The Google University: ricerche online e falso senso di conoscenza
Nell’ultimo decennio la maggior parte di noi è stata coinvolta in una sorta di studio psicosociale dalle enormi proporzioni. Internet e social network hanno cambiato per sempre il modo in cui accediamo e comunichiamo le informazioni. Infatti, il percorso tradizionale di distribuzione dell’informazione e formazione delle opinioni, dall’alto verso il basso, si sta sgretolando e sta lasciando il posto a un nuovo sistema, gratuito, che va dal basso verso l’alto.
Le conseguenze dovute a questo cambiamento, desiderate e indesiderate, devono ancora essere valutate in tutta la loro portata. Tuttavia, uno degli effetti già evidenti è che molte persone credono di avere competenze che in realtà non posseggono, solo perché possono fare ricerche online. La democratizzazione della distribuzione dell’informazione ha portato a un falso senso di democratizzazione e competenza.
Pur essendo l’accesso all’informazione un’ottima cosa, non esiste alcun modo per insegnare al vasto pubblico come usare le informazioni in modo ottimale evitando le insidie più comuni. Spesso le scuole sono inadeguate nell’insegnare agli studenti come profittare al massimo delle informazioni reperite online e la maggioranza degli adulti avevano già concluso il proprio periodo di formazione scolastica/universitaria prima dell’arrivo di internet.
Playmate e vaccini
Il risultato di tutto questo è il cosiddetto “effetto Jenny McCarthy”, dal nome dell’attrice americana convinta che la propria opinione da non esperta sia in grado di rimpiazzare il consenso degli esperti sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini, perché lei “ha fatto le sue ricerche”. Si tratta di un esempio evidente di come cercare online possa conferire un falso senso di fiducia nelle opinioni non scientifiche, e che mostra quanto studiare alla “Università di Google” possa rivelarsi fuorviante.
Le insidie in gioco sono molteplici. La prima è evidenziata da una nuova serie di esperimenti (inglese) condotti da Matthew Fisher, studente di psicologia alla Yale University, che ha indagato specificamente sull’effetto della ricerca online sul senso di fiducia nelle proprie conoscenze. Ovviamente, cercare attivamente informazioni su un certo argomento, di per sé amplifica la fiducia che abbiamo nel conoscerlo. Fisher, perciò, ha cercato di controllare l’effetto di quante più variabili possibili per scovare un qualche effetto che fosse indipendente dal semplice atto del ricercare.
È emerso che le persone sviluppavano una fiducia maggiore nelle proprie conoscenze quando dovevano cercare per trovare dati sull’argomento, rispetto all’esservi portati direttamente dagli sperimentatori, anche quando sull’argomento non esistevano informazioni rilevanti online, quando le ricerche venivano falsate dagli sperimentatori, filtrando via le informazioni rilevanti e persino quando leggevano le stesse informazioni online piuttosto che su carta stampata.
In altre parole: anche quando le reali informazioni venivano tolte di mezzo dai ricercatori, l’atto stesso del cercare online ha dato alle persone un maggior senso di fiducia nella loro conoscenza degli argomenti.
Si tratta di esperimenti complessi e ci sarà pertanto bisogno di repliche affinché, scientificamente, possano essere considerati affidabili. Tuttavia, essi non fanno altro che confermare un dato già tangibile agli esperti: avere accesso a una massa enorme di informazioni può dare l’illusione di padroneggiarla.
Liste di sintomi e autodiagnosi
Dal punto di vista dello psicoterapeuta il fenomeno è ben evidenziato dalla gran quantità di persone che ci contatta, convinta di essersi diagnosticata da sola delle psicopatologie semplicemente leggendo liste di sintomi liberamente reperibili su Google.
Come quando si fa la spesa: “Questo ce l’ho, questo ce l’ho... anche questo... questo no, ma non importa... Hah! Ecco qua: ho un bel disturbo di personalità dipendente!”
Ci sono però vari problemi in questo approccio.
Il primo è illustrato sopra: il solo atto di cercare su internet fa sentire esperti.
Il secondo, specifico della psichiatria e della psicologia clinica, è che la diagnosi psicopatologica è un atto complesso, che non di rado trova discordi gli stessi clinici. Si prenda ad esempio la diatriba fra disturbo bipolare versus disturbo di personalità borderline e quadri affini. Si considerino le varie edizioni del DSM, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, che a ogni nuova uscita ribalta e stravolge classificazioni e criteri dati per consolidati nella release precedente. Oppure, restando fra i disturbi sulla cui definizione e classificazione esiste maggior consenso, si tenga conto che uno stesso paziente può essere definito semplicemente ansioso in una diagnosi, affetto da ansia generalizzata in un’altra, ossessivo-fobico o fobico-ossessivo in altre ancora. Si consideri, inoltre, che le diagnosi psicopatologiche sono spesso quadri in evoluzione, ossia cambiano nel tempo.
In poche parole: la diagnosi può essere difficile da mettere a punto per il clinico, figuriamoci per il non addetto ai lavori. Le liste di sintomi sono solo linee-guida generali, che vanno interpretate e calzate alla realtà del singolo. Oltretutto, recentemente se ne sta persino mettendo in discussione l’utilità, proponendo di sostituirle con dati rilevati non dal comportamento e dai resoconti soggettivi, ma unicamente da esami “oggettivi”, ad esempio di imaging cerebrale.
Io la so più lunga di voi
Come illustravo in questo recente articolo, gli psicologi parlano di confirmation bias (tendenza alla conferma) quando è in gioco la tendenza - insita in ognuno di noi - a credere in ciò che già si crede piuttosto che alle nuove informazioni di senso contrario. Fenomeno che, nel caso in analisi, si manifesta all’ennesima potenza.
Avendo la possibilità di scandagliare molte informazioni, aumenta la probabilità che la persona, senza rendersene conto, dia più rilevanza a quelle che confermano ciò in cui già crede. È solo questione di tempo e pazienza. Cercando a sufficienza si possono trovare conferme a tutto ciò che si vuole.
La tendenza alla conferma è pericolosa perché crea l’illusione che quello che crediamo si basi su dati oggettivi. Ciò perché siamo inconsapevoli del grado in cui noi stessi filtriamo e distorciamo i dati con cui veniamo a contatto.
In sintesi: internet è un meccanismo eccezionale di conferma delle proprie convinzioni.
La versione più estrema e amplificata di tale fenomeno è costituita dalle casse di risonanza mediatiche dove il filtraggio dell’informazione è formalizzato, ad esempio nelle comunità online. Solo un punto di vista è espresso e solo le informazioni che lo supportano vengono condivise, rimuovendo o contraddicendo frontalmente le restanti.
Si tratta, notare bene, di un effetto generalizzato. È altrettanto vero per le comunità scientifiche e per quelle pseudo-tali. Tuttavia, il ragionamento scientifico possiede al suo interno un meccanismo di autocorrezione tale per cui quando una teoria riesce davvero a render conto di ciò che accade, presto o tardi soppianterà le precedenti teorie meno utili. Come sempre, il tempo è galantuomo.
Conoscenza o competenza?
Un altro problema è la potenziale confusione fra conoscenza e competenza. Chi ne è affetto può essere molto intelligente e possedere vaste conoscenze, ma usandole in modo improprio giunge a conclusioni assurde, in cui crede ciecamente.
Questo avviene perché di solito gli pseudoesperti non si confrontano nel dovuto modo con il resto della comunità, in special modo nelle aree più tecnicamente complesse. Ma il confronto con l’esterno è fondamentale, perché è difficile per il singolo poter osservare un argomento complesso da tutti i possibili punti di vista.
In sintesi: la differenza fra il vero esperto e il sedicente tale è che il primo è disponibile al confronto, il secondo no. Il falso esperto non riesce ad apprezzare il divario esistente fra i suoi studi da Google University e la profondità di comprensione che caratterizza il vero esperto.
Conclusione
Internet sta creando eserciti di pseudoesperti convinti. Ci sono però alcune contromisure che è possibile adottare, come individui:
- Siate umili. Non crediate che un poco di conoscenza sia sufficiente, rispettate le opinioni dei veri esperti. Non c’è bisogno di crederle, solo che le prendiate seriamente.
- Comprendete il vantaggio inerente al consenso di molti esperti rispetto all’opinione del singolo.
- Quando fate ricerche online, cercate anche le informazioni che vanno contro al vostro punto di vista attuale. Cercate di capire ciò che dicono le varie parti e rimandate il giudizio finale a dopo che avrete ascoltato tutte le campane.
- Rendetevi conto di come internet sia perfetta per alimentare il fenomeno di tendenza alla conferma. Lo stesso Google può distorcere involontariamente i risultati delle vostre indagini, dato che non esiste garanzia di veridicità o affidabilità su ciò che vi offre.
- Comprendete che oltre al fenomeno involontario di tendenza alla conferma, su internet esistono fenomeni deliberati di tendenziosità organizzata, come le casse di risonanza e le propagande ideologiche spacciate per scientifiche.
- E, come sempre, non esiste sostituto migliore allo scetticismo e al pensiero critico.
E infine ricordate: anche quando sono tutti d’accordo fra loro, persino gli esperti possono sbagliarsi.
Fonte:
Steven Novella. 2015. The Google University Effect. Neurologica blog online.