MEMORIA (e metafore) in Psicologia Analitica
Ci sono molte metafore nella psicologia, in particolare in quella analitica e del profondo, conservate e tramandate dalla storia, dai miti, dalle leggende e dalle fiabe dei bambini. E da archetipi. Tutto ciò ci aiuta a capire meglio il comportamento umano.
- Dicono molti studiosi, anche non psicologi del profondo, che “I ruoli scartati dall’Io sono ruoli considerati colpevoli”. E per liberarci da questo peso, la nostra coscienza li attribuisce ad altri: cioè a soggetti finti, immaginati o inventati. Questo processo mentale, lo chiamiamo “proiezione”, e ci fa comodo per non sentirci responsabili di molte nostre perverse azioni. Questi soggetti a noi esterni e presenti soltanto nell’ immaginazione sono figure simili a queste: il diavolo, l’orco, la strega, il mago cattivo etc.. Questo dinamismo di difesa a livello individuale si estende anche sul piano “collettivo”. Allora la proiezione è indirizzata non su un essere cattivo, o sul maligno, ma su una razza, su una cultura diversa, su una stirpe, su un popolo. E questo risolleva l’animo di tutti, sia individualmente, combattendo fantasmi interni logoranti e gravosi, sia sul piano collettivo, perché si affrontano immagini collettive, deleterie. E ci si libera di loro.
- Chiarendo meglio il pensiero esposto, questo dinamismo di difesa permette di tacitare la coscienza. Sia sul piano personale: “non sono stato io a farlo, è stato il “diavolo” che mi ha trascinato a pensare o a fare un’azione cattiva”; sia sul piano collettivo, che permette di attribuire e addossare agli altri, ai soggetti deboli, trasgressivi, irregolari, che la pensano in modo diverso, esseri ignobili, la necessità di assumere le misure per allontanarli in tutti i modi possibili. Quindi, quello che si rimuove perché è scomodo a sopportarsi, lo si proietta su altri soggetti che vengono considerati, “collettivamente”, entità perverse, cattive, insulse, fragili, da disprezzare, e da sconfiggere, a costo di distruggere tutte le espressioni civili di un popolo. E allora avviene la caccia ai lupi, alle bestie che avvelenano e insidiano il “modo di vedere e vivere la vita”.
Quindi, bando al nemico che va distrutto, sconfitto, cancellato dalla faccia della terra,
perché in lui vengono proiettati il cattivo comportamento e tutti i malanni che inconsciamente sono stati rimossi perché inquinanti.
- Questo dinamismo permette di comprendere o intuire cosa è una “razza pura”, una razza che non ha limiti per il potere. “”Ciò avviene perché, unitamente all’istinto sessuale che è atavico e primordiale, e permette l’espansione verso la vita, il progresso, e la riproduzione della specie, c’è anche insito nell’inconscio umano un altro istinto, disperato e pericoloso, che è quello “del potere e dell’”onnipotenza”””. Qualcuno attribuiva ad un dittatore moderno queste parole che cito a memoria e in modo impreciso:.
- Se questi soggetti sono deboli, affranti, demotivati e soprattutto “contrari” alle idee correnti, essi devono essere distrutti. I mezzi per farlo sono tanti e la storia ce li ricorda: Troia fu distrutta dalla civiltà ellenica; i Macedoni, con Alessandro il grande (figlio di Filippo II) distrussero altre civiltà e conquistarono l’oriente, noi stessi dopo la scoperta dell’America, e cioè poco tempo fa, distruggemmo una civiltà, nel Nord, quella degli Indiani d’America che da molti milioni sono ridotti a 200.000 unità e vivono ancora nelle riserve. Gli Stati Uniti non vollero distruggere la civiltà nera, e preferirono comportarsi diversamente: “li assimilarono”, alla loro civiltà, cercando di dissolvere l’apartheid nei loro confronti, anche perché i neri d’Africa, importati con la forza nei secoli scorsi come schiavi, ultimamente, nel XX secolo, furono gli inventori di una grande musica che proviene dal loro animo, ammalato di tristezza e di “malinconica allegria” e sottoposto a tante tragedie: la musica Jazz.
- Sì, proprio il Jazz, già proibito dai Tedeschi nazisti in Germania e nelle terre conquistate, e da Mussolini in Italia, che però si vide crescere in casa un figlio che fu uno dei più grandi jazzisti italiani del dopoguerra. Quando si dice….gli scherzi della sorte!.
Nel secondo dopoguerra, ci furono momenti di grande tensione tra gli Stati Uniti d’America e la Russia. Durante questo periodo storico che fu chiamato della “guerra fredda”, non si trovava nemmeno nello sport e nelle Olimpiadi, se non in limitati casi, modi per superare queste divergenze politiche. Si pensò di inviare in Russia un rappresentante culturale degli Stati Uniti, e fu trovato in Louis Armstrong, l’indimenticabile Satchmo, nero, tranquillo, sempre pronto a partire, con la sua tromba dall’inconfondibile suono, per dare concerti in tutto il mondo.
Nel 1957, il Governo degli Stati Uniti voleva appunto inviare Armstrong a visitare e suonare nell'Unione Sovietica. Ma esplose un caso di grande insofferenza razziale. “Armstrong era furioso per gli sviluppi in Little Rock, Arkansas, dove una folla di cittadini bianchi e armati, uomini della Guardia Nazionale avevano recentemente bloccato l'ingresso di nove studenti afro-americani nel tutto bianco Central High School”. Ancora un episodio di intolleranza etnica e razziale. Armstrong si rivolse al Presidente degli Stati Uniti, si dichiarò pronto a partire, a patto che il Presidente intervenisse nella situazione che si era creata nell’Arkansas. E così fu.
Satchmo fu gradito al Soviet di Mosca e partì con la sua band per la Russia. Tenne a Mosca un grande concerto e un tour per la Russia riscuotendo un enorme successo
- Ma quello che fecero i nazisti fu qualcosa di straordinaria ferocia. Uccisero più di Sei milioni di ebrei (tedeschi, italiani, francesi, ungheresi, olandesi, finlandesi etc.), in più anche testimoni di Geova, zingari e quant’altro, perché considerati di razza inferiore e quindi non di “pura razza”. E li uccisero tutti… o quasi tutti. Con metodi eseguiti dai più feroci aguzzini e medici del regime nazista, fedelissimi a Hitler, un massacro che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere. I sopravvissuti furono pochi. Si racconta che quando gli americani entrarono ad Auschwitz, trasecolarono, ed erano soldati forgiati nella mente e nel corpo, con esperienze di guerra straordinarie e orrende. Eppure niente era stato sperimentato in passato come quello che trovarono nel campo di sterminio. Alcuni di loro si sentirono male e dovettero ricorrere alle cure degli psichiatri del loro reggimento.
- Per ultimo vorrei citare Fenestrelle, dove c’è inerpicata tra le montagne una Villa fortificata. Lì vi affluivano banditi del Meridione d’Italia, oppositori politici sia laici che religiosi di tutti i governi in carica, civili accusati di brigantaggio, militari agli arresti o prigionieri di guerra, (da Wik.), vi furono reclusi i condannati ai lavori forzati e tutti subivano maltrattamenti, nutrizione scadente o assente, condanne a morte. Questa fu Fenestrelle dopo l’ unità d’Italia, e lì vi furono imprigionate persone che si erano macchiate di delitti, ladri ed altri soggetti poco raccomandabili. Era una prigione dei Savoia. Vi finirono anche i soldati borbonici che non si arresero all’esercito di Cialdini e tennero le roccaforti di Civitella del Tronto e di Gaeta fino all’ultimo. Quelli che sopravvissero furono fatti prigionieri e inviati in questo carcere sabaudo. Vi affluirono anche dei Garibaldini, quelli che non si accontentarono di avere combattuto per lasciare alla monarchia dei Savoia tutti i territori presi ai Borboni, cioè quella parte esigua degli eroi dei Mille, irriducibili, soldati con cui Garibaldi era partito da Quarto. E quindi s’incontrarono soldati borbonici e garibaldini accomunati nella triste storia di come finiscono i grandi combattenti, e le teste calde. Si era capito che i Savoia non avevano contemplato né vitto né altri beni da consumare, e tutta questa gente sarebbe morta di stenti. Ma siccome resisteva al freddo e alle intemperie e alla fame, allora, si dice, che furono spogliati dei loro vestiti e fu dato loro un telo a testa per coprirsi e per sopravvivere al freddo. Ma il freddo da quelle parti di Fenestrelle era troppo, e tutti morirono assiderati, lasciando anche una documentazione della loro sorte. Non erano tanti, ma fecero una fine orribile.
La memoria di questi eccidi si perde con il tempo che passa …. Ma la memoria non può e non deve morire…. E i fatti che la memoria trasferisce devono essere, come si dice nei libri di scuola, di monito per le giovani generazioni.
La memoria è forse la parte più importante per ogni soggetto umano che ci fa sperare nell’immortalità dell’anima.