Le beghe burocratiche e la clinica, sorelle litigiose

valeriarandone
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo

Le beghe burocratiche sono diventate talmente tante e tali da averci fatto smarrire la passione per la clinica, o meglio, averci instillato il bisogno impellente di avere una segretaria.

Quando riceviamo un paziente in studio, la prima cosa da dover fare, è fargli firmare il consenso informato, farli firmare tutta una serie di moduli così noiosi ed intrusivi, da farci correre il rischio di compromettere il rapporto empatico, di profondo ascolto e di sguardi che si “deve” venire a creare affinché lui possa fidarsi ed affidarsi a noi.

Insomma, nel nostro studio, saremo in tre, o in quattro: il paziente o la coppia, noi e le beghe burocratiche, delle vere intruse.

Le nuove leggi sulla privacy poi, ci obbligano ad occuparci di tutta una serie di procedure, ancora più noiose, che ci fanno indossare i panni dei burocrati e smarrire - transitoriamente - quelli del clinico.


La differenza tra il paziente del medico ed il paziente dello psicologo

Il paziente del medico, solitamente, gradisce la sala d’attesa, e ne beneficia anche.
Condivide la sua malattia, si racconta ed ascolta la storia di malattia altrui, transitando in un clima di "empatia da condivisione del malanno".
Il paziente che si reca dallo psicologo, ancor di più il paziente che si reca dal sessuologo clinico, non ha nessuna intenzione di far sapere i fatti suoi a nessuno, né al nostro commercialista, né all’agenzia delle entrate.
Un paziente che mi consulta per un deficit erettivo – vissuto in un talamo che non è coniugale, per esempio – mi chiede svariate rassicurazioni sulla privacy, e non gradisce che io possa scrivere su di lui per paura che il suo tradimento possa essere scoperto.

E’ un paziente che ha bisogno di tempo, di cure e di grande attenzione affinché possa raccontarsi davvero, ed io possa aiutarlo a guarire.

Quando emettiamo una fattura, spesso, veniamo invitati dal paziente stesso a porre sulla stessa una dicitura che tutela lui - i suoi dati rimarranno protetti ed al sicuro - e noi che eroghiamo la regolare fattura.

Il paziente che si rivolge a noi è avvolto da un manto di mistero e di vergogna, come se avere un disagio psichico, o sessuologico, fosse indice di un marchio indelebile sulla sua fedina penale dell’anima.

È un paziente spaventato, intimorito, che prima di venire in studio chiede notizie sullo studio.

Se trattasi di uno studio riservato, in pieno centro o in periferia, se c’è un parcheggio custodito, ed ancora se abbiamo la segretaria, il bancomat, o se corre il rischio di incontrare altri pazienti come lui.

Io per scelta non lavoro on-line, non erogo consulenza via Skype o via mail, e utilizzo pochissimo WhatsApp per le comunicazioni con i pazienti, e non ho una segretaria - per evitare interferenze nella comunicazione, anche telefonica, tra il pazinete o la coppia e me - proprio per una maggiore tutela dei dati e del vissuto di chi si rivolge a me.

Amo ricevere i pazienti in studio, nell’assoluto rispetto del loro spazio-tempo, luogo simbolico di accoglienza e di comprensione, dove, tra l’altro, nessun paziente incontra mai nessun altro paziente.

Adesso mi chiedo:

Tutta questa burocrazia, tutta questa documentazione, tutte queste cose da fare che inquinano fortemente il sentire del primo colloquio, quanto comprometteranno il rapporto tra paziente e clinico?

Mi chiedo inoltre se, oltre a formare ed informare i clinici, non sarebbe anche il caso di formare ed informare gli utenti che scrivono pubblicamente dei loro disagi sulle pagine Facebook, o su whatsapp, senza nemmeno conoscere il professionista e senza avergli preventivamente chiesto il permesso di farlo?

E, per concludere, credo che sarebbe anche il caso di formare ed informare chi ruba i contenuti intellettuali altrui e li mette a firma propria.

Colleghi, o presunti tali, che oltre a profanare il professionista derubato, si appropriano indebitamente di dati che non gli appartengono, e per i quali, si è davvero faticato tanto, facendo la gimcana tra clinica e cartacce.

Data pubblicazione: 17 maggio 2018

8 commenti

#1
Foto profilo Dr. Andrea Militello
Dr. Andrea Militello

Brava Valeria
un bellissimo blog che rispecchia la realtà attuale, lato utente e lato medico

#3

Sante parole, Valeria, chi fa queste leggi non si rende conto del lavoro delicato e particolare che facciamo, e come non sia semplice costruire la fiducia e l’alleanza terapeutica...!

#4
Foto profilo Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Grazie, cara Magda,
basta un semplice pensiero intrusivo che il paziente scappa via...
Un abbraccio.

Valeria

#5
Foto profilo Dr. Fernando Bellizzi
Dr. Fernando Bellizzi

Mi trovo d'accordo fino ad un certo punto.
Personalmente solo una volta ho avuto problemi per colpa della burocrazia, ma era un paziente molto particolare con delle problematica nella sfera della paranoia ed ero l'ennesimo terapeuta che contattava.
Per il resto mai avuto problemi legati alla prassi burocratica, ma anzi mi sento tutelato e rafforzato nella professionalità.
La burocrazia è anche il segnale che si sta operando secondo una normativa vigente e che se non si firmano quelle carte non si può andare avanti.
Empatia, fiducia, accoglienza e comprensione sono per me importanti, ma prima di tutto io ci metto la professionalità, e le carte sono quel qualcosa in più che mi distinguono da chi sa essere empatico, accogliente, emotivo etc etc senza far firmare carte. Daltronde la mia professionalità è sancita dallo Stato attraverso delle carte chiamate Laurea, Abilitazione, Iscrizione all'Albo. Tutta burocrazia anche quella.

Non forse vero che se sono empatico, accogliente, dotto ed erudito in materia ma non mantenessi l'iscrizione all'albo o non seguissi gli iter burocratici degli ECM sarebbe la differenza tra una prestazione professionale ed un abuso professionale? :)

Io ad esempio sbrigo molte delle pratiche burocratiche online, così il primo colloquio, e la segreteria me la sbrigo da solo per risparmiare e poter contenere i costi della prestazione.

#6
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Dr.ssa Valeria Randone

“Empatia, fiducia, accoglienza e comprensione sono per me importanti, ma prima di tutto io ci metto la professionalità,”

La professionalità nel nostro lavoro significa esattamente preparazione, empatia, fiducia, accoglienza, comprensione.. Non siamo bancari, ne burocrati.


“e le carte sono quel qualcosa in più che mi distinguono da chi sa essere empatico, accogliente, emotivo etc etc senza far firmare carte”

Non capisco perché le carte, come le chiami tu, sanciscano la professionalità.
E non capisco il distinguo tra le non carte e l’empatia.


“Daltronde la mia professionalità è sancita dallo Stato attraverso delle carte chiamate Laurea, Abilitazione, Iscrizione all'Albo. Tutta burocrazia anche quella”

La laurea, l’iscrizione all’albo, e le più svariate formazioni, non le fai con il paziente in studio!!


#7
Foto profilo Dr. Fernando Bellizzi
Dr. Fernando Bellizzi

"Non siamo bancari, ne burocrati."
Vero non siamo bancari!!!
Allora via il denaro, il bancomat e l'iban, tutti simboli della banca? ;)

Siamo professionisti che offrono una prestazione, a norma di legge, dietro compenso.
E le carte ci distinguono da altre "professioni" per le quali accoglienza ed empatia sono il core business della prestazione. ;)


#8
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Ex utente

Non posso che essere d'accordo con il dottore Bellizzi :)



Può capitare che una forte invidia per la bontà e per le opere buone di una persona possa spingere ad accusarla falsamente. Qui c’è un vero veleno mortale: la malizia con cui in modo premeditato si vuole distruggere la buona fama dell’altro.


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