Né né... molto meglio di quel che sembrano

magda.muscara
Dr.ssa Magda Muscarà Fregonese Psicoterapeuta, Psicologo

Trovo che può essere interessante riflettere su quanto Dario Di Vico scrive sul Corriere della Sera del 10 luglio, all’interno dell’inchiesta: ” Le nuove disuguaglianze”, cioè sul mondo dei giovani che non lavorano e non studiano o non studiano più.
Come è noto il termine Neet, acronimo che sta per Not engaged in Education, Employment or Training, è stato usato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1999 per classificare una fascia di popolazione tra i 16 e i 24 anni, giovani che non hanno un lavoro, né lo cercano, non studiano e perciò non ricevono una formazione.
Di Vico riferisce dei risultati di una ricerca del 2015 condotta da WeWord su giovani tra i 15 e i 29 anni.
Tra questi il gruppo più svantaggiato è costituito dai Neet endogeni, come li definiscono gli psicologi sociali, cioè giovani che stentano ad integrarsi a prescindere dalle condizioni esterne del mercato e del lavoro.
Si sommano in questo caso una scarsa autostima, la tendenza ad auto-isolarsi, un’eredità negativa proveniente dal contesto familiare, che è del resto l’unica forma di appoggio, pur costituendo un supporto e un vincolo a modelli superati e perdenti.
“Nel mondo che esalta l’innovazione e il digitale rappresentano la più desolata delle periferie”.
Noi psicologi riceviamo qui, su MI, moltissime richieste di aiuto da questo tipo di giovani, profondamente infelici e profondamente soli. Coi limiti del mezzo si cerca di intervenire a livello di sguardo sul mondo e sul livello di autostima.
Certo dovrebbero essere seguiti individualmente.
Ma tutti gli altri, e sono molto più numerosi di quel che sembra, reagiscono con modalità diverse, mossi dal tentativo di resistere all’apatia, dal tentativo di uscire.. ”dalla trappola del divano”, di uscirne intanto, come si può.
Di Vico suddivide questo mondo giovane fatto di coraggio e di speranza, in 4 gruppi:
- il soccorritore volontario: li troviamo alla Croce Amica, alla Croce verde, ovunque con un piccolo corso riescano ad entrare.

Provano e si sentono subito meglio, utili, equilibrati, buoni. “Imparo tanto, la gestione delle emergenze, la calma in situazioni difficili”…… si propongono di entrare in quella struttura come dipendenti;

- lo sportivo: scelte spesso consecutive e reattive a bocciature e al voler lasciare la scuola, come una vendetta …… judo, palestra, sfide con sé stessi e con gli altri, così migliora la sicurezza, non ci si sente più soli, emarginati. A Torino Action Aid, con un programma di recupero dei Neet, cerca di insegnare, attraverso lo sport, e la sua dura competizione e i suoi valori, che vittorie e sconfitte possono dare la forza di riprendere gli studi e riprovarci.

Spesso, precisa Dario Di Vico, questi gruppi giovanili operano come piccole ditte, ridistribuiscono servizi e piccoli lavori, ma non lavori stabili. Questa scelta si presta percio’ ad essere una zattera di passaggio ben più del volontariato.

Viene perciò a perpetuarsi il rapporto di iperdipendenza con la famiglia, il che - secondo il demografo Alessandro Rosina, autore di un libro proprio sui Neet - tende a mantenere i figli immaturi.
Va precisato peraltro che ognuno è un caso a sé e che questi sono discorsi generali;

- un lavoretto comunque: in questa fascia moltissime baby sitter, lavoro abbastanza ben pagato, basato sul passaparola…… si possono guadagnare anche 1000 euro al mese.
Sono esperienze intermittenti di cui peraltro i ragazzi sono fieri e sottolineano infatti che loro, con le mani in mano, non ci stanno mai!
Ma ci sono anche camerieri, hostess, fattorini per consegna a domicilio. Questi ragazzi precisano: “Noi ci sbattiamo da mattino a sera..!”
Sullo sfondo la famiglia, che sostiene e si preoccupa; mentre Stefano Scabbio, amministratore delegato di Manpower, precisa che il lavoro intermittente serve solo al guadagno temporaneo, mentre “ai ragazzi per crescere servirebbe una specializzazione orizzontale ed una formazione rivolta al digitale”.
E non si può che essere d’accordo;

- ultimo gruppo quello dei laureati, po- tenzialmente più occupabili, che transitano per un certo periodo nel mondo dei Need, loro malgrado.
I laureati disoccupati sono il 20,6% e arrivano al 36% nelle professioni umanistiche, mentre medici e ingegneri oscillano intorno al 10%.
Ma i giovani laureati per un certo periodo danno ripetizioni: ben il 30 % di loro cerca di farcela così.

Voglio sottolineare come tra questi giovani è ben presente la resilienza, il coraggio, l’orgoglio e la speranza, il non darsi per vinti, il tentativo di superare l’apatia e la “trappola del divano”.
E questa è già a mio parere una notizia buona.
Ma, per guardare al futuro, a un futuro che si costruisce passo passo, con sguardo lucido ed efficace, certamente sarebbe auspicabile una ottimizzazione delle competenze professionali.

Data pubblicazione: 16 luglio 2016

7 commenti

#1
Foto profilo Dr.ssa Valeria Randone
Dr.ssa Valeria Randone

Cara Magda,
davvero interessante.
Hai proprio ragione, ci sono tanti giovani che si accontentano, o peggio ancora, rassegnati.
Bisognerebbe insegnare loro la "speranza" ed anche la "tenacia..."

Buona domenica.
Valeria

#2

Grazie Valeria,la penso anch'io così e penso che bisogna crederci ai propri sogni..Buona serata, un abbraccio Magda

#3
Foto profilo Utente 397XXX
Utente 397XXX

Secondo me questi ragazzi devono affrontare due prinicipali ostacoli.
Il primo, più endogeno, sono le famiglie di origine che fanno vivere i ragazzi in una sorta di limbo, proteggendoli da ogni tipo di difficoltà: in sostanza questi ragazzi non sanno che vuol dire guadagnarsi la giornata. E' un po' come vivere alle spalle di altre persone, almeno per quanto riguarda l'autosufficienza.
Il secondo è più esogeno e dipende dal tipo di società in cui viviamo, soprattutto in Italia. Una società che scoraggia i giovani. Da un parte è una sistema che continua ad esaltare il giovanilismo, ma dall'altra non offre loro che le briciole. E' un circolo vizioso deleterio.
A me sembra che Il messaggio che, tacitamente, si trasmette ai ragazzi è: non vale la pena impegnarsi perchè con il lavoro non farai granchè; conta di più se nasci ricco o bello, cioè caratteristiche che nulla hanno a che vedere con la voglia di realizzare qualcosa, con qualcosa che si può modificare attraverso l'impegno. E purtroppo, va detto che dal punto di vista del lavoro e della professione, la situazione è peggiore ripsetto a 20 o 30 anni fa. Dettto questo, sul divano è meglio rimanerci giusto il tempo di riposarsi un po'... poi via!

#4

Gentile Utente, La ringrazio molto per la sua riflessione, sono d'accordo con Lei sul fatto che oggi tutto è difficile e complicato , ma anche 20 e 30 anni fa tanto semplice non era, il senso del mio discorso era sottolineare che molti giovani cercano di trovare una soluzione, a volte transitoria ,a volte in crescendo. superando momenti di sconforto, mettendoci impegno e coraggio..perchè è la motivazione che muove il mondo..
E poi certo, fuori dalla trappola del divano e dell'apatia... ottimizziamo le risorse intellettive e
creative e la preparazione professionale.!.
Dott. Magda Muscarà Fregonese

#5
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Utente 397XXX

Sí sono d"accordo alla fine questi ragazzi hanno degli spunti di vitalitá inaspettata, che solo la loro giovane etá può dare... Sul fatto che anche 20 o 30 anni fa fosse dura non lo metto in dubbio, ma oggi il mondo del lavoro è feroce... è spesso un vero sfruttamento per stipendi da fame..
non era cosí negli anni 80 o 90, c'era una prospettiva.. oggi dopo la gavetta c'è ... altra gavetta! I ragazzi queste cose le percepiscono... e si scoraggiano.

#6

Ha ragione, gentile Utente , si salvano i più motivati, che non si danno per vinti, che si , specializzano, che si impegnano,che credono in sè stessi e nel loro progetto di vita.. " ce provano" e anche spesso ce la fanno.. !

#7
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Ex utente

Si scrive neet ,si legge lavoro in nero...
i centro per l' impiego sono utili solo per chi ci lavora li dentro dandogli lo stipendio in sostanza e' un sussidio ben mascherato...





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