Lo psicologo a scuola: cosa può fare e cosa no
Questa recente vicenda vede coinvolti un Istituto scolastico, una famiglia e una psicologa.
La Corte di Cassazione con la sentenza 40291/17 afferma qualcosa che già esiste nella pratica professionale degli psicologi: il lavoro con bambini e adolescenti si può compiere solo con il consenso informato dei genitori.
Questo significa che i genitori devono sempre essere informati su qualsiasi progetto coinvolga il proprio figlio e devono darne esplicito consenso.
Nell’episodio in questione, immagino ed ipotizzo che ci siano stati problemi di comunicazione tra la scuola, la famiglia e lo psicologo, ma non voglio entrare nel merito dell’avvenimento specifico.
Vorrei approfittarne dell’evento per chiarire alcune questioni che riguardano la psicologia scolastica.
Perché lo psicologo a scuola?
Perché la scuola è la principale agenzia educativa dei minori dopo la famiglia. Il luogo dove i bambini e gli adolescenti trascorrono la maggior parte del loro tempo di vita, al di fuori di quello che passano in famiglia, è la scuola.
La scuola è luogo di relazione, di apprendimento, di messa alla prova del minore con se stessi e con gli altri. La crescita individuale, emotiva e relazionale di ogni alunno è un processo delicato e complesso. Uno dei compiti degli adulti, genitori ed insegnanti, è quello di favorire una crescita equilibrata, ricca di stimoli positivi, e quella di accorgersi se ci sono intoppi, disagi o problemi veri e propri e di fare tutto il possibile per rimuoverli e renderli occasione di crescita.
La scuola sta per iniziare e molti Istituti Comprensivi decidono di avvalersi dalla professionalità di psicologi esperti includendo nel POF (il Piano dell’Offerta Formativa) dei Progetti specifici in base alle esigenze rilevate dallo stesso Istituto. Possiamo dividerli in due grandi gruppi:
- La promozione del benessere.
- Il rilevamento precoce del disagio.
Promuovere il benessere significa che possono essere organizzate attività specifiche mirate alla conoscenza di se stessi e delle proprie risorse, esercizi per conoscere e migliorare la comunicazione del gruppo classe, attività di orientamento consapevole alla scelta della scuola superiore o dell’Università (o mondo del lavoro), attività di educazione emotiva e affettiva, attività di conoscenza e uso consapevole della tecnologia, attività di prevenzione primaria contro le dipendenze di qualsiasi genere e così via.
Rilevare il disagio significa fare attenzione a tutti quei segnali che possono indicare qualche problema a livello emotivo, cognitivo o relazionale: scatti di rabbia, difficoltà di attenzione, difficoltà di socializzazione con i compagni, problemi scolastici, disagi nel riconoscere il ruolo delle insegnanti…l’elenco è davvero lungo.
Rilevare i segnali precoci di disagio significa cercare di approfondire cosa significa quel disagio, dargli voce, prenderlo incarico, risolverlo, evitando che diventi qualcosa di più importante, o grave.
Generalmente sono i docenti ad accorgersi per primi che potrebbe esserci qualcosa che non va nel corso del normale svolgimento delle attività scolastiche. Se il disagio è prolungato nel tempo ne parlano con la famiglia e danno indicazioni su quali potrebbero essere i percorsi per approfondire di cosa si tratta.
Se ci sono psicologi a scuola segnalano le loro osservazioni e decidono se e come intervenire.
Come lavora lo psicologo scolastico
Ha tre strumenti: incontri di gruppo in classe, osservazione delle dinamiche di gruppo in classe, colloqui individuali con insegnanti, genitori o alunni.
Le attività di gruppo sono solitamente semistrutturate, cioè si danno degli stimoli (frasi, disegni, schede) che hanno l’obiettivo di far emergere qualcosa del mondo interiore del ragazzo: l’obiettivo non è la valutazione dell’alunno, ma rendere consapevole lo stesso alunno delle sue risorse o dei suoi punti deboli. Lo scopo non è capire se l’alunno ha dei problemi o meno, ma rendere l’alunno in grado di conoscersi meglio. In queste attività possono comparire dei segnali di disagio e, nel caso fossero molto marcati, se ne parla con genitori ed insegnanti.
Lo sportello di ascolto psicologico è uno strumento importantissimo per la scuola perché permette di avere, a chi lo desidera, un accesso veloce ad una consulenza con un professionista esperto. La consulenza psicologica consente di fare chiarezza su qualcosa che crea un disagio in modo più o meno marcato.
La consulenza psicologica è un intervento breve e focalizzato su specifiche difficoltà. E’ un intervento non terapeutico che orienta e sostiene chi lo richiede aiutandolo promuovere atteggiamenti attivi e propositivi e stimolando le capacità di scelta.
Alcuni esempi di richiesta nello sportello di ascolto psicologico: l’insegnante in difficoltà con un alunno o con la classe, il genitore preoccupato per i comportamenti del figlio, l’alunno che lamenta ansia eccessiva di fronte alle verifiche.
Il vantaggio dello sportello di ascolto per docenti e genitori è l’accesso rapido, gratuito e all’interno dell’Istituto Scolastico. Il vantaggio per gli studenti è ancora maggiore poiché possono rivolgersi ad un adulto che non è il genitore né l’insegnante, ma una persona esperta che lo ascolterà senza intervenire sulla specifica situazione che porterà, ma cercando di stimolare la propria capacità di scelta. Il più delle volte gli studenti portano difficoltà legate all’età: lo studio, gli amici, i genitori, gli insegnanti. Altre volte portano problematiche di cui non avrebbero potuto parlare se non in quella sede. Il dodicenne non dice "ho l'ansia da prestazione prima delle verifiche, portami dallo psicologo". Il dodicenne dice, o meglio mostra, un disagio, l'adulto lo deve decifrare, non se ne deve angosciare, deve capire se il problema è passeggero o rischia di strutturarsi n una fobia, capire a chi deve rivolgersi, cercare qualcuno, fissare un appuntamento. Un processo fattibile, ma un pò lungo. Per questo la psicologia scolastica è uno strumento potente e insostituibile di prevenzione del disagio. Se emergono problemi seri ed importanti che mettono in pericolo il minore, lo psicologo è tenuto per legge a fare tutto il possibile per tutelare il minore, è autorizzato ad infrangere la regola sacra del segreto professionale.
L’osservazione in classe è richiesta, solitamente, dai docenti in difficoltà con uno o più alunni. Lo psicologo è presente in alcune lezioni ed osserva quello che accade, senza intervenire, e tenendo conto di quanto riferito dalle insegnanti. L’obiettivo è quello di aiutare le insegnanti a gestire meglio le problematiche lamentate. Se emergono indizi importanti di disagio significativo in un alunno è obbligatorio avvertire i genitori i quali verranno informati su quanto emerso e gli verranno date indicazioni sui possibili percorsi da seguire per valutare l’eventuale problema e per prenderlo in carico e risolverlo.
La relazione finale.
Alla conclusione delle attività e dell’anno scolastico lo psicologo che ha diretto le attività stila una relazione in cui comunica cosa ha fatto, come lo ha svolto e quello che ha rilevato.
Si può fare diagnosi?
In ogni caso, qualsiasi attività lo psicologo svolga a scuola, non può fare diagnosi, sia per motivi legali sia per motivi clinici: a livello giuridico è necessario che la richiesta venga fatta in modo chiaro e inequivocabile da entrambe i genitori. A livello clinico non è fattibile perché per poterla stilare in modo professionale ed accurato sono necessari molti incontri specifici e mirati: colloqui clinici, eventuali test, ma soprattutto serve conoscere la famiglia e l’ambiente ad essa connesso. Ogni osservazione clinica di un minore poggia, e si completa, sulla necessaria contestualizzazione familiare che solo il colloquio con i genitori può fornire.
Costruire una diagnosi senza la contestualizzazione familiare significa non fare una valutazione corretta del minore.
Porto un esempio frequente nell’epoca attuale, la diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento: per fare diagnosi di DSA è necessario escludere problematiche affettive, relazionali e familiari. Non basta somministrare uno o più test. Significa che se il bambino ha problemi ad imparare a leggere, bisogna capire se ha difficoltà specifiche individuali (ad esempio dislessia) oppure se la difficoltà è dovuta a delle preoccupazioni che coinvolgono la sfera familiare (ad esempio una tristezza diffusa per un lutto che la famiglia fa fatica ad elaborare e superare). Sarebbe molto grave diagnosticare un DSA ad un bambino quando in realtà la sua difficoltà è l’indice di un momento particolare che coinvolge tutta la famiglia. In questo caso significherebbe etichettare un bambino per un problema che non ha, e vorrebbe dire che si andrebbe ad intervenire su un solo elemento della famiglia, il bambino, mentre l’intervento corretto sarebbe aiutare tutta la famiglia a superare un normale evento di vita, il lutto, ma che in questo specifico caso ha incontrato particolari intoppi.
Faccio un altro esempio: il bambino non segue correttamente le lezioni a scuola. Se è miope e non riesce a seguire perché non vede, saranno necessari gli occhiali correttivi da vista. Se è agitato, o depresso, perché a casa i genitori litigano di continuo, gli occhiali serviranno a ben poco.
Fare diagnosi richiede competenza, esperienza, tempo, accuratezza, umiltà, buon senso. E’ indispensabile che i genitori siano a conoscenza di tutto questo e diano esplicito consenso. Soprattutto è impossibile materialmente fare una diagnosi a scuola per mancanza di tempo e di strumenti.
Informativa, consenso informato
Tutte le attività degli psicologi a scuola devono essere sempre comunicate ai genitori come qualsiasi altro progetto implementato nella scuola. C’è una importante differenza tra l’informativa e il consenso informato.
Generalmente il Progetto di Psicologia Scolastica è inserito nel POF della Scuola, tale documento viene comunicato ai genitori quando iscrivono il loro figlio in quell’Istituto e lo firmano per presa visione, accettandolo. Per le attività di gruppo svolte in classe lo psicologo è tenuto ad informare i genitori su cosa farà, come e quando: la scuola invia un avviso e i genitori lo firmano per presa visione, come qualsiasi altro avviso. In questo caso non è richiesto un consenso perché i genitori lo hanno già dato firmando il POF.
Il consenso informato è generalmente richiesto per lo sportello di ascolto psicologico individuale: lo psicologo può ascoltare individualmente un minore solo ed esclusivamente se ha l’esplicito consenso scritto firmato da entrambe i genitori.
L’osservazione in classe è una situazione particolare perché spesso viene richiesta quando uno o più alunni si distinguono rispetto al gruppo classe. In termini relazionali e di psicologia sociale, una persona si comporta in un modo o in un altro, completamente diverso, a seconda della rete nella quale è inserito. Quindi è possibile che un bambino sia isolato e aggressivo in un gruppo, ma potrebbe risultare completamente inserito in modo sereno in un altro. In tal caso l’osservazione dello psicologo è sempre rivolta a tutto il gruppo classe, senza sorvegliati speciali nonostante la segnalazione delle insegnanti. I genitori dei bambini che “emergono” non possono vederla allo stesso modo, sentiranno il proprio figlio valutato e temeranno un giudizio, del bambino e loro come famiglia. Per questo è fondamentale la comunicazione precisa dello psicologo che lavorerà in quella classe, gli obiettivi, cosa farà, cosa non farà, e come. Comunicazione da fare bene agli insegnanti e ai genitori, poiché ognuno avrà le proprie aspettative e le proprie paure. Qui non è una questione puramente giuridica, ma di comunicazione e relazione che deve gestire correttamente il professionista della situazione, lo psicologo scolastico.
Perché lo psicologo e non un’altra figura?
Perché è una figura esterna: questo costituisce una garanzia per gli alunni e per gli insegnanti. Lo psicologo non è coinvolto nelle quotidiane dinamiche relazionali nelle quali sono implicati giornalmente insegnanti o dirigenti, quindi i minori possono aprirsi più facilmente senza il timore di ripercussioni nell’attività scolastiche. Inoltre, lo psicologo come terzo esterno può svolgere osservazioni più obiettive.
Perché ha le competenze professionali: lo psicologo è in grado di fare attività di potenziamento del benessere e può svolgere una efficace prevenzione. Non fa diagnosi, come già detto, ma ha le competenze per farlo, quindi è in grado di leggere segnali ed indizi che potrebbero segnalare problemi più importanti, quindi, nell’esclusivo interesse del minore avvertirà la famiglia che è l’unica responsabile del percorso di crescita del proprio figlio dando tutte le informazioni per poter approfondire la problematica, i servizi o i professionisti più opportuni ai quali rivolgersi.
Altre figure legate alla promozione del benessere non hanno questa fondamentale competenza professionale, ciò può essere lesivo dell’interesse degli alunni e delle famiglie.
Dall’approfondimento diagnostico svolto in altra sede potrebbe emergere un problema, ma potrebbe anche essere escluso. E’ un dovere dello psicologo avvertire la famiglia di un possibile problema, la quale sceglierà se seguire o meno le indicazioni avute.
Le paure di insegnanti, dirigenti e genitori
La legge e la professionalità sono chiare su cosa si può fare e su cosa non si può fare, nonostante questo spesso si generano conflitti ed incomprensioni nella relazione tra la scuola e la famiglia. L’epoca nella quale viviamo ci pone di fronte a mille problemi educativi diversi, ma il problema è essenzialmente uno, a mio avviso: la paura del giudizio. Quando un bambino mostra delle difficoltà, mette in crisi gli adulti che dovrebbero aiutarlo a crescere nel miglior modo possibile, invece succede spesso che sia gli insegnanti che i genitori temono di essere giudicati non adeguati nel loro ruolo. Gli insegnanti che pensano di fare il possibile, non si sentono in grado di gestire la situazione e rimandano la responsabilità alla famiglia, i genitori che ritengono di fare tutto il meglio per i propri figli rilanciano la responsabilità sugli insegnanti. Questa situazione si verifica spesso, con le dovute differenze da caso a caso.
Per risolvere il problema bisogna rovesciare i termini della questione: primo non cercare un colpevole, secondo domandarsi “perché il problema di questo bambino mi mette così in difficoltà?” Se ci si pone questa domanda onestamente e profondamente, potrebbero emergere dei vissuti irrisolti legati alla propria vita. E potrebbe essere l’occasione giusta per affrontarli e superarli.
La paura di essere inadeguati e il desiderio di essere riconosciuti nella propria competenza sono esigenze fondamentali per l’essere umano, ed è per questo che quando qualcosa tocca queste corde, ci si mette sul chi va là. A volte risulta più facile gettare la “colpa” sugli altri, piuttosto che esaminare i propri vissuti. Se, di fronte al problema di un alunno, genitori ed insegnanti riuscissero a fare questa non semplice operazione, quel bambino o quella bambina avrebbero uno strumento in più per la loro crescita armoniosa: la collaborazione scuola-famiglia.