Si può morire di fame/sete senza che i medici ricorrano a nutrizione artificiale obbligatoria?
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Spett.le Utente,
la risposta al quesito che pone a mio parere è differente a seconda del contesto in cui si trova la persona che mette in atto tale comportamento (persona che vive da sola, in famiglia, in comunità, ricoverato, detenuto, ed altro ancora).
Per la persona che vive da sola, a meno che non comunichi ad altri il proprio intento, non si potrà prendere alcun provvedimento fino a quando, eventualmente, il peggioramento delle condizioni di salute non lo inducano a chiedere aiuto.
Per la persona che vive in famiglia, saranno i familiari a doversi rivolgere ai Servizi Sociali o direttamente al Medico di Medicina Generale, e la necessaria conseguenza sarà l'attivazione non di un TSO, bensì di un ASO (accertamento sanitario obbligatorio), che viene richiesto da un medico nei confronti di una persona per la quale si abbia il fondato sospetto di alterazioni psichiche da rendere urgente un intervento terapeutico e che rifiuti ogni contatto con il medico.
L’ASO è disposto con un’ordinanza del Sindaco, in qualità di Autorità Sanitaria locale, su proposta motivata del medico richiedente. L’ordinanza deve indicare il luogo (che può essere il Centro di salute mentale, l’ambulatorio, il domicilio del paziente, il pronto soccorso) in cui l’accertamento deve essere effettuato.
Dopo tale accertamento, se ci sono le condizioni e la persona rifiuta di sottoporsi alle cure necessarie, può essere disposto un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), per un periodo di sette giorni rinnovabili, anche senza ricorrere al ricovero: presso il Centro di salute mentale, l’ambulatorio, il domicilio dell'assistito, il pronto soccorso. Tuttavia se è necessario il ricovero ospedaliero, il TSO può essere effettuato esclusivamente presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’Azienda sanitaria. Il TSO è disposto con un’ordinanza del Sindaco, convalidata dal Giudice tutelare, su proposta motivata di un medico, convalidata da un medico del Dipartimento di salute mentale o da altro medico della struttura pubblica.
Stessa prassi, ma a cura dei responsabili della comunità o della struttura sanitaria, viene attuata nei riguardi di persone ospitate o di ricoverati.
Infine, per quanto riguarda i detenuti che dichiarano di voler intraprendere lo sciopero della fame, della sete (od anche della terapia), questi vengono visitati, almeno quotidianamente, con rilievo dei parametri vitali e delle condizioni di salute generali, fino a quando tali condizioni non si deteriorino al punto da comportare pericolo di vita.
Il problema è quello della liceità dell’intervento medico attraverso l’alimentazione forzata, trattamento che essendo anche coattivo, per essere lecito dovrebbe rispondere alla duplice valenza della riserva di legge scaturente dagli artt.32 e 13 della Costituzione.
Pertanto, se in base a tali disposizioni non può essere imposto alcun trattamento che non sia previsto dalla legge (art. 32 della Costituzione) e nessuna misura restrittiva della libertà personale può essere adottata, neanche per fini sanitari se non nei casi previsti dalla legge e con le garanzie dell’intervento del giudice (art 13 della Costituzione), ne deriverebbe l’illiceità dell’alimentazione forzata dei detenuti, in assenza di disposizioni legislative che si riferiscano direttamente a tale ipotesi.
Tuttavia se è vero che alcune opinioni dottrinali si esprimono sfavorevolmente alla legittimità del ricorso al trattamento sanitario obbligatorio nei confronti del detenuto scioperante, vi è però l’obbligo giuridico della tutela della incolumità fisica del detenuto che grava sull’Amministrazione Penitenziaria, cui consegue il dovere di intervenire al fine di prevenire la morte o i danni derivanti da denutrizione e, quando subentra uno stato di incapacità di intendere e di volere, è legittimo il ricorso all’alimentazione forzata.
Pertanto in tale caso il T.S.O. interviene solo qualora due medici abbiano formalmente accertato la momentanea incapacità di intendere e di volere. La competenza a disporre il T.S.O., con le modalità dell’alimentazione forzata, spetta al sindaco del Comune in cui si trova l’Istituto penitenziario ove è ristretto il detenuto, e la convalida al GIP od al Magistrato di Sorveglianza, a seconda della condizione giuridica del detenuto.
Infine, se Le interessa approfondire l'argomento, Le segnalo un saggio non recentissimo, ma molto utile a comprendere come la problematica viene affrontata:
http://www.cortisupremeesalute.it/wp-content/uploads/2019/06/3_Dal-diritto-al-rifiuto-delle-cure-al-diritto-al-suicidio-assistito-2.pdf
Distinti Saluti.
la risposta al quesito che pone a mio parere è differente a seconda del contesto in cui si trova la persona che mette in atto tale comportamento (persona che vive da sola, in famiglia, in comunità, ricoverato, detenuto, ed altro ancora).
Per la persona che vive da sola, a meno che non comunichi ad altri il proprio intento, non si potrà prendere alcun provvedimento fino a quando, eventualmente, il peggioramento delle condizioni di salute non lo inducano a chiedere aiuto.
Per la persona che vive in famiglia, saranno i familiari a doversi rivolgere ai Servizi Sociali o direttamente al Medico di Medicina Generale, e la necessaria conseguenza sarà l'attivazione non di un TSO, bensì di un ASO (accertamento sanitario obbligatorio), che viene richiesto da un medico nei confronti di una persona per la quale si abbia il fondato sospetto di alterazioni psichiche da rendere urgente un intervento terapeutico e che rifiuti ogni contatto con il medico.
L’ASO è disposto con un’ordinanza del Sindaco, in qualità di Autorità Sanitaria locale, su proposta motivata del medico richiedente. L’ordinanza deve indicare il luogo (che può essere il Centro di salute mentale, l’ambulatorio, il domicilio del paziente, il pronto soccorso) in cui l’accertamento deve essere effettuato.
Dopo tale accertamento, se ci sono le condizioni e la persona rifiuta di sottoporsi alle cure necessarie, può essere disposto un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), per un periodo di sette giorni rinnovabili, anche senza ricorrere al ricovero: presso il Centro di salute mentale, l’ambulatorio, il domicilio dell'assistito, il pronto soccorso. Tuttavia se è necessario il ricovero ospedaliero, il TSO può essere effettuato esclusivamente presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’Azienda sanitaria. Il TSO è disposto con un’ordinanza del Sindaco, convalidata dal Giudice tutelare, su proposta motivata di un medico, convalidata da un medico del Dipartimento di salute mentale o da altro medico della struttura pubblica.
Stessa prassi, ma a cura dei responsabili della comunità o della struttura sanitaria, viene attuata nei riguardi di persone ospitate o di ricoverati.
Infine, per quanto riguarda i detenuti che dichiarano di voler intraprendere lo sciopero della fame, della sete (od anche della terapia), questi vengono visitati, almeno quotidianamente, con rilievo dei parametri vitali e delle condizioni di salute generali, fino a quando tali condizioni non si deteriorino al punto da comportare pericolo di vita.
Il problema è quello della liceità dell’intervento medico attraverso l’alimentazione forzata, trattamento che essendo anche coattivo, per essere lecito dovrebbe rispondere alla duplice valenza della riserva di legge scaturente dagli artt.32 e 13 della Costituzione.
Pertanto, se in base a tali disposizioni non può essere imposto alcun trattamento che non sia previsto dalla legge (art. 32 della Costituzione) e nessuna misura restrittiva della libertà personale può essere adottata, neanche per fini sanitari se non nei casi previsti dalla legge e con le garanzie dell’intervento del giudice (art 13 della Costituzione), ne deriverebbe l’illiceità dell’alimentazione forzata dei detenuti, in assenza di disposizioni legislative che si riferiscano direttamente a tale ipotesi.
Tuttavia se è vero che alcune opinioni dottrinali si esprimono sfavorevolmente alla legittimità del ricorso al trattamento sanitario obbligatorio nei confronti del detenuto scioperante, vi è però l’obbligo giuridico della tutela della incolumità fisica del detenuto che grava sull’Amministrazione Penitenziaria, cui consegue il dovere di intervenire al fine di prevenire la morte o i danni derivanti da denutrizione e, quando subentra uno stato di incapacità di intendere e di volere, è legittimo il ricorso all’alimentazione forzata.
Pertanto in tale caso il T.S.O. interviene solo qualora due medici abbiano formalmente accertato la momentanea incapacità di intendere e di volere. La competenza a disporre il T.S.O., con le modalità dell’alimentazione forzata, spetta al sindaco del Comune in cui si trova l’Istituto penitenziario ove è ristretto il detenuto, e la convalida al GIP od al Magistrato di Sorveglianza, a seconda della condizione giuridica del detenuto.
Infine, se Le interessa approfondire l'argomento, Le segnalo un saggio non recentissimo, ma molto utile a comprendere come la problematica viene affrontata:
http://www.cortisupremeesalute.it/wp-content/uploads/2019/06/3_Dal-diritto-al-rifiuto-delle-cure-al-diritto-al-suicidio-assistito-2.pdf
Distinti Saluti.
Nicola Mascotti,M.D.
[Si prega di non richiedere stime del grado percentuale di invalidità, che non possono essere fornite in questa sede]
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.6k visite dal 24/09/2023.
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