseguire una rimozione delle componenti impiantate ed un reimpianto.
Mentre nel caso della mobilizzazione meccanica asettica si può nel contesto del medesimo intervento eseguire la rimozione ed il reimpianto di una protesi con il medesimo grado di mobilità della precedente, nel caso della mobilizzazione settica si può procedere solo all'impianto di una protesi temporanea fatta di uno speciale cemento addizionato di antibiotico che permette una mobilità più limitata e che andrà sostituita (guarita definitivamente l'infezione) con una protesi definitiva.
In buona sostanza mentre in un caso l'intervento da farsi è uno solo, nel secondo gli interventi sono due ed il tempo che deve trascorrere tra uno e l'altro non è fisso ma dipende della risposta del paziente alle cure antibiotiche.
Nel caso di sua madre (già compromessa dal punto di vista motorio) bisogna fare un'attenta valutazione di quanto in effetti la situazione limiti la sua autonomia e quanto valga la pena di impegnarsi in questo percorso.
Un saluto
la mobilizzazione delle componenti protesiche, siano esse cementate (come nel 99% delle artroprotesi di ginocchia) o non cementate (come nel 75% delle artroprotesi d'anca) pone a noi chirurghi alcuni problemi da risolvere. Il primo è identificare con certezza il meccanismo/causa dello scollamento.
Bisogna prima di tutto capire se si tratti di una mobilizzazione asettica (cause meccaniche) o settica (causata da un'infezione tardiva arrivata al ginocchio tramite il sangue). In entrambe i casi il trattamento è chirurgico e si tratta di eseguire una rimozione delle componenti impiantate ed un reimpianto.
Mentre nel caso della mobilizzazione meccanica asettica si può nel contesto del medesimo intervento eseguire la rimozione ed il reimpianto di una protesi con il medesimo grado di mobilità della precedente, nel caso della mobilizzazione settica si può procedere solo all'impianto di una protesi temporanea fatta di uno speciale cemento addizionato di antibiotico che permette una mobilità più limitata e che andrà sostituita (guarita definitivamente l'infezione) con una protesi definitiva.
In buona sostanza mentre in un caso l'intervento da farsi è uno solo, nel secondo gli interventi sono due ed il tempo che deve trascorrere tra uno e l'altro non è fisso ma dipende della risposta del paziente alle cure antibiotiche.
Nel caso di sua madre (già compromessa dal punto di vista motorio) bisogna fare un'attenta valutazione di quanto in effetti la situazione limiti la sua autonomia e quanto valga la pena di impegnarsi in questo percorso.
Un saluto
Dr. Gianluca Cusmà
Chirurgia Protesica ed Artroscopica
di Anca e Ginocchio www.orthopedia.it
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 6k visite dal 11/06/2010.
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