Quale differenza tra lettura classica e digitale?
La differenza tra lettura classica e digitale? Mi interrogo. Proprio ieri, pur essendo un pessimo lettore di libri, leggevo Frankstein di Mary Shelley. Ad un certo punto un personaggio desta la mia curiosità, senza voler entrare nel merito della caratterizzazione di tale personaggio, mentre leggo, mi accorgo che inizio “fisiologicamente” a proiettare su di lui stati d'animo, pensieri, emozioni, ecc. insomma ad un tratto, quasi per magia, lui è me ed io sono lui. Questo fenomeno intrapsichico viene denominato Proiezione: capacità dell'essere umano di proiettare parti di sé stesso su un altro essere umano, oggetto, animale, ecc.
Incomincio così ad appassionarmi vivacemente alla lettura, ed in quel mentre mi pongo un altro interrogativo: “Quando leggo su Internet (articolo, post, tweet, ec.) accade lo stesso fenomeno intrapsichico come nel libro in cartaceo? Personalmente la riposta è ni, neologismo che indica una risposta da una parte sì da una parte no. Inizio con il no.
No per il semplice motivo che la lettura “virtuale” digitale è fisiologicamente strutturata sulla velocità, rapidità, cambi direzionali dell'attenzione (es.: banner che spostano l'attenzione su altro). Quindi cosa accade solitamente alla persona? Accade che dalla lettura “proiettiva” si passi alla lettura “evitante”, ovvero un tipo di lettura che eviti il processo “io sono quelle righe” di cui parlavo prima, ed a cui fa riferimento il meccanismo proiettivo.
Quando entro dentro la lettura digitale evito questo processo per un semplice quanto importante motivo, proiettare parti del sé implica necessariamente un momento di “cura” verso noi stessi, in quanto attraverso l'alterità, in questo caso il libro, ci prendiamo cura di parti di noi attribuendo ad una storia diverse opportunità esistenziali: rendere vive quelle parti, svelare parti nascoste, trasformare quelle parti in altro, consapevolizzare chi siamo, ecc. Questo processo, che poi è alla base del processo di cura terapeutico, reca in sé una difficoltà esistenziale onnipresente: l'impegno. Nel senso che posso prendermi cura di me solo ed esclusivamente “impegnandomi” in qualcosa recando attenzione nei riguardi dell'oggetto esterno che poi, relazionalmente, diventa interno.
La domanda è: Come posso impegnarmi nella lettura virtuale così fugace e cliccabile con finestre che si aprono senza che io lo desideri?”. La risposta è: “Non posso e soprattutto non voglio!”. Leggo articoli, post, tweet, ecc. per un bisogno che è diametralmente opposto all'impegno ergo alla cura: si chiama edonismo. Ovvero il rendere bello tutto o tutto bello evitando e rimuovendo totalmente aspetti di sofferenza, dolore, pena, tristezza, difficoltà, ecc. che non vengono mai proiettati all'esterno e dunque potenzialmente assimilabili al nostro interno.
Per inciso, e qui inizia la mia parte che risponde sì, naturalmente anche su Internet proiettiamo ma più sulle immagini edonistiche che sulla scrittura, i pubblicitari lo sanno bene motivo per cui i contenuti scritti stanno in pratica sparendo a favore delle immagini cliccabili. Il punto è che sulle immagini “belle” proiettiamo solo il “bello” di noi, poi scappiamo subito senza far accadere nemmeno il fenomeno proiettivo nella sua totalità e complessità che nella fattispecie si polarizza solo sul bello ed il buono di noi; rimuovendo totalmente quella che Jung chiamava la nostra “zona d'ombra”.
Mi re-interrogo nuovamente ed arrivo al sì senza alcuna incertezza: “Trattasi dunque di un fenomeno proiettivo?”. La risposta è sì, in quanto si potrebbe definire la lettura digitale “virtuale” come un fenomeno edonisticamente proiettivo, dove si proiettano solo parti di noi che possono alimentare costantemente la nostra stima ipertrofica, evitando di entrare in contatto con quelle parti che, probabilmente, guadagnerebbero pochi "mi piace" su Facebook. Motivo per cui Facebook evita accuratemente di mettere il tasto "non mi piace": cadrebbe l'edonismo = cadrebbe l'autostima ipertrofica = cadrebbe il social network.