Ipertrofia prostatica e cancro della prostata: approfondimenti
Durante il Congresso Europeo di Urologia il prof Keong Tatt Foo (SG) ha cercato di definire le differenze fra IPP (protrusione intravescicale prostatica o ipertrofia trilobata della prostata) e la classica BPH (ipertrofia prostatica benigna).
L’IPP in pratica è una manifestazione della BPH che causa una ostruzione al flusso urinario progressiva ed ingravescente con graduale incremento del residuo urinario post-minzionale sino alla ritenzione completa d’urina situazione in cui è necessario posizionare catetere vescicale transuretrale e programmare un intervento chirurgico disostruttivo.
La semplice BPH senza IPP invece, nonostante l’aumento volumetrico della prostata determina una sintomatologia ostruttiva più lieve, maggiormente sensibile alla terapia medica.
La IPP si diagnostica semplicemente con un esame ecografico sovrapubico dove si mette in evidenza il grado di protrusione della prostata all’interno della vescica.
Questo dato non deve essere usato singolarmente nella valutazione del grado di ostruzione, sarebbe come “il cieco che descrive un elefante”, ma ovviamente va integrato con la sintomatologia clinica rilevata con l’utilizzo di appositi questionari (IPSS = International Prostate Symptoms Score) ed i valori della uroflussometria (velocità di svuotamento vescicale) con valutazione del residuo post-minzionale. L’analisi di tutti questi parametri aiuta il medico ad adattare la terapia alle esigenze del paziente.
Durante la stessa sessione il Prof. David Crawford (USA) ha sottolineato la necessità di una ridefinizione del ruolo del biomarcatore PSA (antigene prostatico specifico) dicendo che al momento non abbiamo un marcatore che aiuta a decidere in maniera insindacabile quale paziente necessita di biopsia o re-biopsia della prostata. Si stanno studiando biomarcatori che ci aiutino ad individuare precocemente i soggetti affetti da cancro della prostata e nell’ambito di questi quelli che effettivamente trarrebbero benefici dal trattamento.
Secondo molte organizzazioni, i medici non dovrebbero richiedere il PSA come esame di screening senza una scelta informata. La decisione dovrebbe derivare solo dalla integrazione di altri fattori come ad esempio, la percezione della presenza di noduli prostatici rilevati durante la visita o attraverso un esame ecografico.
Si è poi parlato dell’utilità di altri biomarcatori come il 4K score test, il PCA3 ed il pro-PSA, che al momento sono utili soprattutto ad individuare chi effettivamente necessita di una ripetizione di biopsia prostatica ed individuare più precocemente forme aggressive di cancro aiutando a differenziare ulteriormente il percorso diagnostico di ogni singolo paziente.