Le Ragazze Fuori di Seno sul Corriere della Sera
Il Dr. Salvo Catania è l'autore di questo pezzo sul Corriere della Sera che pone l'attenzione sul delicato compito della comunicazione in ambito medico-scientifico: in questo periodo di pandemie sembra necessario più che mai pesare le parole, quando si tratta di salute!
Cosa insegna l'esperienza di narrare gravi malattie
Noi e il Covid: È pregevole l’intenzione di rassicurare la popolazione, a partire dai giovani, ma quando si danno informazioni ambigue passano messaggi pericolosi
di Salvo Catania chirurgo oncologo, moderatore-facilitatore del Blog Ragazze Fuori di Seno
Nessuno sa se ci sarà una seconda ondata della pandemia.Tutti ci rassicurano che ora abbiamo imparato a contenerla, ma dall’esperimento psicologico in corso nel Blog Ragazze Fuori di Seno (medicitalia.it) sembra che non tutti abbiano imparato dalla recente esperienza a comunicare le cattive notizie: medici, giornalisti e politici. Il blog nato nel 2010, diventato in contenuti il primo al mondo di Medicina Narrativa, è animato da 1.200 donne con tumore al seno di 4 continenti con 250.000 commenti equivalenti nel cartaceo a 450 volumi di 225 pag/cad.
Narrare l’esperienza di una grave malattia è una strategia che può aiutare il paziente a rimettere insieme i suoi pezzi che la stessa ha frammentato. Quando una persona si ammala è ferita non solo nel corpo, ma soprattutto nel suo senso di orientamento, come se avesse perso ogni punto di riferimento. Si crea una separazione, come vivere dentro un acquario: tu vedi il mondo fuori, diverso, e gli altri non possono entrare anche perché la gente intorno prende le distanze. Pensa cosa gli posso dire? E finisce per non dire nulla. Il medico può decidere se entrare nell’acquario anche se il percorso scolastico l’ha formato paradossalmente a restarne fuori, perché noi medici siamo addestrati a lenire il dolore o annullarlo del tutto con l’uso di anestetici, mentre non siamo stati preparati all’idea di generare dolore somministrando cattive notizie o peggio sentenze di morte. Il blog — nonostante che alla paura del cancro, alle difficoltà di accedere ai controlli e terapie si fosse aggiunta la paura del nuovo e invisibile nemico — ha retto in tutta la fase del lockdown all’infodemia schizofrenica dell’informazione, rifugiandosi nella narrazione, condivisa dentro l’acquario senza mai perdere in resilienza, che considera la speranza una passione rivoluzionaria che anticipa il meglio mentre si vive il peggio. Diventare resiliente nulla ha a che vedere con il coraggio. Abbiamo infatti abbandonato da anni il linguaggio guerresco enfatizzato dai media, secondo il quale per affrontare il cancro occorre coraggio e tenacia, per adottare invece la strategia opposta del «Calati juncu ca passa la china»: il giunco non si oppone… non avrebbe scampo… lascia passare la piena e riemerge più forte di prima. Ha retto bene all’infobesità delle fake news dei No Mask, No Vax, e No Brain. Ha retto bene persino dinnanzi alla prospettiva della morte, allenati a includerla nell’orizzonte degli eventi naturali. Sino al 31 maggio! Ma quando è arrivato lo tsunami negazionista del «virus inesistente» è imploso ed esploso con una reazione di rabbia inusitata per un blog dove siamo temprati a usare il tasto «ignore» all’arrivo di informazioni destabilizzanti.
La reazione più vivace da parte delle utenti che avevano contratto il Covid inesistente e l’avevano superato e delle utenti che avevano perso un familiare «relativamente giovane e senza alcuna patologia associata». Perché allora la negazione risulta così intollerabile e provoca tali reazioni che all’apparenza possono sembrare spropositate?
Spesso chi deve comunicare un risultato scientifico o assumere decisioni pubbliche teme che la manifestazione dell’incertezza sia considerata un segnale d’incompetenza. Diversi recenti studi hanno suggerito che una comunicazione trasparente dell’incertezza potrebbe contribuire invece ad accrescere la fiducia nelle istituzioni, non a minarla. Molti credono che per rassicurare le persone basti il proprio Impact Factor « Io sono più scienziato degli altri», trascurando quelli più importanti tra cui l’Empathy Factor e Credibility Factor. Queste reazioni non devono stupire e si spiegano perché viene disattesa la regola-base di come si dovrebbero comunicare le cattive notizie (How to Break Bad News –R.Buckman 1992): «Una iper-rassicurazione compensatoria è l’opzione più pericolosa perché allontana dalla situazione reale, che è in continua evoluzione», che anche il maestro Umberto Veronesi aveva semplificato: «Pessimisti sulla diagnosi e ottimisti sulla prognosi». La comunicazione vaga, ambigua e ambivalente genera diffidenza e i richiami inappropriati alla positività e all’ottimismo hanno un effetto paradosso in chi, non riuscendo a essere positivo a comando, si angoscia ancora di più.
È sicuramente pregevole la buona intenzione di voler rassicurare tutta la popolazione a partire dai giovani, ma quando si danno informazioni ambigue, perché l’unica cosa certa è che il virus non è mutato e cosa accadrà nei prossimi mesi nessuno lo sa, del tipo «giovani andate in vacanza, divertitevi e siate positivi perché il virus è scomparso e i morti ci sono solo tra i suscettibilivulnerabili-fragili», passa un doppio messaggio: da una parte rassicurante per molti giovani che però abbassano la guardia e tornano dalle vacanze «positivi» come da raccomandazione negazionista, spesso asintomatici, ma vanno a contagiare i genitori o i nonni, visto che in Italia abbiamo la più alta densità di bamboccioni in casa.
Passa però contemporaneamente un messaggio terroristico per i soggetti inclusi nella categoria a più alto rischio e cioè i suscettibili-vulnerabili-fragili. Quanti sono? Più di metà della popolazione: ipertensione arteriosa (16 milioni di persone), età over 65 anni (14 milioni e di questi 7 milioni over 75), obesità (9 milioni), survivors a tumori (3,5 milioni), insufficienza respiratoria (3,5 milioni), malattie autoimmuni (2,5 milioni), malattie cardiovascolari (1,5 milioni), insufficienza epatica e renale (1 milione), cui vanno aggiunti 7,5 milioni di persone che in questo inverno hanno contratto l’influenza, poiché uno studio recente ha mostrato in questo campione un fattore di rischio aggiuntivo che può favorire una evoluzione negativa del Covid 19.
Fonte
- Il Corriere della Sera