La sindrome (fake) della capanna: stress e resistenze nell'uscire di casa (post quarantena)

In questi ultimissimi giorni sto leggendo articoli che rimbalzano da testata giornalistica all'altra se non da portale a portale in cui si parla di questa sindrome della capanna (o sindrome del prigioniero) che per alcuni è una definizione coniata dalla psicologa Hernandez, mentre per altri dagli "americani" (tanto per essere il più generici possibile...) in riferimento ai lunghi e rigidi inverni in cui le persone sono costrette ad isolarsi in casa, facendo fatica poi a disabituarsi da questo isolamento e percependo stress nel ritornare alla vita sociale. 

Andiamo per ordine: non sono riuscito a trovare nulla online che rimandi alle fonti primarie mettendo nei motori di ricerca "shed sindrome US" oppure "Hernandez caseta" (capanna in spagnolo) e quindi non posso parlare di una sindrome che per me è un fantasma: una sindrome di cui si scrive e si riscrive tramite fonti indirette.

Si è creata un'abitudine: intelligentemente ci si é adattati ad una nuova realtà!

Non è forse l'adattarsi un aspetto dell'intelligenza?

Allora come capita in molte e svariate situazioni in cui ci si adatta a nuove realtà, che sono riuscite a coinvolgerci nel profondo nel bene e nel male e per un protratto periodo di tempo, il distaccarsi da questa nuova realtà a cui ci eravamo abituati può essere stressante e faticoso.

Parliamo per esempi.

  • Quanto è difficile alla fine di un bellissimo viaggio con cui ci si é trovati bene con i compagni di viaggio sganciarsi poi da loro alla fine?
    Si creano quindi gruppi whatsapp,ci si aggiunge su FB, ci si scrive nei primissimi tempi molto frequentemente, si mandano le foto e le si commentano insieme per cercare di non sganciarsi tout court da quella realtà vissuta insieme e a cui, a livello emotivo e razionale, ci eravamo abituati.
  • Quando finisce un amore invece? Quanto é difficile per alcuni affrontare i primi periodi post rottura? (Anche per chi lascia non solo per chi è lasciato).
    Questo potrebbe accadere perché ci si disconnette da una data abitudine protratta nel tempo, positiva o negativa:  ci si era abituati a quella persona e alla realtà vissuta con quella persona.
  • Quanta paura c'è nel lasciare un lavoro, i colleghi che si conoscono anche in caso di un avanzamento di carriera?
  • Potrebbe anche accadere che alcuni, nei casi più estremi, trovino difficile abbandonare il carcere se non gli ospedali. Questo per rendere l'idea di quanto l'instaurarsi di un abitudine impatti sul nostro cervello e sulla nostra emotività. 

 

Il cambiamento, il disabituarsi ad un abitudine e crearne una nuova può essere un evento che genera lieve-medio stress e che non tutti sono pronti ad affrontare nell'immediato.

Quindi per quanti in questo momento post quarantena stanno vivendo emozioni contrastanti nel voler disabituarsi allo stare in casa, mi aggiungo al coro di chi dice di non preoccuparsi e che probabilmente é una fase solo transitoria.

Dico anche però di stare molto attenti e vigilare alcune etá come l'adolescenza e l'etá matura proprio per il loro essere età critiche, iper o non rispondenti agli stimoli esterni.  

Un ripiegamento quindi eccessivo in se stessi, dentro casa e un totale disinteresse verso la socialità (soprattutto se prima dell'imposta quarantena non si avevano questi tratti) potrebbe essere indice di un tono depressivo che andrebbe prima riconosciuto e poi esplorato con l'aiuto di un professionista. 

 

Data pubblicazione: 07 maggio 2020

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