Ebola: il diritto di avere paura. Effetti psicologici del rischio contagio

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Le notizie recenti che riguardano la diffusione del contagio da virus Ebola, le contromisure adottate dall’OMS, l’arrivo dei pazienti infetti negli Stati Uniti e in altri paesi che sino ad oggi sembravano lontani dal rischio, hanno suscitato diverse reazioni nella popolazione.

Paura, ansia, angoscia, rabbia e timori sembrano non cessare, nonostante le rassicurazioni che giungono dagli esperti. Le spiegazioni dei medici e degli organi deputati al monitoraggio e al controllo dei rischi per la salute, pur riconoscendo la gravità della situazione, tendono a rassicurare rispetto ad un rischio immediato nel nostro paese.

Tuttavia, la paura aumenta, come testimoniano le assenze degli agenti di polizia a Palermo, attribuite al timore di un possibile contagio da parte degli immigrati; nonostante la notizia sia stata smentita dalla questura, che ritiene la situazione nella norma, non si possono negare le emozioni che sembrano prevalere.

Ma da dove nasce questa paura? E perché è così inaffrontabile?

Innanzitutto le caratteristiche che contraddistinguono Ebola sono particolarmente inquietanti: la facilità di contagio, la mortalità elevata e le terribili condizioni fisiche che possono sopraggiungere al paziente infetto.

La sofferenza, la mancanza di controllo e di speranza sono i tre aspetti cardine sui cui si strutturano le nostre preoccupazioni. Questi aspetti psicologici contribuiscono a rendere Ebola così temibile, stiamo assistendo infatti, oltre che ad un contagio fisico, anche ad un contagio emotivo, quello della paura.

Oscilliamo continuamente tra il bisogno di sapere e il desiderio di non sentire. Vogliamo essere informati per prepararci, ma quando le notizie confermano l’emergenza ci sentiamo vulnerabili, troppo.

In questo modo si intensificano frustrazione e rabbia, ci chiediamo come sia possibile, cosa avrebbe potuto essere fatto, cosa sarebbe oggi possibile fare… Ma non solo, l’esposizione aumenta la paura che alimenta il sospetto. La sensazione di doversi proteggere porta a mantenere una distanza fisica con chi ha un colore della pelle diverso dal nostro, perché “non si sa mai da dove potrebbe arrivare o con quali persone potrebbe essere entrato in contatto”.

L’impossibilità di sapere con esattezza, di riconoscere, di evitare, ci porta alla chiusura e al ripiegamento su noi stessi e in alcuni casi può favorire lo sviluppo di pensieri paranoidei.  Aumentano infatti, in queste circostanze, quelle che i media definiscono psicosi da contagio: timori di manipolazioni governative, reazioni esasperate e incontrollate.

Questi funzionamenti psicologici sono conseguenza dei tentativi della nostra mente di gestire la situazione e ripristinare un equilibrio pregresso. Ognuno di noi utilizza le proprie risorse per tentare di alleviare le proprie angosce più profonde. La mente è infatti orientata ad individuare costantemente nuove strategie per affrontare la realtà.

E’ facilmente osservabile come la familiarità di una situazione favorisca la conoscenza della stessa (quindi proviamo minor paura), mentre l’irraggiungibilità e la conseguente mancanza di controllo possono fungere da amplificatore di tutte le nostre paure.

I confini geo-politici che un tempo costituivano una barriera fisica ed emotiva al rischio contagio, oggi non sono più sufficienti. La consapevolezza è il modo migliore per mantenere un assetto mentale equilibrato.

E’ giusto pretendere e ottenere un’informazione corretta ed esaustiva, è essenziale conoscere, ma è altrettanto importante conoscerSI per affrontare e ridimensionare la percezione del rischio.

Una strategia per affrontare la paura consiste nel concentrarsi e impegnarsi per cambiare le piccole cose; ovvero: intervenire per ridurre il rischio su quanto è in nostro potere, allevierà l’ansia e il timore per qualcosa su cui non possiamo agire direttamente. Ebola fa paura, la crisi è reale, ma altrettanto reali sono il danno da fumo, la velocità sulla strada e tanti altri comportamenti a rischio. Sarebbe forse paradossale preoccuparsi della febbre emorragica e protrarre l’agire di quei comportamenti pericolosi che quotidianamente possiamo osservare.

Questo non risolverà certamente il problema, in particolare tra coloro che per ragioni professionali si trovano nelle condizioni di un’esposizione maggiore al rischio, tuttavia l’equilibrio emotivo è indispensabile per affrontarlo al meglio.

Data pubblicazione: 09 agosto 2014

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