Quante fasi di cura di se stesso esistono?

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Dr. Alessandro Drago Psicoterapeuta, Psicologo

Quante fasi di cura di se stesso esistono? Dal mio punto di vista due, dove la seconda fase diventa una “conquista” dell'essere umano, capace di prendersi cura di se stesso e del proprio organismo, in una costante relazione dialogica tra psiche e corpo. Qualcosa di arduo ma raggiungibile che prevede una serie di cose complicate, per noi occidentali, tra cui il confronto diretto, non evitante, con la propria nevrosi caratteriale ed il proprio organismo. Partirò dalla prima fase, quella più conosciuta e praticata, per far comprendere tale differenza.

Sapersi prendere cura prevede inizialmente una scissione, una divisione implicita tra corpo e mente, dove si sostiene che esista il sintomo, come qualcosa di esterno che ci accade a nostra insaputa ed esista successivamente una “cura”, una terapia, da parte dello specialista o del cosiddetto esperto che possa immediatamente farci sentire meglio.

Questa iniziale fase di cura è particolarmente importante in quanto si “lotta” costantemente per stare bene. Il problema è che si “fa la guerra”, si combatte, tra ciò che ci accade biologicamente e ciò che idealizziamo di essere e vorremmo essere a tutti i costi. La discrepanza tra desiderio e dato fenomenologico ci crea continuamente disagio. Mi spiego meglio e lo farò attraverso un esempio.

Immaginate un uomo adulto il cui peso corporeo inizia a crescere in modo evidente ed osservabile, l'uomo inizialmente si arrabbia con se stesso, se la prende con il proprio corpo che non acconsente al suo desiderio di essere magro ed in splendida forma fisica. Cosa decide di fare costui per prendersi immediatamente cura? Decide il giorno dopo di iscriversi in palestra, va dall'esperto che lo fa dimagrire 30 kg in un mese, legge libri su come poter migliorare il proprio aspetto, incomincia a farsi selfie, ecc. Insomma fa di tutto tranne che fare ciò che dovrebbe fare: equilibrare la nevrosi caratteriale con il corpo che gli sta comunicando qualcosa.

La capacità dialogica di ascoltare, parlare, percepire, ecc. entrare nel rapporto corpo-mente nevrotica (chiedo scusa sono consapevole che per ragioni di marketing si scrive solo mente altrimenti la vendita si blocca), è alla base della seconda fase di cura dell'essere umano che voglia definirsi tale. Ovvero fermarsi dinanzi al fenomeno corporeo, accettare il limite umano che non si può capire frettolosamente (altrimenti semmai si ritorna “in fretta” alla fase primaria), incominciare a respirare, interrogarsi sul “come mai mi accade questo”, smettere di pensare di essere immortale, incominciare gradualmente ad assumersi delle responsabilità, ecc.

Per esempio si può immaginare che l'uomo in questione ad un certo punto, riflettendo sulla sua relazione corporea presente e basata sul qui-e-ora, decida non di fare cose in più ma smetta di fare cose che consapevolmente lo “ingrassano”. Per esempio si accorge che la sua nevrosi caratteriale lo spinge a mangiare fuori pasto perché si sente solo, a bere troppo perché si sente solo, a non fare sport perché si sente solo, ecc. Sapersi per un attimo interrogare: “Ma non starò mica ingrassando perché mi sento solo?!”.

Fare un miliardo di cose spesso fittizie per cui si dice a se stessi, oppure ci viene detto dall'esterno, che provare ad entrare in contatto con il mondo per finalmente nutrirsi è semplice utopia, accettare passivamente che questa società alienante ci fagociti nel “funziona sempre così!”, appartiene sicuramente al primo processo “acerbo” di cura dell'essere umano.

Assumersi, altresì, la respons-abilità di trasformare il senso di solitudine in questo caso, come naturalmente per altre esperienze emotive, in qualcosa di creativo rappresenta, invece, il secondo processo curativo più “maturo” e certamente più saggio. Entrare finalmente in rapporto dialogico con la propria corporeità facendo una cosa assolutamente coraggiosa al giorno d'oggi; ormai folle per molti: “Imparare a mettere le mani nella marmellata per non mangiarsela tutti i giorni”.

"Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi" (Merleau-Ponty)

Data pubblicazione: 27 giugno 2016

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