"VIVERE", o solamente esistere?
Ognuno vorrebbe poter "VIVERE" con intensità a lungo, addirittura fino all’ultimo giorno di vita.
Ciò equivale a
- sentirsi discretamente bene soggettivamente (salute percepita),
- poter decidere di sé (Costituzione, art.32),
- essere padrone e proprietario della propria vita, fin dove questo non danneggia la collettività.
Ma chi - o per motivi professionali o perché assiste i propri famigliari - si occupa del “fine vita” oppure di residenze per anziani, sa che non è sempre così. Un unico esempio: gli esami invasivi a novantenni consapevoli e contrari, unicamente perché i famigliari insistono.
“La persona è padrona della propria vita fino alla fine”:
questo uno dei messaggi significativi contenuti nel recente intervento di Papa Bergoglio rivolto all’ "Accademia per la Vita" e che “parla” profondamente anche a chi credente non è.
Quali i contenuti? Proverò a evidenziarne alcuni, assieme ad alcune mie riflessioni in qualità di
- professionista della salute psichica,
- familiare,
- di persona, semplicemente.
(Il link in FONTE apre il documento integrale).
I successi della medicina
Oggi abbiamo consapevolezza dei successi raggiunti dalla medicina in campo terapeutico e di quanto "gli interventi sul corpo umano diventino sempre più efficaci, ma non sempre risolutivi”.
Siamo altrettanto consapevoli di quanto sia grande la “tentazione” di applicare tutti i mezzi disponibili pur di prolungare l’esistenza; e realmente siamo in grado di sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura di sostituirle.
VITA, o semplice “esistenza”?
La medicina realmente è in grado di prolungare la vita; purtroppo, talvolta, anche in assenza di un miglior benessere soggettivo per chi riceve le cure; addirittura anche contro la volontà dell’ammalato. Parliamo allora di accanimento terapeutico.
Ma si può chiamare “vita” quando manca il benessere globale? oppure essa è solamente “esistenza”?
C’è vita quando c’è salute.
Salute intesa non come “assenza di malattia”, bensì soggettivo benessere fisico, psichico, relazionale (OMS). Quella situazione cioè in cui, essendo pur anche ammalati, si è complessivamente "contenti di essere in vita", una vita connessa - soggettivamente - alla percezione di sé, ai propri convincimenti, alle aspettative e desideri, all'ambiente in cui si vive, al proprio stile di vita, alle relazioni che si hanno, alle condizioni socio-economiche.
Chi decide sulle cure?
Ma chi decide se "vale la pena" applicare una terapia, effettuare un intervento; se c'è cioè per il paziente una "proporzione" favorevole tra costi e benefici?
Nella decisione il ruolo centrale è dell’interessato, del protagonista, di chi le cure le dovrebbe ricevere; e dunque è LUI colui che decide. Il paziente è capace e competente nel “dire la sua su di sé” pur nella considerazione dei suoi limiti; è la persona che giudica e valuta l'effettiva proporzionalità delle cure, cioè se "per lui ne vale ancora la pena"; in fondo è lui che paga sulla propria pelle... e nella propria psiche.
E' anzitutto lui dunque che, in dialogo con i medici, ha titolo soggettivo per valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella sua situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse da lui riconosciuta mancante.
Lo stesso documento pontificio afferma che è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, oppure sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico definito “proporzionalità delle cure”; “È una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare. «Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» ".
Decisioni con amore
Noi curanti siamo anche consapevoli - però - che una persona possa giungere a rinunciare alle cure perché sola, abbandonata, non sostenuta nella sofferenza.
A questo proposito nasce la necessità, scrive ancora Bergoglio, di tenere “in assoluta evidenza la regola imprescindibile della prossimità responsabile”, con “l’imperativo categorico” “di non abbandonare mai il malato” perché la relazione “è il luogo in cui ci vengono chiesti amore e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci accumuna e proprio lì rendendoci solidali. Ciascuno dia amore nel modo che gli è proprio. Ma lo dia!"
E questo ritengo valga per i professionisti dell'aiuto e cura e per tutte le "persone di prossimità".
“La dimensione personale e relazionale della vita - e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere - deve avere, nella cura e nell'accompagnamento della persona, uno spazio adeguato alla dignità dell'essere umano."
Conclusioni
In quest’epoca in cui:
- i progressi della medicina fanno percepire la morte come una sconfitta
- per la propria competenza professionale,
- oppure per il proprio amore filiale che "farebbe di tutto" pur di non "lasciarli andare",
- i ritmi del lavoro e della vita non sempre vanno di pari passo con le possibilità concrete di “accompagnare” adeguatamente
- il proprio caro,
- o, in qualità di medici o psicologi, il proprio paziente,
- l’allontanamento dagli occhi e dal cuore del fine vita e della morte rende i familiari adulti più fragili di fronte a questo evento,
la riflessione di Papa Bergoglio apre uno spiraglio di riflessione di profonda umanità.
Talvolta i capi spirituali arrivano prima dei legislatori *...
FONTE
PER APPROFONDIRE
* Giace in parlamento la proposta di legge 1142, titolata “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico”.
- La professionalità dello Psicologo della salute
- Costituzione della Repubblica Italiana. Art. 32: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."