Umberto Veronesi artefice della Rivoluzione oncologica e culturale in Senologia
Quando mi sono laureato in Medicina e mi sono trasferito a Milano nel 1974 ho avuto, frequentando per più di un decennio l'Istituto dei Tumori di Milano, il privilegio di assistere a due eventi epocali e rivoluzionari per i cambiamenti culturali che determineranno in tutto il mondo e non solo in Italia in campo dell'oncologia senologica.
Per la prima volta una giovane donna, Ada Burrone, in Italia riconosce, fatto clamoroso, la sua condizione di donna mastectomizzata anzi di supermastectomizzata (trattandosi di una mastectomia allargata) e chiama a raccolta altre donne di pari condizioni, fondando l'associazione ATTIVECOME PRIMA (1973)
Tutto ciò accadeva mentre il tumore del seno subiva un radicale rinnovamento diagnostico e terapeutico, artefice principale Umberto Veronesi. Infatti considerato sino a metà del secolo come praticamente incurabile, le poche guarigioni erano ottenute al prezzo di dolorose mutilazioni e di terapie radiologiche aggressive e invalidanti.
Sino a quel momento l'unica opzione chirurgica disponibile per tutti i tipi di cancro al seno, di qualsiasi dimensione o stadio, era la classica mastectomia sec. Halsted risalente alla pubblicazione originale del 1894.
Proprio nel 1973 anno di fondazione di attivecomeprima, l'Istituto dei Tumori di Milano presenta il Trial Milano I che si concluderà nel 1981.
Il trial confrontava un campione di pazienti trattate con mastectomia con un campione di pazienti trattate con quadrantectomia+ radioterapia.
Questo studio che può essere considerato come la pietra miliare della moderna chirurgia della mammella, fu fortemente voluto contro tutto e contro tutti grazie alla tenacia di Umberto Veronesi.
Basti pensare che l'OMS aveva respinto il progetto iniziale di Umberto Veronesi perchè giudicato non etico forse a causa dei precedenti fallimenti di diversi altri studi con analoghe finalità. In particolare quello inglese del 1972 (Atkins et al.) che aveva fallito tutti i suoi obiettivi, consolidando le convinzioni dei "radicalisti" sostenitori della mastectomia, perchè dimostrò non solo un aumento significativo delle recidive, ma anche della mortalità nel campione delle pazienti trattate con terapia conservativa.
Ci voleva un bel coraggio a riproporre uno studio , che in assenza di sperimentazioni, avrebbe potuto portare i conduttori dello stesso ad un fallimento e, cosa più grave sul piano etico, le pazienti verso un futuro incerto e pericoloso. Qui la grande intuizione di Veronesi e di tutta l'equipe dell'Istituto dei Tumori che l'affiancava: aver compreso che i risultati poco incoraggianti dei colleghi inglesi del Guy's Hospital fossero dovuti alla scelta terapeutica, con una chirurgia che non asportava i linfonodi ascellari anche se positivi ed una radioterapia alla mammella a dosaggio troppo basso (30 Gy). Da qui fu giocoforza proporre una correzione significativa allo studio inglese: trattamento con ampia resezione (quadrantectomia) della mammella associata a resezione ascellare totale seguita da una radioterapia molto più aggressiva, doppia: 50 Gy più una sovradose sul letto tumorale di 10 Gy.
E Veronesi pur se giovane non era certo uno sconosciuto medico italiano qualsiasi (*), che chiede di far partire uno studio randomizzato strampalato, basti pensare che già nel 1977 riceve il National Award dall'American Cancer Society, uno dei più ambiti riconoscimenti internazionali, con la prestigiosissima motivazione, orgoglio della Sanità italiana, e non solo per i tumori della mammella, ma anche per il melanoma, informazione passata sotto traccia sui media "his outstanding world leadership in surgical oncology and clinical investigation, especially in the fields of breast cancer and melanoma; for representing the ideal multidisciplinary approach to the management of patients with cancer; for his distinguished service as Director of the National Cancer Institute in Milan, Italy, and for his dedication to the goals of the International Union Against Cancer", 1977."
In questo clima di forte ostilità a nuove proposte, solo dopo lunghissime discussioni, il progetto di Veronesi venne accettato. Questo studio doveva essere internazionale e multicentrico tra l'Istituto dei Tumori di Milano, Villejuif di Parigi, di Mosca e di Bucarest.
Ma il contributo in casistica degli istituti non italiani fu di piccola, molto piccola entità, mentre il campione italiano era rappresentato da ben 701 pazienti.
I risultati pubblicati sul New England Journal of Medicine furono clamorosi. Il giorno successivo alla comunicazione Il New York Times uscì con un articolo a 8 colonne in prima pagina. Seguito da tutti i maggiori quotidiani e periodici americani
". I dati erano inequivocabili: non c'è alcuna differenza di probabilità di guarigione tra le due tecniche. Il primato della mastectomia, che aveva l'obiettivo di salvare la vita era stato superato dalla nuova quadrantectomia che non solo salvava la vita, ma anche la sua qualità. Fu una rivoluzione in tutto il mondo. Il "New York Times" uscì con un articolo in prima pagina su otto colonne, ma anche il "Los Angeles Times", e il "Washington Post" fecero da cassa di risonanza e il passaparola diffuse nel mondo femminile la convinzione che nessuna donna doveva più accettare la mastectomia come principio. Fu un capovolgimento fondamentale per la storia dei tumori perché stabilì almeno tre capisaldi su cui si fonda la moderna oncologia: l'importanza della diagnosi precoce, il principio della cura minima efficace, l'attenzione alla dimensione psicologica della malattia.
............all'amico Paolo Veronesi e famiglia.
(*) Perchè Umberto Veronesi è anche tanto...altro: maestro di vita, a volte persino trasgressivo.
Ricordo benissimo quando mi ritrovai nel suo studio all'IEO nel 1994, appena inaugurato. Alberto Costa gli aveva fatto il mio nome per organizzare dei programmi di formazione per i medici di base ed affidarmi una relazione sul ruolo dei medici di base ed una altra relazione sulla diagnostica integrata da tenere insieme agli amici Stefano Zurrida ed Enrico Cassano nel primo Convegno che si è tenuto all'IEO. Doveva essere una investitura formale di pochi minuti, poi la conversazione si è spostata invece sui "diritti dei malati", essendo entrambi componenti del Comitato scientifico di Attivecomeprima. Lo ascoltavo affascinato riguardo al suo personale decalogo di diritti del malato, che mi elencò con pazienza uno ad uno come inalienabili. Si soffermò in particolare sul diritto numero 9 "Esprimere le volontà anticipate ": il cittadino, temendo domani di non avere la possibilità di esprimersi, deve poter rifiutare, anticipatamente, una condizione di vita artificiale, come lo stato vegetativo, cioè ha diritto di esprimere il proprio testamento biologico.
Eravamo nel 1994 ed il messaggio all'epoca era da considerare veramente trasgressivo. In quel momento vedevo Veronesi come Robespierre nella rivoluzione francece. Lo avevo visto sempre sorridente e pacato, ma parlando dei diritti inalienabili dei malati e doveri dei medici, l'ho visto determinato e inconciliabile.
Ma dentro di me quel messaggio fu deflagrante al punto da farmi riflettere per gli anni successivi sino a che lo sposai incondizionatamente, al punto da inserire nel 2007 il mio testamento biologico nella Home Page del mio sito
httphttp://www.senosalvo.com/il_mio_testamento_biologico.htm://www.senosalvo.com/il_mio_testamento_biologico.htm
e addirittura nel 2014 il giorno dopo la morte di Ada Burrone, sempre più convinto, ho "marchiato" la mia scelta filosofica sul fine vita, tramite un tatuaggio sull'avambraccio sinistro (c'è la vena dove sarebbe più agevole inserire una agocannulla in caso di eventuali accanimenti)