Quali effetti su cervello determina la psicoterapia?

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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo

Lo studio e la ricerca scientifica nell’ambito della salute mentale sta attraversando un periodo particolarmente intenso di sviluppo e di riformulazione teorica e applicativa. I risultati provenienti da una vasto repertorio di pubblicazioni scientifiche, si stanno orientando verso una concettualizzazione interdisciplinare della mente e della salute mentale.

La “Neurobiologia interpersonale” dello sviluppo umano ha evidenziato che la struttura e l’attività della mente e del cervello sono modellate dalle esperienze, in particolare da quelle che hanno a che fare con le relazioni significative a livello emozionale.

La prospettiva della neurobiologia interpersonale attinge da un’ampia gamma di discipline per creare un’immagine integrata dell’esperienza umana e promuovere il benessere negli individui, nelle coppie, nelle famiglie, nella comunità.

Un sistema integrato, rende le nostre vite flessibili, adattive, coerenti, piene di energia e stabili. Senza questa integrazione, il flusso delle nostre menti si muove verso la rigidità o il caos.

Attraverso l’integrazione di molti domini della nostra esperienza, all’interno di una ricettiva forma di consapevolezza ricettiva, noi sviluppiamo nelle nostre vite un flusso più connesso e armonioso. Tali integrazioni includono la connessione della memoria implicita con quella esplicita, delle modalità di elaborazione dell’emisfero sinistro con quelle dell’emisfero destro e della consapevolezza delle sensazioni corporee. Le nostre menti hanno una tendenza innata verso l’integrazione e la guarigione.

Liberare questa spinta verso il benessere rappresenta un obiettivo centrale della psicoterapia, che consente la creazione di stati integrati che portano ad una autoregolazione adattiva.

L’integrazione neurale, una mente coerente e le relazioni empatiche formano i tre lati di un triangolo della salute mentale, che può essere visto come il focus nel processo psicoterapeutico. Durante il percorso terapeutico tentiamo di integrare le sensazioni, le immagini, i sentimenti e i pensieri che comprendono il flusso di energia e di informazione che definisce le nostre vite mentali.

Le sensazioni includono le strutture non verbali create dal corpo che riguardano lo stato dei muscoli nelle nostre membra e nella faccia, i nostri organi interni, le tendenze all’azione e i movimenti attuati.

 

Le neuroscienze hanno evidenziato che mente e cervello sono in relazione dinamica. Questo concetto è stato approfondito da Kandel (2005), il quale sostiene che si dovrebbe pensare alla relazione tra mente e cervello facendo riferimento a cinque principi fondamentali:

  1. tutti i processi mentali derivano da operazioni cerebrali;
  2. i geni e le loro possibili combinazioni sono determinanti importanti dello sviluppo e del funzionamento dei neuroni e delle loro interconnessioni;
  3. il comportamento può modificare l’espressione dei geni;
  4. le modificazioni dell’espressione genica possono portare a modificazioni delle connessioni neuronali;
  5. se gli interventi terapeutici non biologici (ad esempio, le psicoterapie) determinano modificazioni del comportamento, è verosimile che lo facciano attraverso la modificazione dell’espressione genica e dell’efficacia delle connessioni tra i neuroni.

Gli sviluppi nello studio dei meccanismi di base nel dialogo mente-cervello e del modo in cui l’esperienza modifica la struttura ed il funzionamento cerebrale, hanno creato molte aspettative sulla possibilità di approfondire e visualizzare gli equivalenti neurobiologici del cambiamento clinico che si osserva a seguito di interventi terapeutici non biologici, quali le psicoterapie o la riabilitazione neuropsicologica.

Attraverso l’utilizzo di metodologie di neuroimmagine funzionale si possono, ad esempio, controllare gli effetti di interventi di addestramento sulla riorganizzazione cerebrale in seguito a lesioni cerebrali (Mazzucchi A, 2006).

Negli ultimi anni sono stati condotti anche diversi studi che hanno analizzato come alcune tecniche psicoterapiche possono avere effetto sull’attività delle diverse aree cerebrali, un effetto che corrisponde al miglioramento clinico e che, in alcuni casi, è diverso dall’effetto che possono avere interventi di tipo farmacologico.

Pur essendo un approccio relativamente nuovo, sono già state pubblicate alcune revisioni degli studi di neuroimaging sugli effetti della psicoterapia (Beauregard M et al., 2009; Linden D, 2006; Roffman JL et al., 2005). Tutti questi contributi di ricerca si fondano sull’ipotesi che la psicoterapia sia una forma controllata di apprendimento nel contesto della relazione terapeutica e, pertanto, hanno considerato la neurobiologia della psicoterapia come una forma particolare della biologia dell’apprendimento (Etkin A et al., 2005).

 

L’obiettivo di queste indagini è valutare e di verificare se vi fosse una base neurobiologica che potesse validare l’efficacia di questi trattamenti (Roffman JL et al., 2005; Linden D, 2006), piuttosto che quello di approfondire i meccanismi attraverso cui un intervento psicoterapico induce un cambiamento nel comportamento, nel funzionamento cognitivo, e nella dimensione emotivo-affettiva.

I risultati della maggior parte di questi studi concordano sul fatto che alcuni interventi psicoterapeutici modulano l’attività cerebrale soprattutto a livello di aree specifiche, quali la corteccia prefrontale, il cingolo anteriore e l’amigdala, e sul fatto che le modificazioni a carico di queste aree corrispondono al miglioramento clinico (Frewen PA et al., 2008).

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Data pubblicazione: 17 febbraio 2016 Ultimo aggiornamento: 21 febbraio 2016

2 commenti

#2
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Dr. Nicola Patanè

Molto interessante quello la collega scrive. Condivido in pieno, anzi mi permetto di consigliare sull'argomeno anche il bel libro di Norman Doidge 'Il cervello infinito' (Ed. Ponte alle Grazie, Firenze, 2007).

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