Depressione 13 anni e farmaci
Buongiorno,
mia figlia ha 13 anni e sta male. Da un anno e mezzo si procura dei tagli sulle braccia nei momenti di maggiore malessere ed ha pensieri di morte molto presenti in quest'ultimo periodo.
E' in cura da gennaio da una psicoterapeuta che, vista la gravità della situazione, ci ha consigliato di sentire anche il parere di uno psichiatra per l'eventuale necessità di un aiuto farmacologico. Così da marzo scorso ha iniziato ad assumere risperdal e zoloft mentre era ricoverata presso una struttura psichiatrica convenzionata per ragazzi minorenni, ed inizialmente ne ha avuto beneficio ma questo miglioramento non è durato a lungo ed ha subito un altro ricovero in giugno, dopo che l'ho trovata una sera seduta sul davanzale della finestra con l'intenzione di buttarsi di sotto dopo che avevamo avuto una banale discussione.
Le hanno aumentato il dosaggio del risperdal (2ml), mantenuto invariato lo zoloft e aggiunto 5 mg di abilify per abbassare il livello molto alto di prolattina e per stabilizzare l'umore. Da allora è solo peggiorata.
Non ho visto alcun miglioramento, anzi l'umore va malissimo, è tornata ad avere questi pensieri di morte che la accompagnano sempre, ed ha frequenti cadute in picchiata dell'umore con crisi di pianto e senso di vuoto angosciante. Gli psichiatri che la seguono mi hanno consigliato ultimamente, visto che sta peggio di prima, di aumentare il risperdal ma non ho voluto: mi avevano spiegato all'inizio della terapia che il risperdal serviva per controbilanciare un possibile effetto negativo dello zoloft per i primi tempi, tenendola "tranquilla" ma poi non è mai stato tolto. Mi pare tutto un po' confuso e soprattutto non vedo miglioramenti in mia figlia anzi adesso, anche a quanto dice lei stessa, si sente male come prima di intraprendere la cura.
Il medico che la segue mi dice che è la malattia che progredisce, ma mi chiedo questo: non è possibile trovare una cura che la aiuti quantomeno a non avere queste crisi, a stare un po' meglio, mentre prosegue comunque il suo percorso di psicoterapia? Io non sono contro l'assunzione dei farmaci, ma penso che dovrebbero avere un qualche effetto positivo? Dopo 5 mesi pieni di terapia è normale essere come prima di cominciarla?
La ringrazio per la sua attenzione
mia figlia ha 13 anni e sta male. Da un anno e mezzo si procura dei tagli sulle braccia nei momenti di maggiore malessere ed ha pensieri di morte molto presenti in quest'ultimo periodo.
E' in cura da gennaio da una psicoterapeuta che, vista la gravità della situazione, ci ha consigliato di sentire anche il parere di uno psichiatra per l'eventuale necessità di un aiuto farmacologico. Così da marzo scorso ha iniziato ad assumere risperdal e zoloft mentre era ricoverata presso una struttura psichiatrica convenzionata per ragazzi minorenni, ed inizialmente ne ha avuto beneficio ma questo miglioramento non è durato a lungo ed ha subito un altro ricovero in giugno, dopo che l'ho trovata una sera seduta sul davanzale della finestra con l'intenzione di buttarsi di sotto dopo che avevamo avuto una banale discussione.
Le hanno aumentato il dosaggio del risperdal (2ml), mantenuto invariato lo zoloft e aggiunto 5 mg di abilify per abbassare il livello molto alto di prolattina e per stabilizzare l'umore. Da allora è solo peggiorata.
Non ho visto alcun miglioramento, anzi l'umore va malissimo, è tornata ad avere questi pensieri di morte che la accompagnano sempre, ed ha frequenti cadute in picchiata dell'umore con crisi di pianto e senso di vuoto angosciante. Gli psichiatri che la seguono mi hanno consigliato ultimamente, visto che sta peggio di prima, di aumentare il risperdal ma non ho voluto: mi avevano spiegato all'inizio della terapia che il risperdal serviva per controbilanciare un possibile effetto negativo dello zoloft per i primi tempi, tenendola "tranquilla" ma poi non è mai stato tolto. Mi pare tutto un po' confuso e soprattutto non vedo miglioramenti in mia figlia anzi adesso, anche a quanto dice lei stessa, si sente male come prima di intraprendere la cura.
Il medico che la segue mi dice che è la malattia che progredisce, ma mi chiedo questo: non è possibile trovare una cura che la aiuti quantomeno a non avere queste crisi, a stare un po' meglio, mentre prosegue comunque il suo percorso di psicoterapia? Io non sono contro l'assunzione dei farmaci, ma penso che dovrebbero avere un qualche effetto positivo? Dopo 5 mesi pieni di terapia è normale essere come prima di cominciarla?
La ringrazio per la sua attenzione
[#1]
Gentile Signora,
la storia clinica da Lei presentata attinente a Sua figlia penso proprio che meriti attenzione anche in considerazione della giovane età della ragazza.
Nella Sua esposizione, prevalentemente clinica, non dice nulla su altre notizie che, nel caso, servirebbero a meglio impostare il problema.
Ad esempio, si tratta di figlia unica? Nella storia familiare è già comparsa una qualche familiarità psicopatologica non necessariamente simile ai disturbi presentati dalla ragazza?
Avete già discusso con lo Psicologo (Lei e suo marito) di eventuali dinamiche e interazioni familiari che potrebbero, nel caso, aver condizionato una eventuale slatentizzazione di uno stato pre-psicotico?
A mio avviso, potrebbe infatti essere di aiuto non soltanto una idonea terapia farmacologica ma (nell'eventualità) anche una specifica terapia familiare.
Sono del parere che non si tratti tanto di una "progressione" della malattia che, in atto, si è già manifestata quanto di scarsi risultati fino a questo mommento ottenuti, nonostante le pur valide terapie farmacologiche.
Un saluto
la storia clinica da Lei presentata attinente a Sua figlia penso proprio che meriti attenzione anche in considerazione della giovane età della ragazza.
Nella Sua esposizione, prevalentemente clinica, non dice nulla su altre notizie che, nel caso, servirebbero a meglio impostare il problema.
Ad esempio, si tratta di figlia unica? Nella storia familiare è già comparsa una qualche familiarità psicopatologica non necessariamente simile ai disturbi presentati dalla ragazza?
Avete già discusso con lo Psicologo (Lei e suo marito) di eventuali dinamiche e interazioni familiari che potrebbero, nel caso, aver condizionato una eventuale slatentizzazione di uno stato pre-psicotico?
A mio avviso, potrebbe infatti essere di aiuto non soltanto una idonea terapia farmacologica ma (nell'eventualità) anche una specifica terapia familiare.
Sono del parere che non si tratti tanto di una "progressione" della malattia che, in atto, si è già manifestata quanto di scarsi risultati fino a questo mommento ottenuti, nonostante le pur valide terapie farmacologiche.
Un saluto
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 3k visite dal 11/08/2015.
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