Tumore della prostata: a volte è meglio la sorveglianza attiva
A queste conclusioni sembra portarci un recente studio, condotto da alcuni ricercatori dall’Istituto Nazionale dei Tumori e dall'Università di Milano, che ha permesso di verificare nel corso di ben undici anni come un tumore della prostata non “aggressivo” (uno su tre), anche a distanza di cinque anni dalla diagnosi, possa risultare silente e cioè senza sintomi, metastasi o morti nel 50% dei casi, evitando in questo modo tutti gli effetti indesiderati di un eventuale trattamento oncologico importante e comunque non urgente.
Sappiamo che il tumore della prostata è il problema oncologico maschile più frequente, dopo i 50 anni, con circa 36.000 nuove diagnosi in un anno e di questi uno su tre potrebbe appunto giovarsi di questo programma di sorveglianza attiva che comunque prevede due controlli clinici urologici annuali, quattro determinazioni del PSA e, al termine del primo anno e periodicamente, anche una ripetizione della biopsia.
Si passa in sostanza da una medicina che vede il paziente solo in un ruolo tradizionale e “passivo” ad una medicina “attiva”, cioè personalizzata, dove si sceglie la corretta strategia clinica sempre insieme al paziente e per questo motivo è di fondamentale importante condividere tutto ciò con più figure professionali, quali: urologi, chirurghi, radiologi, oncologi, anatomopatologi e psicologi.
Nello specifico lo studio in questione ha preso in carica 818 pazienti con tumore della prostata a basso rischio, sottoposti a monitoraggio per cinque anni, il 50% dei pazienti ha continuato a seguire questo protocollo conservativo; in questo periodo di tempo non si è verificato alcun decesso o sviluppo di metastasi e si può ben affermare che la metà dei pazienti, arruolati nella ricerca, ha evitato così tutti gli eventuali e possibili effetti indesiderati, come disturbi dell’erezione, dell’eiaculazione ed incontinenza urinaria, legati ad una strategia terapeutica più aggressiva ma forse non appropriata e necessaria.
Si è forse all’inizio di un nuovo modo di affrontare questo tumore, “fatto di interventi mirati e non esagerati”, come ha detto Enzo Lucchini, Presidente dell’Istituto Nazionale dei Tumori, e comunque, quando si parla di Sorveglianza Attiva, ci si riferisce ancora ad una strategia di intervento giovane e quindi perfettibile.
Il Programma Prostata consiglia un “atteggiamento osservazionale” solo ai pazienti con malattia a basso o molto basso rischio in alternativa ai vari trattamenti radicali, più aggressivi come la prostatectomia, la radioterapia e la brachiterapia.
In questa prospettiva l’Istituto ha previsto oltre venti linee di ricerca preclinica, clinica, epidemiologica e psicologica-relazionale ma anche l’attivazione di una banca per la raccolta del materiale biologico a partire dal 2007 e ha ora promosso un’attività importante di formazione, educazione, comunicazione e di sensibilizzazione implementando così diverse iniziative per raccoglie fondi adeguati.
Ricerche future prevedono poi una maggiore accuratezza nelle biopsie prostatiche (attraverso l’impiego della risonanza magnetica), una maggiore partecipazione dell’anatomopatologo con l’intenzione di riuscire a eseguire una caratterizzazione biologica più precisa per poter così predire con più accuratezza se e per quanto tempo il paziente in questione, che ha un tumore alla prostata, potrà giovare di un programma di sorveglianza attiva.
Fonte:
http://www.istitutotumori.mi.it/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=943
Altre informazioni:
https://www.medicitalia.it/salute/urologia/7-prostata.html