Transefert e controtransfert amoroso, un incantesimo senza uscita?
Sono una 40enne, sposata senza figli. Ho sempre avuto massime prestazioni negli studi e poi nel lavoro. Buone amicizie, buone competenze sociali. Insomma molto sovrastrutturata, con grandi vuoti emotivi dentro: un grattacielo costruito su terreno friabile. Anni fa, con una caduta lenta, sono finita in depressione e interruzione del lavoro. Ora lavoro a tempo parziale e saltuariamente, ma benchè non più depressa, sono sempre senza alcun obiettivo a lungo termine, nessuna attività lavorativa mi appassiona, spesso mi sento irreale e senza senso. Amo mio marito, ma molto raramente provo attrazione sessuale, ho scarsa voglia di avere figli.
Sono appunto da 3 anni e mezzo in terapia con il terapeuta in questione, (50enne, sposato, diverse specializzazioni).
Già nella seconda seduta mi ha detto (mentre gli parlavo di mia nonna): "in questo momento sento qualcosa di sessuale per te, nei termini della protezione e dell'accudimento". Dopo la seduta ero in preda ad uno stato di meraviglia paradisiaca, insomma era partito il transfert paterno amoroso che ho tutt'ora, dopo anni di terapia. La terapia procede troppo lentamente, temo soprattutto a causa di questo transfert amoroso-erotico persistente che rende scarsa la mia capacità di focalizzarmi sulla mia guarigione e crescita, e mi fa sentire "irreale" e senza scopo. Mi sento in una sorta di incantesimo d'amore che mi tiene staccata dalla realtà e legata a lui "per sempre". La sensazione è che quando parlo del mio innamoramento (palese transfert paterno) si limita a ribadire macchinalmente che non è lui che amo, e dice: "non è merito mio, e questo per me è anche molto frustrante!". Avendo io paura di scomparire dal suo pensiero fuori seduta, per rassicurarmi mi ha detto che è andato in supervisione per me e "quando un terapeuta pensa ad una paziente più del normale va in supervisione. Comunque te sei fissata col pensiero, ma esiste anche qualcosa di più viscerale, più profondo, più intimo del pensiero". Dopo 1 anno di terapia, dopo alcuni mesi in cui era diventato inspiegabilmente distaccato e la terapia era arenata, mi ha spiegato di provare attrazione sessuale per me e che cercava di capirne l'origine durante le sedute. Mi ha fatto sentire spesso speciale e per 2,5 anni ha sempre risposto ai miei sms. Da un anno l'accordo è che posso scrivergli ma lui non risponde, per evitare malintesi. Quando sente attrazione sessuale in seduta me lo dice, perchè io tendo a non sentirla (a casa sì) e a "farla sentire" a lui. Quando la sento a lui viene sonno.
Molte volte dice cose che io ritengo poco consone, tipo "anche per me questa relazione è molto frustrante, anch'io vorrei qualcosa di più". Oppure "non posso parlarti dei miei sentimenti, non sarebbe terapeutico... Chissà cosa andresti a fare a casa poi!"; e io:"ma non voglio sapere quali sono i tuoi sentimenti, non è questo il problema"; lui: "forse non è il tuo problema, ma è il mio problema". Oppure, dopo un induzione di trance (in me sempre molto blanda) gli ho detto che ero spaventata da lui e lui ha risposto "se le condizioni fossero diverse in questo momento ci sarebbe un avvicinamento, ci sarebbero abbracci....carezze baci e quant'altro". Spesso al mio arrivo arrossisce. Se non fosse un terapeuta, penserei che è innamorato senza via d'uscita. E io mi sento persa nel transfert e spaventata di non riuscire ad uscirne da sola.
La fine della terapia mi angoscia, sia per il terrore di perderlo, sia al contrario, perché temo che lui non abbia intenzione di aiutarmi a perderlo e a sganciarmi. Infatti lui varie volte ha detto che non vederci più non è una cosa scontata ("chi l'ha detto questo?" oppure "non è detto"). Solo una volta mi ha detto che non si può perchè potrei aver ancora bisogno di lui come terapeuta. L'unica cosa su cui è fermo è a ribadire che non ci possono essere agiti in terapia, e anch'io sempre gli ripeto che non è questo che temo, ma che è il dopo terapia mi spaventa, perchè ho paura che senza preventivare e rielaborare una separazione definitiva continuiamo ad alimentare false speranze, ambivalenze e illusioni nel presente. Ma sul dopo terapia resta vago, nonostante gli abbia più volte chiesto di chiarire e di aiutarmi a mettere dei limiti mentali che mi permettano di uscire dall'illusione infantile edipica che lui mi voglia innamorata di se e per sempre (come mio padre), e a permettermi di crescere. Lui dice che crescere vuol dire scegliere i propri limiti, che solo un bambino ha bisogno che gli vengano imposti da qualcun'altro. Ma io sento in realtà che ho bisogno che lui rinunci ad un atteggiamento ambiguo che mi mantiene innamorata e vorrei solo essere rassicurata sulle sue intenzioni altruistiche, sulla sua volontà di superare l'empasse, sennò continuo a restare nel sogno infantile e mi sento paralizzata, alienata dalla realtà, e ultimamente ho la paura di essere dal terapeuta sbagliato. Lui ha talvolta accennato alla sua ambivalenza, e temo che non riesca a uscire da questa situazione controtransferale, oppure semplicemente non riesca a rinunciare a tutte queste gratificazioni. Ed io sento che non ce la faccio da sola a deludere la sua volontà più segreta, a non compiacerlo a costo della mia vita, e a liberarmi. Senza una sua mossa altruistica non mi sento nemmeno meritevole di diventare adulta.
Penso che il mio terapeuta abbia una grande capacità di amare i suoi pazienti, che ami la sua professione e abbia molta sensibilità nel percepire le emozioni in gioco e fare da cassa di risonanza. Il mio rapporto interrotto coi miei genitori è ripreso ed è buono, la mia depressione, la rabbia e la paura sono diminuite tantissimo, ora riesco a lavoricchiare, ma ancora sono in un totale vuoto di senso e di scopo depressivo e lo scarso desiderio sessuale per mio marito non è risolto. Temo, perdurando il mio transfert amoroso da così tanto, che lui lo stia subliminalmente alimentando, e che si senta troppo gratificato per riuscire nel profondo a rinunciarvi. Vorrei che mi dicesse che fuori dalla relazione terapeutica non potremo mai conoscerci. Vorrei che mi mostrasse come possiamo rinunciare a questo amore illusorio, per uscire da questo odioso incantesimo che mi rende una bambina che invecchia e muore.
Domanda: a vostro parere quest'uomo aspetta che sia io, per scelta mia, a uscire da questa mia prigione e dunque sta solo "entrando con due piedi nella scena" che io propongo, oppure nel profondo non vuole che io mi liberi "di lui" e dunque devo valutare se interrompere la terapia?
Sono appunto da 3 anni e mezzo in terapia con il terapeuta in questione, (50enne, sposato, diverse specializzazioni).
Già nella seconda seduta mi ha detto (mentre gli parlavo di mia nonna): "in questo momento sento qualcosa di sessuale per te, nei termini della protezione e dell'accudimento". Dopo la seduta ero in preda ad uno stato di meraviglia paradisiaca, insomma era partito il transfert paterno amoroso che ho tutt'ora, dopo anni di terapia. La terapia procede troppo lentamente, temo soprattutto a causa di questo transfert amoroso-erotico persistente che rende scarsa la mia capacità di focalizzarmi sulla mia guarigione e crescita, e mi fa sentire "irreale" e senza scopo. Mi sento in una sorta di incantesimo d'amore che mi tiene staccata dalla realtà e legata a lui "per sempre". La sensazione è che quando parlo del mio innamoramento (palese transfert paterno) si limita a ribadire macchinalmente che non è lui che amo, e dice: "non è merito mio, e questo per me è anche molto frustrante!". Avendo io paura di scomparire dal suo pensiero fuori seduta, per rassicurarmi mi ha detto che è andato in supervisione per me e "quando un terapeuta pensa ad una paziente più del normale va in supervisione. Comunque te sei fissata col pensiero, ma esiste anche qualcosa di più viscerale, più profondo, più intimo del pensiero". Dopo 1 anno di terapia, dopo alcuni mesi in cui era diventato inspiegabilmente distaccato e la terapia era arenata, mi ha spiegato di provare attrazione sessuale per me e che cercava di capirne l'origine durante le sedute. Mi ha fatto sentire spesso speciale e per 2,5 anni ha sempre risposto ai miei sms. Da un anno l'accordo è che posso scrivergli ma lui non risponde, per evitare malintesi. Quando sente attrazione sessuale in seduta me lo dice, perchè io tendo a non sentirla (a casa sì) e a "farla sentire" a lui. Quando la sento a lui viene sonno.
Molte volte dice cose che io ritengo poco consone, tipo "anche per me questa relazione è molto frustrante, anch'io vorrei qualcosa di più". Oppure "non posso parlarti dei miei sentimenti, non sarebbe terapeutico... Chissà cosa andresti a fare a casa poi!"; e io:"ma non voglio sapere quali sono i tuoi sentimenti, non è questo il problema"; lui: "forse non è il tuo problema, ma è il mio problema". Oppure, dopo un induzione di trance (in me sempre molto blanda) gli ho detto che ero spaventata da lui e lui ha risposto "se le condizioni fossero diverse in questo momento ci sarebbe un avvicinamento, ci sarebbero abbracci....carezze baci e quant'altro". Spesso al mio arrivo arrossisce. Se non fosse un terapeuta, penserei che è innamorato senza via d'uscita. E io mi sento persa nel transfert e spaventata di non riuscire ad uscirne da sola.
La fine della terapia mi angoscia, sia per il terrore di perderlo, sia al contrario, perché temo che lui non abbia intenzione di aiutarmi a perderlo e a sganciarmi. Infatti lui varie volte ha detto che non vederci più non è una cosa scontata ("chi l'ha detto questo?" oppure "non è detto"). Solo una volta mi ha detto che non si può perchè potrei aver ancora bisogno di lui come terapeuta. L'unica cosa su cui è fermo è a ribadire che non ci possono essere agiti in terapia, e anch'io sempre gli ripeto che non è questo che temo, ma che è il dopo terapia mi spaventa, perchè ho paura che senza preventivare e rielaborare una separazione definitiva continuiamo ad alimentare false speranze, ambivalenze e illusioni nel presente. Ma sul dopo terapia resta vago, nonostante gli abbia più volte chiesto di chiarire e di aiutarmi a mettere dei limiti mentali che mi permettano di uscire dall'illusione infantile edipica che lui mi voglia innamorata di se e per sempre (come mio padre), e a permettermi di crescere. Lui dice che crescere vuol dire scegliere i propri limiti, che solo un bambino ha bisogno che gli vengano imposti da qualcun'altro. Ma io sento in realtà che ho bisogno che lui rinunci ad un atteggiamento ambiguo che mi mantiene innamorata e vorrei solo essere rassicurata sulle sue intenzioni altruistiche, sulla sua volontà di superare l'empasse, sennò continuo a restare nel sogno infantile e mi sento paralizzata, alienata dalla realtà, e ultimamente ho la paura di essere dal terapeuta sbagliato. Lui ha talvolta accennato alla sua ambivalenza, e temo che non riesca a uscire da questa situazione controtransferale, oppure semplicemente non riesca a rinunciare a tutte queste gratificazioni. Ed io sento che non ce la faccio da sola a deludere la sua volontà più segreta, a non compiacerlo a costo della mia vita, e a liberarmi. Senza una sua mossa altruistica non mi sento nemmeno meritevole di diventare adulta.
Penso che il mio terapeuta abbia una grande capacità di amare i suoi pazienti, che ami la sua professione e abbia molta sensibilità nel percepire le emozioni in gioco e fare da cassa di risonanza. Il mio rapporto interrotto coi miei genitori è ripreso ed è buono, la mia depressione, la rabbia e la paura sono diminuite tantissimo, ora riesco a lavoricchiare, ma ancora sono in un totale vuoto di senso e di scopo depressivo e lo scarso desiderio sessuale per mio marito non è risolto. Temo, perdurando il mio transfert amoroso da così tanto, che lui lo stia subliminalmente alimentando, e che si senta troppo gratificato per riuscire nel profondo a rinunciarvi. Vorrei che mi dicesse che fuori dalla relazione terapeutica non potremo mai conoscerci. Vorrei che mi mostrasse come possiamo rinunciare a questo amore illusorio, per uscire da questo odioso incantesimo che mi rende una bambina che invecchia e muore.
Domanda: a vostro parere quest'uomo aspetta che sia io, per scelta mia, a uscire da questa mia prigione e dunque sta solo "entrando con due piedi nella scena" che io propongo, oppure nel profondo non vuole che io mi liberi "di lui" e dunque devo valutare se interrompere la terapia?
[#1]
Gentile utente,
le consiglierei di riproporre la stessa richiesta nella sezione "psicologia".
Il mio parere professionale è: lasci perdere, questa non è una psicoterapia!
Il comportamento del terapeuta da quello che riferisce a mio parere è gravemente scorretto. Il terapeuta doveva interrompere le sedute, non riferire a lei che stava andando in supervisione a causa sua, che è un comportamento molto seduttivo.
le consiglierei di riproporre la stessa richiesta nella sezione "psicologia".
Il mio parere professionale è: lasci perdere, questa non è una psicoterapia!
Il comportamento del terapeuta da quello che riferisce a mio parere è gravemente scorretto. Il terapeuta doveva interrompere le sedute, non riferire a lei che stava andando in supervisione a causa sua, che è un comportamento molto seduttivo.
Franca Scapellato
[#3]
Gentile Signora,
condivido pienamente quanto scritto dalla dott.ssa Scapellato: in primo luogo, se dopo tre anni e mezzo (!) di sedute la situazione è quella da Lei descritta non mi pare che si possa definire un percorso efficace; in seconda istanza, i dialoghi che Lei ha riportato anche a me paiono del tutto fuori luogo e poco corretti dal punto di vista deontologico.
Non lo ha precisato, per cui, posso solamente ipotizzare che si tratti di uno psicologo psicoterapeuta: ha controllato la sua iscrizione all'Albo?
https://areariservata.psy.it/cgi-bin/areariservata/albo_nazionale.cgi
Per maggior completezza inoltre le allego ciò che il Codice Deontologico, a cui ogni Psicologo è tenuto ad attenersi, recita tra l'altro:
"Articolo 3 - Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell'individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell'esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri [...]
"Articolo 26 - Lo psicologo si astiene dall'intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l'efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.[..]"
"Articolo 27 - Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l'interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi."
"Articolo 28 - [...] Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale.[...]"
Nella speranza di esserle stata d'aiuto a chiarire almeno in parte i suoi dubbi, le invio cordiali saluti.
condivido pienamente quanto scritto dalla dott.ssa Scapellato: in primo luogo, se dopo tre anni e mezzo (!) di sedute la situazione è quella da Lei descritta non mi pare che si possa definire un percorso efficace; in seconda istanza, i dialoghi che Lei ha riportato anche a me paiono del tutto fuori luogo e poco corretti dal punto di vista deontologico.
Non lo ha precisato, per cui, posso solamente ipotizzare che si tratti di uno psicologo psicoterapeuta: ha controllato la sua iscrizione all'Albo?
https://areariservata.psy.it/cgi-bin/areariservata/albo_nazionale.cgi
Per maggior completezza inoltre le allego ciò che il Codice Deontologico, a cui ogni Psicologo è tenuto ad attenersi, recita tra l'altro:
"Articolo 3 - Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell'individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell'esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri [...]
"Articolo 26 - Lo psicologo si astiene dall'intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l'efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.[..]"
"Articolo 27 - Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l'interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi."
"Articolo 28 - [...] Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale.[...]"
Nella speranza di esserle stata d'aiuto a chiarire almeno in parte i suoi dubbi, le invio cordiali saluti.
Dr.ssa Paola Scalco, Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica
ASTI - Cell. 331 5246947
https://whatsapp.com/channel/0029Va982SIIN9ipi00hwO2i
[#4]
Utente
Gentile dottoressa Scalco,
La ringrazio della risposta. A suo tempo ho controllato tutto, iI mio terapeuta è iscritto all'albo e ha almeno due specializzazioni in psicoterapia accertate. Ha anche una posizione di responsabilità a livello di una scuola di psicoterapia, ma non dico di più per non renderlo riconoscibile.
Ne ho parlato con lui e mi è sembrato che la situazione di seduzione fosse un riflesso di ciò che lui percepiva, delle mie proiezioni su di lui. Mi sembra di capire da ciò che dice che il suo modo di fare terapia è entrare nella scena proposta dal paziente! E che è pronto ad uscirne, "ma si cambia insieme". In effetti dopo averne parlato e dopo le sue rassicurazioni sul fatto che se la terapia finisse ora non ci vedremmo più (ma sul futuro non può dirlo, perchè non può leggere nel futuro) mi sento molto meglio. Forse è successo proprio quello che lui voleva. Quando ho deciso che mi bastava questa soffocante riedizione del passato e ho scelto di "guarire" lui mi ha seguito. Mi sembra di stare meglio, mi sento meno impotente. È come se la scelta di uscire dalla posizione di "schiava" del bisogno di amore di mio padre sia arrivata al capolinea. E dunque ho detto al padre-terapeuta di staccarmisi di dosso.... E lui mi sembra che, nella sue risposta,rifletta bene il mio piccolo passo fuori dalla "prigione".
Scrivervi mi è stato molto utile per fare questa scelta adulta. Le vostre risposte mi sono servite per capire che così non eravamo in una posizione corretta e produttiva e darmi una bella svegliata.. Ovviamente non sono sicura al 100% che il mio terapeuta non abbia in tutto questo fatto degli errori. Ma mi sento di vedere un pò se la situazione continua a migliorare. Che ne pensate? Potrebbe essere che questo terapeuta abbia un metodo così "forte"? In effetti lui ha sempre detto che lui è disposto a cambiare per impazienti e che lui è disposto ad essere come io voglio che sia....
Oggi sposterò la domanda nella sessione corretta.
Grazie ancora, saluti.
La ringrazio della risposta. A suo tempo ho controllato tutto, iI mio terapeuta è iscritto all'albo e ha almeno due specializzazioni in psicoterapia accertate. Ha anche una posizione di responsabilità a livello di una scuola di psicoterapia, ma non dico di più per non renderlo riconoscibile.
Ne ho parlato con lui e mi è sembrato che la situazione di seduzione fosse un riflesso di ciò che lui percepiva, delle mie proiezioni su di lui. Mi sembra di capire da ciò che dice che il suo modo di fare terapia è entrare nella scena proposta dal paziente! E che è pronto ad uscirne, "ma si cambia insieme". In effetti dopo averne parlato e dopo le sue rassicurazioni sul fatto che se la terapia finisse ora non ci vedremmo più (ma sul futuro non può dirlo, perchè non può leggere nel futuro) mi sento molto meglio. Forse è successo proprio quello che lui voleva. Quando ho deciso che mi bastava questa soffocante riedizione del passato e ho scelto di "guarire" lui mi ha seguito. Mi sembra di stare meglio, mi sento meno impotente. È come se la scelta di uscire dalla posizione di "schiava" del bisogno di amore di mio padre sia arrivata al capolinea. E dunque ho detto al padre-terapeuta di staccarmisi di dosso.... E lui mi sembra che, nella sue risposta,rifletta bene il mio piccolo passo fuori dalla "prigione".
Scrivervi mi è stato molto utile per fare questa scelta adulta. Le vostre risposte mi sono servite per capire che così non eravamo in una posizione corretta e produttiva e darmi una bella svegliata.. Ovviamente non sono sicura al 100% che il mio terapeuta non abbia in tutto questo fatto degli errori. Ma mi sento di vedere un pò se la situazione continua a migliorare. Che ne pensate? Potrebbe essere che questo terapeuta abbia un metodo così "forte"? In effetti lui ha sempre detto che lui è disposto a cambiare per impazienti e che lui è disposto ad essere come io voglio che sia....
Oggi sposterò la domanda nella sessione corretta.
Grazie ancora, saluti.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 15.7k visite dal 28/06/2014.
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