Narcisista o donnaiolo?
Le parole contano, si sa. Eppure, molte definizioni delle scienze psicologiche, date per scontate nel parlare comune, vengono travisate e stravolte nel significato originale. Ciò è specialmente pernicioso in questo campo, poiché presta il fianco a fraintendimenti più subdoli. I costrutti psicologici sono astratti, impalpabili. Ognuno di noi è soggetto alla tentazione di attaccarvi significati individuali e non condivisi.
A tale rispetto una delle parole più fraintese in assoluto, almeno limitandoci a leggere i racconti di alcune nostre utenti, è narcisista.
Il senso in cui il termine narcisista è usato grosso modo nei consulti di questo sito è: uomo che non riesce ad avere una sola donna; non appena gliene capita una tiro che ci sta, non se la lascia scappare. Con sommo dispiacere della donna che fino a prima della scoperta del supposto “narcisismo” credeva di essere la sola nel suo cuore.
La clinica psicologica/psichiatrica è un terreno scivoloso. Non sempre è scontato distinguere normalità e patologia in modo netto. Per limitare gli errori, sono state proposte varie classificazioni dei disturbi mentali riconosciuti, fra cui le edizioni del DSM sono le più usate.
Il narcisismo è definito come un disturbo di personalità, ovvero un quadro di grave disadattamento soprattutto relazionale. Già tale indizio dovrebbe suggerire che affibbiare a qualcuno l’appellativo di narcisista non andrebbe preso alla leggera. I clinici stanno attenti al cosiddetto problema dell’etichettamento, cioè scelgono se comunicare o meno una certa diagnosi al paziente, consapevoli della possibilità sempre presente di profezia negativa che si autoavvera. Per il solo fatto di essere chiamato in un certo modo da una persona autorevole - lo psichiatra o lo psicoterapeuta - la persona può inconsapevolmente accentuare o addirittura creare i sintomi del problema diagnosticato, in caso di diagnosi sbagliata.
Fino alla 4a edizione il disturbo di personalità narcisistico era definito dalla presenza di almeno cinque dei seguenti criteri:
1) Senso grandioso di importanza di sé, ad esempio convinzione di avere esagerati talenti e passati successi, si aspetta di essere riconosciuto come superiore.
2) Indulge in fantasie di illimitato successo, potere, eccellenza, bellezza.
3) Convinzione di essere speciale e unico e di conseguenza di poter essere capito e potersi accompagnare solo a persone altrettanto speciali e uniche.
4) Richieste eccessive di essere ammirato.
5) Convinzione di aver diritto alle cose, aspettative irragionevoli di subire trattamenti di favore e acconsentimento immediato alle sue richieste.
6) Sfrutta le relazioni, usando gli altri per i propri fini.
7) Mancanza di empatia, incapace di riconoscere o identificarsi nei sentimenti e bisogni altrui.
Il DSM V utilizza invece una combinazione logica di sintomi che evidenziano una significativa compromissione della personalità, manifestata da:
1) Compromissione del funzionamento del sé in una delle seguenti aree (a oppure b):
a) Identità: riferimenti eccessivi agli altri per ricavarne definizione e regolazione dell’autostima, autovalutazione eccessiva o insufficiente (può oscillare fra i due estremi), regolazione delle emozioni che rispecchia le oscillazioni nell’autostima.
b) Autodeterminazione: obiettivi stabiliti al solo scopo di ottenere l’approvazione altrui, standard personali irragionevolmente alti per potersi mostrare eccezionali, o troppo bassi e basati su un senso di aver diritto alle cose, spesso inconsapevole delle proprie motivazioni.
E inoltre:
2) Compromissione del funzionamento interpersonale (a oppure b):
a) Empatia: incapace di riconoscere o identificarsi nei sentimenti e bisogni altrui, eccessivamente attento alle reazioni altrui, ma solo se percepite come rilevanti per sé, sovrastima o sottostima il proprio effetto sugli altri.
b) Intimità: Relazioni in gran parte superficiali, sempre finalizzate alla regolazione della propria autostima, scarso interesse verso i reali bisogni dell’altro, bisogno di predominanza a scopo di vantaggi personali.
La seconda definizione è meno lineare e più convoluta della prima. Sembra anche presentare un profilo di personalità più egodistonica, che soffre cioè maggiormente il proprio disturbo.
Sia come sia, al lettore attento ed erudito non sarà sfuggito un certo livello di sovrapposizione fra la sintomatologia esibita (si fa per dire) dal disturbo narcisista di personalità e il disturbo di personalità antisociale. Ciò è forse più evidente nella prima delle due definizioni. In effetti una caratteristica dei disturbi di personalità è la frequente compresenza di sintomi appartenenti a classi o disturbi diversi nello stesso caso. Non sempre è facile diagnosticare DDP in forma pura. Anche qui la potenziale gravità di questi quadri dovrebbe suggerirci di pesare bene le parole prima di usarle.
Personalmente mi sento più vicino all’uso della vecchia definizione del DSM, per quanto riguarda il narcisismo, ma il dibattito è ancora aperto fra gli addetti ai lavori, su quale delle due edizioni sia da considerare "migliore" dell'altra.
Proviamo ora ad approssimare una definizione di narcisista derivandola dalle informazioni fornite dalle richieste di consulto di alcune nostre utenti.
Racconto tipico:
Buongiorno, sapevo che il mio fidanzato non era un uomo particolarmente fedele prima che conoscesse me. Però pensavo che, dopo esserci fidanzati, sarebbe cambiato. O almeno era ciò che mi aveva promesso. Scopro ora che si vede con altre donne! Eppure finora si era sempre comportato da insospettabile! Sono disperata, non capisco come possa, un uomo, fingere di stare così bene con una donna e avere allo stesso tempo altre avventure! Dottori, non sarà mica un narcisista? vi chiedo aiuto per sapere come comportarmi.
Uno dei compiti più difficili dello psicologo/psicoterapeuta strategico in senso ampio, ossia disposto a prendersi la responsabilità di innescare e accompagnare attivamente un cambiamento in chi gli chiede aiuto, è quello di saper dosare la necessità di dire le cose in modo morbido e quella di dirle in modo più diretto. Non sempre le due versioni coincidono. Tatto e morbidezza sono necessari per restare con la persona, per non farla fuggire da una realtà ancora troppo dura. Allo stesso tempo, però, la resistenza opposta dagli autoinganni che la persona si crea e che sovente mantengono in vita il problema, deve essere spezzata affinché la persona possa evolversi. E per far ciò può essere a volte necessario mettere la persona di fronte a ciò che preferirebbe non vedere.
Quali sono questi fatti, nel caso del supposto "narcisista" del racconto appena esemplificato?
Il fatto puro e semplice: il desiderio di avere molte donne e la menzogna non sono di per sé sufficienti affinché si possa parlare di narcisismo.
È difficile accettare che la stragrande maggioranza degli uomini desidererebbe effettivamente avere molte donne. Ma ciò può valere anche al femminile, dato che la specie umana non è fra le più monogame in assoluto.
Perciò l’uomo dell’esempio sopra non può probabilmente essere definito a buon titolo narcisista. Al massimo donnaiolo e bravo mentitore. Oppure usando epiteti morali anche più forti, ma dobbiamo fermarci qui. Per essere un vero narcisista ci vuole altro.
Di conseguenza, il suggerimento che le utenti ricevono da noi più di frequente in questi casi è di mettere il loro uomo di fronte alle proprie responsabilità. E subito dopo se stesse davanti alle proprie. Se non è tollerabile un fidanzato troppo bravo a "saltare il recinto", occorre dargli un secco ultimatum e, alla prima "ricaduta", apprestarsi a lasciarlo. Non è mai facile, lo sappiamo fin troppo bene, ma sta di fatto che quando nelle coppie c’è una importante incompatibilità, o uno dei due decide di adattarsi o il destino della coppia è segnato.