Ansia danni cervello.

Può l'ansia provocare danni al cervello?

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Dr. Stefano Totaro Psicologo, Psicoterapeuta

Sembrerebbe di si: è quello che risulta da una review pubblicata sulla rivista Current opinion in Psychiatry. Il documento mette in allerta riguardo alla prevenzione e alla ricerca di modi, strategie e percorsi per ridurre lo stress e l'ansia che, se elevati, aumentano il rischio di sviluppare depressione o demenza, impattando sulle abilità cognitive e affettive.

Ansia, paura e stress: quale relazione?

La ricerca dal titolo Can anxiety damage the brain? dimostra che stress cronico ed ansia possono danneggiare il nostro cervello.

Ma andiamo per gradi.

L'ansia è una sensazione di disagio, nervosismo e preoccupazione riguardante un evento dall'esito incerto. Essa è una normale componente della vita quando è occasionale e temporanea, ma può diventare patologica quando è frequente o cronica e inizia a interferire con le attività quotidiane come il lavoro, la scuola e le relazioni.

La paura è definita invece come una reazione emotiva di fronte ad una immediata minaccia, reale o percepita, ed è considerata di vitale importanza per la sopravvivenza. Ma la paura può anche essere patologica, come per esempio quella espressa nei disturbi fobici.

Lo stress è tipicamente concettualizzato come una risposta adattativa ad una sfida specifica. Se cronico, tuttavia, diventa uno stato patologico causato da un'attivazione prolungata della normale risposta fisiologica allo stress, che può devastare il sistema immunitario, metabolico e cardiovascolare.

Quali sono i meccanismi che regolano l'ansia?

Viene da sé che ansia, paura e stress non sono distinti, ma piuttosto correlati tra loro, in virtù dei comuni meccanismi neuroendocrini e di eccitazione.

I meccanismi che regolano l'ansia

Nella figura in alto (inserita nello studio) sono mostrate le strutture chiave nel circuito neurale di paura e ansia (amigdala, corteccia prefrontale mediale, ippocampo) che sono influenzate durante l'esposizione a stress cronico. Queste strutture mediano il condizionamento alla paura e all'estinzione della stessa e servono anche a regolare la risposta allo stress.

Per rendere più comprensibile il tutto basti sapere che:

  • l'amigdala è la parte del sistema limbico specializzata nelle questioni emozionali. È attraverso di essa che abbiamo le risposte fisico/emotive allo stimolo (tensione muscolare, variazioni della pressione sanguigna, aumento della frequenza cardiaca, il rilascio di ormoni e altre risposte fisiologiche e cerebrali)
  • la corteccia prefrontale controlla le funzioni esecutive come la capacità di prendere decisioni o la memoria cosiddetta a breve termine, che permette di agire in maniera controllata in base agli stimoli e alle informazioni provenienti dall’ambiente circostante.

Sotto stress, dunque, la disattivazione della corteccia prefrontale e l'iperattivazione dell'amigdala sono adattivi alla nostra sopravvivenza, ossia i meccanismi fisiologici alla base ci permettono di smettere di pensare per agire in maniera impulsiva attivando i meccanismi deputati al combattimento del pericolo imminente come il battito cardiaco e la pressione sanguigna ad esempio (con l'obiettivo di "fuggire per salvarsi").

Le conclusioni a cui ha condotto la review (peraltro non nuove) sono che lo stress cronico eleva il rischio di disturbi psichiatrici come la depressione e, più recentemente, è stato collegato con l'insorgenza di demenza. Potenziali meccanismi di queste associazioni sono suggerite dalle osservazioni sperimentali che sottolineano come lo stress iperstimola l'attività dell'amigdala, ma porta alla degenerazione strutturale della corteccia prefrontale e dell'ippocampo, che a loro volta conducono a deficit nella regolazione delle emozioni e disturbi cognitivi.

È quindi evidente che ansia e stress patologici possono a lungo andare danneggiare il cervello. Questo danno però è reversibile, sia attraverso interventi farmacologici (antidepressivi) che non farmacologici (psicoterapia). È tuttavia necessario perdurare con gli studi longitudinali per dimostrare l'efficacia della reversibilità di tale danno.

 

Bibliografia:

Data pubblicazione: 25 gennaio 2016 Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2021

2 commenti

#1
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Ex utente

Buonasera,
anzitutto grazie per il vostro impegno nel tenerci sempre informati riguardo argomenti di medicina (che va oltre i vostri doveri lavorativi).
Vorrei fare una domanda riguardo a un termine dell'articolo che non mi è del tutto chiaro: quando si parla di "degenerazione strutturale" ci si riferisce alla morte dei neuroni o alla perdita delle connessioni sinaptiche fra di essi?
Grazie mille per la disponibilità e buona serata.

#2
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Ex utente

Chiaramente intendo (nel caso in cui il termine possa essere interpretato in più modi) chiedere che significato abbia il termine in questo articolo.
Grazie ancora e buona serata

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