Sindrome di Munchausen, studio italiano rivela come sia difficile la diagnosi tempestiva

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Dr. Federico Ambrosetti Psicologo, Psicoterapeuta

Il nome esatto è “Sindrome di Munchausen per procura” ed è una condizione mentale di tipo patologico per cui una persona, solitamente una mamma, meno spesso, un papà o un altro adulto, considera intenzionalmente malato il proprio figlio nonostante non abbia assolutamente alcun disturbo da un punto di vista fisico.


immagine da freedigitalphotos.net by David Castillo Dominici

Lo scopo è quello di convincere il bambino di soffrire di una qualche patologia più o meno grave e di indurre i medici a sospettare una malattia che richieda frequenti consulti, ricoveri o interventi chirurgici. Agli occhi dei sanitari i bambini presentano i sintomi di un disturbo organico, tuttavia tale malessere non è la conseguenza di una patologia medica, ma il risultato di un comportamento manipolatorio, di tipo fisico o psicologico, messo in atto dal genitore.

Solitamente questo comportamento “subdolo” del genitore presenta una gamma variegata di azioni e di atteggiamenti, che va dal pronunciare continuamente frasi rivolte al bambino del tipo “sei molto malato!”, “sicuramente morirai!”, a veri e propri maltrattamenti fisici, come indurre ferite o bruciature, oppure obbligare il figlio ad assumere sostanze dannose. 

Si tratta di una forma particolarmente ‘perversa’ di abuso sui minori capace di generare un grave stato mentale che può portare anche a esiti estremi quali la morte del bambino. In particolare, il termine “per procura” indica quel meccanismo psicologico per cui l’insieme dei comportamenti patologici attuati dal genitore rispondono alla necessità, malata, di attirare l’attenzione su di se.

Il presunto sintomo del bambino, cioè, non è altro che un “canale” attraverso il quale il genitore espone il suo malessere, la sua solitudine, il suo grido di aiuto, spesso il suo vissuto triste e difficile.

Da uno studio recente condotto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma è emerso che si tratta di una patologia che, spesso, resta nascosta e non diagnosticata e che i casi che vengono alla luce potrebbero rappresentare solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso e doloroso di quanto si pensi.

Il gruppo di ricerca, coordinato dal professor Pietro Ferrara, ha scoperto che tale condizione patologica è per lo più semi-sconosciuta e di difficile diagnosi per quanto rappresenti una condizione mentalmente molto dolorosa e pesante e che raramente le vittime riescono a raccontare.

Nello studio sono stati considerati 751 bambini ricoverati nel reparto di Pediatria del Policlinico Gemelli tra fine 2007 e inizio 2010 e nel quasi 2% dei casi è stato individuato un cosiddetto “disturbo fittizio”, cioè quasi sempre si trattava di disturbi inventati dal bambino stesso.

Ma in 4 casi sono stati riscontrati i criteri per effettuare la diagnosi di Sindrome di Munchausen per procura, cioè è stato uno o entrambi i genitori ad arrecare un danno fisico o psichico al bambino e indurlo a pensare di essere malato. E in 3 casi su 4 si è trattato della madre. La Sindrome di Munchausen, secondo i dati pubblicati da questo studio, sarebbe “una vera e propria forma di abuso nei confronti dei minori”.

A livello scientifico internazionale la sindrome è ben riconosciuta, ma in Italia, come in molti altri paesi del mondo, si tratta ancora oggi di un fenomeno sottostimato e riconosciuto con difficoltà, tanto che può trascorrere molto tempo tra la comparsa dei primi sintomi e l’identificazione della malattia, con il rischio evidente di sottoporre il bambino a esami e terapie inutili o addirittura dannosi.

Uno dei casi di “Sindrome di Munchausen” più conosciuti a livello internazionale è quello di Roos Boum, scrittrice olandese di romanzi che, in un libro autobiografico appena pubblicato in Italia edito da Franco Angeli (“Malerba: storia di una infanzia lacerata”), racconta il suo calvario di vittima della madre che ha inventato per lei una malattia devastandone la vita.

Nata nel 1963 nei Paesi bassi, a causa della sua presunta malattia, è stata trascinata nella sua infanzia da un medico all'altro, da un ospedale all'altro. Sempre isolata, non ha potuto finire la scuola per le continue assenze. Ha cercato quindi lavori che assecondassero le sue passioni. Finché, a quarant'anni, ha scoperto che sua madre le aveva mentito da quando era nata. Ha iniziato allora a scrivere e, nella scrittura, ha trovato la forza per affrontare il suo passato. Autrice di dieci romanzi, ha vinto numerosi concorsi di scrittura. 

 

Fonte: http://publicatt.unicatt.it/handle/10807/43357#.VMkA6GiG-PM 

Data pubblicazione: 28 gennaio 2015

4 commenti

#2

Completo il mio pensiero: bell'articolo perchè mette l'accento sul passaggio dalla considerazione e valutazione del sintomo portato dal bambino all'attenzione alla relazione tra madre e bambino, che può essere la generatrice del sintomo stesso. Proprio come esistono patologie iatrogene.

#3
Foto profilo Dr. Alessandro Scuotto
Dr. Alessandro Scuotto

Mi congratulo per aver affrontato in modo chiaro un argomento così delicato.
Mi sembra opportuno sottolineare che, purtroppo, la situazione non si verifica esclusivamente in ambito familiare, ma coinvolge i rapporti di accudimento (caregiving) anche in altre condizioni. Lo schema comune è la relazione nella quale uno dei termini sia percepito come oggetto di attenzione o di cura. In questo senso il "minore" non è soltanto il minore per età.
Se può essere di interesse allego il link all'abstract di una delle più recenti pubblicazioni:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25274180

#4
Foto profilo Dr.ssa Nunzia Spiezio
Dr.ssa Nunzia Spiezio

Caro collega complimenti per l'articolo. Mi piace soprattutto che si ponga l'accento su tale sindrome, che in Italia, a mio avviso, non trovo abbastanza attenzionata. Eppure di casi se ne verificano, eccome. Mi chiedo se il problema risieda solo nei non ancora ben delineati e verificabili criteri diagnostici o anche nell'iter. Credo che quest'ultimo richieda necessariamente essere multimodale e multifrequenziale, e cioè, coinvolgere più professionalità ed Enti diversi presenti sul territorio per un periodo considerevole. Ecco, a mio avviso, è talvolta anche la non perfetta sinergia tra tali Enti, oltre chiaramente alle resistenze del care giver interessato, una delle cause( e ciò, purtroppo, non solo per la sindrome di Munchausen) che lascia la patologia nascosta e non diagnosticata. Concordo più che pienamente su quanto scrive: "i casi che vengono alla luce potrebbero rappresentare solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso e doloroso di quanto si pensi" .

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