Il rituale del medico: placebo ed efficacia simbolica

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Il Placebo è una sostanza priva di principio attivo al suo interno che viene somministrata ad un paziente come se fosse un farmaco con proprietà curative. La sostanza in questione è capace di determinare un effetto curativo, in una percentuale dei casi, sul paziente per la patologia specifica.

I disturbi su cui il placebo ha efficacia sono quelli sia di natura psicosomatica (arrivando ad alte percentuali di effetto), che di natura organica.

La parola “Placebo” è una parola latina che letteralmente significa “Piacerò” e il suo studio nella clinica medica moderna attira una grande attenzione dal 1955, quando Henry Beecher pubblica un articolo dal titolo “The Powerful placebo” sul “Journal of the American Association” (Henry Beecher, 1955). Da allora gli studi su questo effetto si sono approfonditi e la consapevolezza di questo meccanismo è divenuta centrale nella prova di efficacia dei farmaci.

Ogni studio che vuole dimostrare una efficacia clinica di un farmaco infatti si avvale della contemporanea (rispetto alla somministrazione del farmaco reale) somministrazione di un placebo a un gruppo di controllo in regime di “Doppio cieco”, in cui né il medico né il paziente sono consapevoli che quel farmaco è un placebo. Solo in questo modo è possibile determinare l’efficacia della molecola poiché si escludono gli effetti contestuali di somministrazione del farmaco: parliamo del gesto simbolico del somministrare o auto-somministrare una sostanza che che si pensa essere curativa; pensando in modo più ampio, parliamo del gesto simbolico del curare.

Placebo e pensiero magico

L’effetto placebo come detto sopra è stato descritto e ufficialmente definito per la prima volta dalla scienza moderna a metà del ventesimo secolo. Se però andiamo a guardare con una prospettiva antropologica al passato più o meno recente e ad altre culture cosiddette primitive, troviamo infiniti contesti in cui l’uomo ha usato come strumento quello che noi oggi chiamiamo effetto placebo.

Ci riferiamo a culture diverse, primitive o attuali, in cui il cosiddetto “Pensiero magico” domina le relazioni causali della realtà. Antropologi come Malinowski, Levi-Strauss e Ernesto de Martino hanno approfondito questo pensiero che si esprime in una capacità del soggetto di influenzare la realtà con i propri desideri o convinzioni (Malinowski, 1922; Levi-Strauss, 1949; Ernesto de Martino, 1948). Freud lo paragona al pensiero del bambino, che pensa di avere un effetto magico sulla realtà esterna attraverso la sua volontà (Freud, 1913). Allo stesso tempo il bambino che ha male al pancino può stare meglio se un genitore gli da un bacio sul punto dolente, se è davvero convinto, come dice il genitore, che quel bacio lo farà stare meglio. Questo evento, che ora descriveremo riportando uno studio di Levi-Strauss, è chiamato efficacia simbolica, ovvero l’efficacia reale di un simbolo (gesto, rituale, oggetto fisico) che si carica di significato di diventare curativo.

Una prospettiva antropologica

L’antropologo Lèvi-Strauss, nel suo saggio “Antropologia Strutturale” (1958) teorizza il concetto di efficacia simbolica guardando alla pratica sciamanica dei Cuna, una popolazione autonoma che vive in una regione dello stato del Panamà.

Riporta in particolare un caso in cui lo Sciamano è chiamato a intervenire. Quando si presenta un parto con delle complicazioni, lo sciamano interviene iniziando un rituale molto preciso fatto di un canto e di movimenti. Questo rituale sarà capace di aiutare effettivamente la donna nel suo parto e il motivo è da ricercare nel processo psicologico che la donna mette in atto per simbolizzare il rituale dello sciamano. Andiamo a guardare nel merito cosa succede:

Lo sciamano con il suo canto descrive ciò che sta accadendo alla donna e fornisce una motivazione al dolore del parto che si sta complicando. La responsabilità è di Muu, la dea della nascita, che trattiene il feto e impedisce la nascità. Lo sciamano canta una lotta che lui stesso intraprende con la dea per riappropriarsi di una “purba”, il doppio spirituale della partoriente, senza la quale essa non può dare alla vita il figlio o la figlia. Con una minuziosa descrizione della lotta, che non vede mai i due come nemici, questo rituale permette alla donna di dare un senso al suo dolore, altrimenti senza significato e quindi insostenibile.

“Lo sciamano fornisce alla sua ammalata un linguaggio nel quale possono esprimersi immediatamente certi stati non formulati, e altrimenti non formulabili. E proprio il passaggio a questa espressione verbale (che permette nello stesso tempo di vivere in forma ordinata e intelligibile un’esperienza attuale, ma che sarebbe, senza quel passaggio, anarchica e ineffabile) provoca lo sbloccarsi del processo fisiologico, ossia la riorganizzazione, in un senso favorevole, della sequenza di cui la malata subisce lo svolgimento” (Lévi-Strauss, 1958, p.222)

Il rituale medico

La consapevolezza delle dinamiche psicologiche che sottendono il processo del “curare” potrebbe aiutare la medicina ad andare, oltre una dimensione altamente tecnicizzata e funzionale, in una direzione di consapevolezza di quanto la pratica medica in sé è una ritualizzazione della nostra cultura, capace spesso di curare in assenza di farmaci attraverso la relazione medico-paziente.

Ci riferiamo alle casistiche in cui il disturbo fisico non è riscontrabile, ma è presente una domanda di aiuto posta al medico il quale per forza di cose risponde col suo linguaggio, proprio della cultura medica moderna che, come sostiene Carli, si occupa di “fatti” e non di “vissuti” (Carli, 2013). 

Quindi il medico si trova ad affrontare le questioni psicologiche, riguardanti i vissuti attraverso la prescrizione di farmaci. Sono diversi i motivi per cui diventa difficile per un medico di base occuparsi dei pazienti che portano una domanda di aiuto psicologico.

Elementi come la burocratizzazione e come il conflitto sociale che riguarda il rapporto tra utenza e medicina, richiedono grande spreco di energia per la prassi medica e una conseguente difficoltà di “intercettare”, ma sopratutto occuparsi di questioni non strettamente mediche. Si va così in una direzione che coinvolge sempre di più i farmaci anche nei casi in cui non sarebbero effettivamente necessari, da una parte per potersi tutelare attraverso una medicina difensiva e dall’altra parte per una mancata competenza a recepire domande psicologiche.

In questo scenario, in cui è evidente uno dei punti in cui le risorse del sistema sanitario nazionale si trovano a dissiparsi (prescrizione preventiva), si inscrive una recente notizia in cui si pone l’attenzione sulle ricerche che mostrano come la presenza di uno psicologo all’interno delle strutture sanitarie porti un risparmio consistente.

David Lazzari, del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli psicologi, pone luce su queste ricerche in una recente intervista: “nell'80% dei casi l'intervento psicologico si ripaga da solo, perché i risparmi coprono i costi.

E, addirittura, nel 25 -30% dei casi i risparmi sono superiori e generano incremento di risorse” (Adnkronos).

  

Bibliografia

  • Anton J.M. De Craen, Placebo effect in the treatment of duodenal ulcer (abstract), in British Journal of Clinical Pharmacology, Londra, British Pharmacological Society, dicembre 1999, pp. 853-860
  • Beecher, Henry, The Powerful placebo. Journal of the American Medical Association,159, 1955, no. 17: 1602-6
  • Bronislaw Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva, Torino, Bollati Boringhieri, 2011 [1922]
  • Carli, R., (2013), L’intervento psicologico in OspedaleQuaderni della Rivista di Psicologia Clinica, 2, 3-11
  • Ernesto De Martino, Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino, 1948; n. ed. Boringhieri, Torino, 1973
  • Freud Sigmund, Totem e Tabù, Torino, Bollati Boringhieri, 2011 [1913]
  • Lévi-Strauss Claude, L’efficacia simbolica, pp. 210-229 in Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1996 [1958, del saggio 1949]
  • WEB: http://www.adnkronos.com/salute/sanita/2017/10/05/psicologo-risparmiare-ssn-per-ogni-euro-speso-cent-guadagnati_L5qPHOSbFACzMG4QMdkSPI.html
Data pubblicazione: 26 novembre 2017

2 commenti

#1
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Dr. Giuseppe Santonocito

Buongiorno Morgan,
Da un punto di vista psicoterapeutico il placebo è solo una delle componenti che determinano il cambiamento, spesso nemmeno quella più importante. Certamente non quella più desiderabile in un'ottica di lungo termine.

Tempo addietro c'è chi ha inventato a scopo di verifica una psicoterapia basata interamente sull'effetto placebo (cerca in rete "the placebo psychotherapy") ed è stato visto che otteneva risultati inferiori alla media di quelli delle forme riconosciute di psicoterapia.

Invece, da un punto di vista psicoterapeutico e terapeutico in generale, quindi anche medico, il placebo spesso ha due caratteristiche: che funziona molto bene all'inizio, ma poi l'efficacia si riduce man mano che il tempo passa; e che appena se ne interrompe la somministrazione i sintomi ritornano.

In psicoterapia lo si vede molto bene ad esempio quando i pazienti dicono: "Sa dottore, l'ultima volta che sono venuto da lei per due o tre giorni mi sono sentito benissimo, ma poi...".

Quindi, ok tener presente questo importantissimo fenomeno, ma ricordiamoci che non è quello che cura, molte volte, e certamente qualsiasi buon terapeuta non dovrebbe basare su quello la propria efficacia.

Un saluto

#2
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Psicologo

Ciao Giuseppe,
grazie del tuo commento. Sono d'accordo con te, nel senso che è difficile pensare di poter svolgere un intervento psicoterapeutico o medico utilizzando come unica risorsa il placebo e quello che c'è intorno ad esso.

Diciamo che con questo contributo ho fatto un tentativo, principalmente rivolto alla disciplina medica, dato che ho svolto ricerca in questo campo e collaboro con un medico di medicina di base, un tentativo di proporre un focus su ciò che spesso la pratica medica moderna non vede come qualcosa di sua competenza.

Ho utilizzato il concetto di placebo principalmente come spunto per aprire un pensiero sull'importanza del "rituale medico" ovvero dell'importanza emotiva che i pazienti mettono nella relazione di cura con il medico, vedendola come essa stessa relazione potenziale di cura.

La medicina funziona molto bene, le conoscenze scientifiche che abbiamo permettono di curare nuove malattie, ma il conflitto con l'utenza aumenta esponenzialmente. L'ipotesi che pongo è che si sta andando sempre più su una dimensione tecnicistica (che è comunque molto efficiente), ma si sta perdendo una dimensione di relazione, dimensione che lo stesso concetto scientifico di placebo (identificato nel gesto di cura che ha una sua efficacia seppur ridotta nel lungo termine) indica come fondamentale in un rapporto terapeutico. Per concludere mi trovo a condividere il tuo punto di vista: placebo come spunto e non come strumento utilizzabile con grande successo. Specialmente perchè sappiamo che ad esempio anche in psicoterapia ci sono innumerevoli approcci e tecniche molto più efficaci.

Grazie ancora del tuo contributo,

A presto

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