Eccesso di diagnosi e abuso di farmaci

n.patane
Dr. Nicola Patanè Psicologo, Psicoterapeuta

Primo, non curare chi è normale.

Lo psichiatra Allen Frances spero vorrà perdonarmi se prendo in prestito il titolo del suo recente libro, per dedicare attenzione ad un avvenimento sempre più dilagante in questi ultimi anni: l'abuso di diagnosi psichiatriche, l'abuso di psicofarmaci, il progressivo scivolamento da normale versus patologico.

Il fenomeno è in continua crescita sia perché i criteri diagnostici del disagio mentale tendono sempre più a catalogare come patologici comportamenti e situazioni sino a poco tempo prima considerati nella norma, sia perché gli psicofarmaci di nuova generazione riducono gli effetti collaterali più evidenti, favorendone la prescrizione e, cosa ancora più pericolosa, l'autoprescrizione.

Messi ormai in soffitta i vecchi Librium e Valium, sostituiti dal fratello minore Xanax (introdotto negli anni ottanta), l'inizio degli anni novanta ha poi rappresentato l'era dell'inesorabile avanzata degli antidepressivi a inibizione selettiva di ricaptazione della serotonina (SSRI).
Ogni anno o due compaiono nuovi farmaci SSRI (Zoloft, Paxil, Celexa) che sono sempre più frequentemente prescritti anche per i Disturbi di Panico, Ansia Generalizzata, Fobia Sociale, Disturbo Ossessivo - Compulsivo ed in generale come "tirami su" per ogni evenienza. L'ultimissima generazione di antipsicotici (Risperidal, Zyprexa, Seroquel) ha poi letteralmente spopolato in ambito medico ed è oggi utilizzata in quasi tutte le occasioni di sofferenza psicologica e addirittura somministrata anche ad adolescenti e bambini.

Il risultato è che ci ritroviamo in una società con persone sempre più malate che usano (e abusano) sempre più psicofarmaci.

Il caso più clamoroso di inflazione diagnostica è forse quello correlato al rapido aumento di diagnosi di Disturbo Specifico dell'Apprendimento (DSA) e Disturbo di Iperattività. Senza dubbio la maggiore attenzione dedicata a questo tipo di problemi infantili ha permesso di sviluppare tecniche e strumenti utili per tutti i bambini che ne soffrono, ma come rovescio della medaglia, molti di loro (e le loro famiglie) si sono spesso ritrovati impelagati in lunghi calvari di cure e visite mediche anche quando non sarebbero stati necessari. Prima di procedere ad una diagnosi, lo psichiatra Frances consiglia di tenere in considerazioni due elementi essenziali prima di emettere verdetto. "Il primo elemento da tenere in considerazione è il fattore tempo: da quanto si manifesta il disagio?"

Con il passare del tempo è andato peggiorando, è rimasto stabile o è migliorato? La seconda variabile da considerare è l'analisi scrupolosa della manifestazione dei sintomi: esordiscono tutti insieme (causa necessaria e sufficiente per giustificare una data sindrome) o si presentano solo alcuni di essi? E se si manifestano tutti contemporaneamente, sono presenti da un periodo ragionevole di tempo?". Accade invece sovente, sopratutto ai medici di base oberati da una grande mole di lavoro e dalla necessità di soddisfare richieste di un numero smisurato di pazienti, di trovarsi nella condizione di dover approntare diagnosi frettolose e piani farmacologici di emergenza.

La vita di ogni essere umano è per ragion d'essere costellata da momenti di particolare sofferenza (lutti, separazioni, crisi lavorative, malattie) che possono generare picchi di ansia, paura, preoccupazione e panico; se la soluzione veloce e pratica consiste nell'utilizzo della pillola che corregge gli squilibri chimici del cervello, il risultato sarà spesso quello di ritrovarsi in seguito con due problemi invece che uno: il disagio psichico e la dipendenza cronica da farmaci. La mente umana, come risultato di millenni di evoluzione, è attrezzata per resistere e cercare nuove stabilità, quando messa in condizione.

Afferma Frances "nel cominciare una nuova terapia bisognerebbe avere la stessa cautela che si ha nell'acquistare una casa, o nella scelta degli amici e del coniuge. Spesso la decisione di non prendere un farmaco psichiatrico può cambiare la vita. E'una decisione che non bisogna prendere a cuor leggero e passivamente".
Gli psicofarmaci migliorano (e spesso salvano) la vita di chi ne ha inconfutabilmente bisogno, ma possono rovinarla a chi non ne ha reale necessità.

Data pubblicazione: 20 novembre 2014 Ultimo aggiornamento: 01 dicembre 2014

7 commenti

#1
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Utente 171XXX

Scusi dottore, non è per tenere le parti degli psichiatri, ma non capisco perché mia mamma che è dall'età di 35 anni (ora ne ha 71) che prende farmaci dall'artrite, non è considerata dipendente, mentre io che è 5 anni che prendo farmaci per il Doc, verrei sicuramente considerato dipendente. Questo è uno dei vostri misteri. Eppure se ci togliamo i farmaci, il risultato è lo stesso per tutti e due: stiamo male

#2
Foto profilo Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

Scusa Patané, ma sull'abuso non mi torna il discorso. Io stesso nel blog ho discusso più volte l'abuso di benzodiazepine. L'abuso e "autoprescrizione" di antidepressivi e antipsicotici è, nel primo caso, poco fattibile, nel secondo paradossale. I pazienti tendono a smettere le cure, ancora è così. A farle durare meno di quanto indicato, non gradiscono assumere questi prodotti, mentre chi li assume perché sta meglio spesso si sente in colpa anche se di fatto ragiona bene. Non citi altre categorie, ovvero gli stabilizzatori dell'umore, i farmaci anticraving, e quindi non si comprende cosa debba andare sotto il termine, infelice, di "psicofarmaci", perché "psico" non è un insieme di condizioni tra loro simili, tutt'altro. La conclusione parrebbe eliminare il problema, perché se quando sono necessari vanno bene, dove sta la questione ? E dove l'abuso di antidepressivi e antipsicotici ? Non mi risulta come fenomeno.
E' vero quanto dice il lettore: chi prende medicine per un panico, un doc, una depressione, una dipendenza da anni è considerato "dipendente", cosa assolutamente priva di senso, mentre sta semplicemente seguendo una cura correttamente protratta nel tempo.

#3
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Dr. Nicola Patanè

Premetto che l'intento dell'articolo non è solo quello di mettere in evidenza la questione dalla dipendenza da farmaci, ne tantomeno eleggerlo come l'ennesimo manifesto contro l'utilizzo degli stessi. Sono convinto anch'io, anche per esperienza diretta, che nei casi di danni organici, degenerazione cellulare o gravi crisi psicotiche, i farmaci non solo possono essere d'aiuto ma addirittura indispensabili. Vorrei però aggiungere alle riflessioni fatte dall'utente e dal collega, che il cervello/mente possiede una caratteristica fondamentale che lo distingue da tutti gli altri organi: la capacità di speculazione, di costruzione di realtà, di attribuzione di significati. Dal mio punto di vista i farmaci possono influire in questo suo processo e spesso depotenziano la capacità di autoregolazione e di trovare soluzioni alternative. Non sono pochi i casi da me incontrati nella mia modesta esperienza clinica di utenti stanchi di anni di cure farmacologiche che hanno ormai paura di dismettere, che cominciano a chiedersi "sto bene perche sono io o perche è il farmaco?", o che si sentono malati cronici perché da una vita ne fanno uso. In questo caso parlerei di dipendenza.

#4
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Dr. Nicola Patanè

Per chi poi volesse approfondire tutti i temi accennati nel breve articolo, mi sento di consigliare il piacevole libro

Frances A.J. (2013) Primo, non curare chi è normale. Bollati e Boringhieri, 344 pagine.

#5
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Dr. Vassilis Martiadis

Caro Collega, consentimi di esprimere alcune osservazioni nei confronti di questo blogpost che si prefiggeva, probabilmente, di trattare un tema importante, quale la tendenza a rendere patologiche anche manifestazioni che patologiche non sono, tendenza che non solo può essere ritrovata in psichiatria e psicologia, ma nell'intero campo medico e messa in atto non solo da medici, psichiatri e psicologi, ma spesso e sempre di più dagli utenti/pazienti stessi.
Le buone premesse, tuttavia, si disciolgono, a mio parere già dopo le prime righe.
Cosa significa "gli psicofarmaci di nuova generazione riducono gli effetti collaterali più evidenti, favorendone la prescrizione".; tralasciando la superficialità nell'usare il termine psicofarmaco che, come già accennato dal collega Pacini, non vuol dire assolutamente nulla, se non mettere un etichetta dispregiativa e terrificante su determinati farmaci e su chi ne ha necessità, cosa dovremmo imparare da una simile affermazione, che occorre tornare ai farmaci di 30 anni fa per spingere i medici ad essere più cauti nelle prescrizioni? L'auto prescrizione é un grande problema e riguarda, anche qui, tutto il campo medico: hai idea della auto prescrizione che si fa in Italia di antibiotici, antinfiammatori, antidolorifici, antiacidi, etc., etc., ma non si risolve certo tornando ai farmaci del secolo scorso.
Ancora é necessario contraddire la tua affermazione "ogni anno o due compaiono nuovi farmaci ssri (zoloft, paxil, celexa)". Ebbene in Italia l'ultimo ssri introdotto in commercio é stato l'escitalopram, oltre 10 anni fa. Non so dove tu veda tutti questi ssri, Tra l'altro, per inciso, celexa e paxil sono due prodotti nemmeno in commercio in Italia, sebbene le rispettive molecole siano diffuse in altra forma. La ricerca di nuove molecole, sempre più efficaci e meglio tollerate é il presupposto dell'intera farmacologia e del progredire della salute di tutti, non solo in neuropsicofarmacologia.
Le affermazioni sugli antipsicotici sono risibili, che significa che hanno spopolato? Che i medici rincorrono i pazienti prescrivendo anti psicotici inutilmente a destra e a manca per ogni tipo di sofferenza psicologica, addirittura ad adolescenti e bambini? Lasciando perdere il discredito gettato su un intera categoria medica, ma ti rendi conto dell'impatto che una simile affermazione può avere su un paziente che necessita di una terapia del genere, che é già titubante per i pregiudizi di cui siamo pieni e che potrebbe decidere di interrompere una terapia fondamentale?

#6

Mi associo al commento dei colleghi che mi hanno preceduto.
L'utilizzo di tutti questi luoghi comuni per scrivere una news secondo me non va bene perché rende pregiudizievole la modalità di cura di pazienti che necessitano di terapie e che si sentirebbero mal giudicati e, quindi, indotti a non seguire più le indicazioni.

#7
Foto profilo Utente 171XXX
Utente 171XXX

Dr. Patanè, bisogna riconoscere che in alcuni casi le nostre patologie sono croniche o quasi. Non è che uno vada a cuore leggero dallo psichiatra, solo il nome fa paura, si ha vergogna di entrare nello studio per paura che ti riconoscano...ma ad un certo punto ci si rende conto che si sta sprecando la propria vita, e quando si è giovani buttare via gli anni migliori in nome di un fantomatico benessere che si guadagnerebbe poi in età più avanzata, evitando i farmaci..mi sembra stupido. Per esempio, il mio DOC comportava aver paura di uscire fuori sul balcone, per timore di buttarsi giù. La TCC mi impone di uscire sul balcone, e va bene, questo riesco a farlo, ma i pensieri è difficile che vadano via.. in alcuni casi il farmaco serve e come.

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