
Figli "giovani adulti": come convivere con i genitori?

.. si superano i 20, e poi i 25, si scavalcano i 30 anni, eppure si abita ancora con i propri genitori. Scelta? Ripiego? Paura? Incastro?
Sono molti i figli e le figlie che pongono il problema a noi Psicologhe, chiedendoci di aiutarli nella decisione.
L'uscire dalla famiglia d'origine passa attraverso importanti passi interiori, talvolta difficili.
Richieste di aiuto
Ci scrive un figlio 24enne:
Domanda: Ho un problema che mi affligge da ormai troppo tempo, cioè il rapporto tra me e mio padre; una persona all’antica e che sfrutta qualsiasi sventura per criticare. E’ una brava persona che ha fatto molti sacrifici, era presente come figura paterna. Tuttavia il suo problema é la sua lingua e il modo suo di ragionare.
Risposta: La descrizione che Lei fa di suo padre sembra evocare un genitore un po' all'antica. Qualche anno fa i padri erano per la gran parte così: autoritari, esigenti. Oggi sono stati sostituiti dai padri compagnoni, apparentemente più gradevoli, ma non sempre evolutivamente utili per i figli. Dico questo affinché Lei possa iniziare a "distanziarsi emotivamente" dalla situazione conflittuale che sta vivendo e che per decenni ha caratterizzato le relazioni con i genitori nella fase della piena adolescenza.
Replica: Che significa "distanziarsi emotivamente" dalla figura paterna? Significa staccarsi? Non volergli più bene?
Risposta: Significa innanzitutto:
- accettare con coraggio e paura di essere una persona autonoma, accettare cioè l'ambivalenza che caratterizza questa fase di crescita
- conoscere e comprendere le dinamiche tipiche di tale fase del ciclo di vita familiare
- conoscere e accettare i compiti di sviluppo personale che ognuno dei membri è chiamato ad affrontare.
L'ambivalenza, sentimenti contrastanti nello stesso momento.. Entrambi - figli e genitori - desiderano qualcosa di nuovo nella loro relazione, e percepiscono che qualcosa di importante sta avvenendo. Ma allo stesso tempo hanno paura, non sanno 'cosa' e 'come' fare, e faticano ad agire il cambiamento con serenità e naturalezza. E di conseguenza
- o "strappano"
- o rimangono "intrappolati."
La citazione riporta un consulto sulla tematica figli-genitori, in quella delicata fase in cui i primi stanno uscendo dall’adolescenza e chiedono di essere riconosciuti dai genitori come "giovani adulti" e i genitori faticano a lasciarli andare. Le richieste di aiuto e di chiarimento che giungono online e in presenza sono moltissime, da parte dei genitori ma soprattutto da parte della generazione giovane.
Gli spunti di punti di riflessione e le informazioni presentate in questa News riguardano:
-
- i figli e figlie tra 20 e 35 anni denominati "giovani adulti",
- i genitori,
- ma anche i nonni e le nonne, frequentemente chiamati a fare da cuscinetto tra le generazioni.
La "Psicologia del ciclo di vita" ci aiuterà.
Una relazione in costante trasformazione
Prendiamo in considerazione innanzi tutto la relazione tra genitori e figli nella fascia di età tra i 20 e i 35 anni, denominati "giovani adulti". Chiariamo che il termine "figli" denomina figli e figlie (la lingua italiana è così) ; e "genitori" connota la coppia genitoriale di ogni tipo e, talvolta, il genitore unico.
La famiglia è un "sistema" in continua evoluzione e trasformazione nel tempo e negli anni, anche se a volte sembra rimanere uguale a se stessa. Il cambiamento di uno dei componenti ha ripercussioni su tutti i membri dell'intera famiglia, come in ogni "sistema". Separazione, crescita del figlio, morte dei nonni, nuova nascita, tradimento, ne sono qualche esempio: quel che accade ad uno si riversa inevitabilmente su tutti, ma da punti di vista differenti.
Il punto di vista dei genitori e quello dei figli
I genitori
Ci sono enormi differenze tra l'avere un figlio neonato, un bambino di sette-otto anni o un adolescente che li sfida. E poi ci sono le difficoltà di quando i figli si avvicinano all'età adulta.
Vedova, ho figlie maggiorenni che vivono con me. Mi sento dire tantissime cattiverie e mi strattonano. Forse perchè ho trovato un amore?
I genitori sono chiamati costantemente ad adattare il loro modo di relazionarsi a seconda dell'età dei figli. Non è raro che si sentano sopraffatti quando si trovano di fronte a ragazzi e ragazze ormai grandi, che chiedono di essere riconosciuti come adulti a tutti gli effetti, che chiedono di avere una propria vita ma pretendono di continuare a vivere con loro.
I figli
Anche i figli vivono la trasformazione, centrandola su di sè con una certa istintiva consapevolezza della propria crescita e spesso con rivendicazione.
Ogni fase della crescita rappresenta per loro un passo verso la propria autonomia, accompagnato dalla gioia di crescere e dall'ansia dei progetti per il futuro. Ma anche dalla fatica di vedersi ri/conosciuti (ossia nuovamente conosciuti) in casa. E sono impietosi di fronte al genitore che non si rende conto del cambiamento:
Controlla la mia vita romantica e sessuale anche se ho 30 anni.
Mi tratta come un bambino.
Qualcuno va via di casa esserne esserne pronto, quasi fuggitivo, accontentandosi di lavoretti precari e di sistemazioni provvisorie.
Entrambi
Le cause stanno nell'incapacità, da entrambe la parti,
- di gestire il conflitto senza farsene sommergere,
- di negoziare soluzioni intermedie possibili,
- di so/stare con pazienza nell'incertezza, finchè le ali per volare sono pronte.
I figli sono ora giovani adulti
Molti genitori vivono la crescita dei figli come il proprio esame di laurea:
"se mio figlio diventa un bravo adulto vuol dire che io ho educato bene; altrimenti vuol dire che ho fallito come genitore".
E ciò rappresenterebbe il fallimento di una vita di impegno e sacrifici. E allora si forza la mano.
Il problema sta nel fatto che il genitore vorrebbe che il figlio diventasse o fosse un adulto come la famiglia lo ha impostato; e non come il figlio - gradualmente - sente e sceglie di essere.
Da questa forbice nascono fraintendimenti, dolori, offese, risentimenti reciproci, che rendono molto faticosa tale fase del "sistema famiglia"; faticosa per genitori e per figli.
Altre volte la madre non riesce ad accettare che il polo della confidenza si sposti verso le coetanee:
Io mamma ho sempre avuto un ottimo rapporto con lui di stima reciproca, si è sempre confidato per qualsiasi cosa. Ma ora che ha la ragazza non facciamo che litigare.
Fase faticosa anche per i nonni, che spesso si trovano a impersonare il difficile ruolo di mediatori, di pacieri. Proprio loro, i nonni, che ben rammentano come i genitori di oggi siano stati figli insopportabili; e proprio nella stessa fase di crescita e per gli stessi motivi che ora si trovano a fronteggiare con i propri figli.
I genitori sono ancor più in difficoltà quando i figli creano essi stessi una propria coppia romantica e sessuale, rendendo con ciò evidente il proprio essere adulti, quasi simili ai genitori. Spesso i genitori non sono pronti a questa nuova tappa, e quindi faticano a riconoscerli nelle caratteristiche loro proprie, frutto di elaborazione personale e delle esperienze della loro ancor giovane vita.
Di conseguenza tendono al controllo, alla precettistica.
La famiglia torna ad essere coppia romantica
C'è un altro elemento critico per i genitori in questa fase di vita, e che frequentemente li rende ancora più preocuupati e reattivi. Quando l'ultimo figlio uscirà definitivamente di casa, loro da coppia genitoriale diventeranno nuovamente e unicamente coppia romantica, come venti o trent'anni prima.
Con la differenza che allora erano innamorati, ora la relazione tra loro può essersi nel frattempo "sfilacciata”.
L'uscita del figlio li obbligherà a guardare in faccia la realtà e questo significa anche mettere mano alla loro relazione di coppia amorosa. Proprio in una fase di scarse energie, nella quale soffrono la sindrome del nido vuoto.
E quando in casa c'è un solo genitore con un unico figlio?
La vedovanza, la separazione, il divorzio rappresentano di per sè ferite gravi nella carne genitoriale, alle quali magari si è sopperito negli anni dedicandosi completamente al figlio.
Se il figlio dovesse andare via di casa, per la madre il rimaneggiamento degli scopi per cui vivere sarebbe enorme e faticoso. Tale da spaventare e cercare di allontanare a tempo indefinito tale eventualità.
Tutto ciò raramente giunge al livello della consapevolezza, per i protagonisti. Ma risulta oltremodo chiaro a noi Psicoterapeuti, che ci occupiamo di dinamiche di coppia e familiari dal punto di vista clinico.
I figli giovani adulti cosa possono fare?
Il figli giovani adulti si dibattono tra mille dubbi, responsabilità, risentimenti.
I giovani adulti sono chiamati dalla vita a prendere le distanze dalle dinamiche sopra descritte.
Che significa "prendere le distanze", "distanziarsi"?
Significa non lasciarsene intrappolare fino al punto da non riuscire a lasciare il nido. Un nido che è stato caldo e accogliente, ma che sta diventando una trappola.
Oppure, all’opposto, a fuggire anzitempo, ben prima prima di sentirsi del tutto pronti. "Strappando", per non soffrire la fatica del distanziamento graduale.
👉🏻L'esperto risponde: Sopportare un padre severo o prorogare i progetti?
Come si fa a distanziarsi emotivamente, senza tagliare definitivamente le proprie radici, senza strappare la relazione e al contempo senza rinunciare a crescere?
Il distanziamento emotivo verso l’autonomia
Una prima forma importante di distanziamento consiste nell’acquisire lucidità su quanto sta avvenendo, sulle dinamiche che intercorrono in famiglia, nelle famiglie.
Siamo ben consapevoli che non è facile per figli 20/35enni mettersi nei panni del genitore in difficoltà; di quel genitore che per tutta l'infanzia è stato percepito come potente e inscalfibile.
Figli che al contempo non devono dimenticare mai la propria progettualità, il proprio gradino successivo verso l’autonomia psichica e operativa. Non è facile tenere insieme i due punti divergenti, ma occorre lavorarci.
Il distanziamento emotivo permette alla prole, ormai alle soglie dell’età adulta, di vivere senza eccessiva rabbia e risentimento gli interventi dei genitori; pur se talvolta francamente inopportuni in quanto dettati da un senso di inadeguatezza e di impotenza. Soprattutto da parte dei padri, che si oppongono in quanto meno "dentro" alla vita emotiva dei figli; le madri soffrono e.. portano pazienza, pur di "non perdere un figlio".
Ognuno dei diversi "attori" della vita familiare "fa il proprio gioco": il genitore tiene stretto con i denti il proprio ruolo e funzione finché proprio non ce la fa più; il figlio tende le braccia verso la porta di casa, perché sa che fuori c'è la vita da adulto, ma talvolta non ha il coraggio di fare il passo.
Per la verità c'è anche il genitore maturo e consapevole, che favorisce magari con fatica il corretto distanziamento. Egli ha avuto ben presenti, fin dal concepimento e lungo tutto il percorso educativo, le parole toccanti e ferme che K. Gibran rivolge ai genitori:
"I figli non sono vostri, essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
Sebbene vivano con voi non vi appartengono.
Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri. Perché essi hanno i propri pensieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, scoccano".
Se l'arco - i genitori - funziona a dovere, e se li lascia andare, i figli cercano e trovano la propria strada.
E' la fase della "famiglia trampolino", nella quale la flessibilità familiare e genitoriale aumenta, allo scopo di sostenere e incoraggiare i figli a varcare la soglie e ad uscire verso l'esterno.
La conoscenza e la consapevolezza di sè, porta i figli ad avere una certa comprensione empatica nei confronti dei genitori, ma allo stesso tempo a preservare intatta la propria volontà di varcare la soglia.
.. due piedi in quattro scarpe... Stare in equiliobrio è difficile.
Figli intrappolati
Una figlia scrive:
Sono una "ragazza" di 28 anni. Purtroppo DA SEMPRE, mia madre è terribilmente ansiosa nei miei confronti, tanto che se voglio fare qualcosa: stare fuori, viaggiare, ecc. senza che venga anche lei con me, cade in un grosso stato di ansia da parte sua... arrivando anche a dirmi: "non farmi ammalare d'ansia" "se vai da sola mi farai morire, poi quando ritorni non mi troverai più". Io purtroppo la assecondo anche troppo! Ma per il semplice fatto che poi mi sentirei subito in colpa. Continuando ad assecondarla, non riesco mai a concludere molto della mia vita, vorrei sentirmi trattata come una pesona adulta e in grado di badare a me stessa.
👉🏻L'esperto risponde: Ho un problema con una madre troppo ansiosa
Quando il figlio, ma più frequentemente la figlia femmina,
- si annulla per i bisogni dei genitori
- percepisce le loro esigenze come superiori alle proprie
- si sente responsabile del loro benessere e della loro serenità
- si sente in colpa per la solitudine di cui il genitore potrebbe soffrire senza di lei
in ognuno di questi casi si preclude la possibilità di varcare quella soglia verso il mondo che sta fuori: si obbliga così a rimanere per sempre figlio, imprigionato in un abbraccio mortale con la famiglia d'origine.
Mortale perché condanna a morte:
- la propria autonomia di vita, di organizzazione, sotto lo sguardo vigile del genitorore: perlopiù la madre
- ogni eventuale propria relazione di coppia, dato che essa implica la necessità di varcare la soglia della famiglia d'origine.
E se accade di formarsi una propria famiglia, il senso di colpa di avere “abbandonato” il genitore, oppure la dipendenza affettiva dalla madre, impedisce di vivere appieno la relazione scelta. Questa figlia 37enne lo descrive con grande lucidità e sofferenza:
Perché non riesco ad avere un sano distacco emotivo dalla mia famiglia di origine?
- abbraccio mortale perchè imprigiona il figlio, anagraficamente adulto, in una età psicologicamente infantile, come quando il solo pensiero di vivere senza i genitori oppure di renderli tristi, suscitava terrore. E ugualmente ora che gli anni sono ormai 25-30-35.
Raggiungere una certa conoscenza di tali dinamiche, soprattutto da parte dei figli, ma più ancora delle figlie, significa al contempo:
- sforzarsi di avere una certa comprensione, empatia e tolleranza nei confronti dei genitori
- ma al contempo a preservare i propri "compiti di sviluppo" e dunque a conservare intatta la propria volontà e progettualità concreta di varcare la soglia
- tollerare l'ambivalenza, cioè accettare di vivere sentimenti contraddittori nei confronti del distanziamento e della uscita dalla casa genitoriale.
Quando i conflitti interiori dovessero costringere all’immobilismo, allora è giunto il momento di chiedere aiuto psicologico. Da parte dei figli perlopiù, in quanto più flessibili, più bisognosi, più motivati.
Ho scritto questo articolo con la mente, con l'esperienza professionale e personale, con il cuore.
- Erikson E., Infanzia e società, Armando, 2008
- Castelli C., Sbattella F., Psicologia del ciclo di vita. FrancoAngeli, 2008
- KloeM., Hendry L., Lo sviluppo nel ciclo di vita. Cambiamenti, sfide e transizioni. Il Mulino, 2021
- Riva Crugnola C., Diventare giovani adulti. Raffaello Cortina Editore, 2024
- Lancini M., Madeddu F., Giovane adulto, la terza nascita. Raffaello Cortina Editore, 2014
- Galland S., Quando i figli crescono e i genitori invecchiano. Costruire legami solidi e il giusto distacco tra genitori e figli adulti, Feltrinelli 2020
- Kloep M., Hendry L., Lo sviluppo nel ciclo di vita. Cambiamenti, sfide e transizioni. Il Mulino, 2021