I "no" che aiutano a morire: quanto è difficile fare i genitori!

valeriarandone
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo

"All'inizio i figli amano i genitori. Dopo un po' li giudicano.
Raramente, o quasi mai, li perdonano"

Oscar Wilde

"Mi uccido e la colpa è dei miei genitori. Troppo severi, troppo insensibili, troppo restrittivi: mi sentivo in prigione, tutto mi è vietato, posso solo suicidarmi"

Scriveva così sul suo smartphone, la ragazzina di Forlì, prima di buttarsi dal tetto della scuola.
Un gesto atroce, premeditato, accarezzato con la fantasia e vissuto come l' unica estrema soluzione ad un dolore acuto, o forse cronico, che nessuno riusciva ad intravedere ed ancor di più ad ascoltare.

La ragazzina, aveva soltanto sedici anni, aveva la media del dieci in tutte le materie e rasentava la perfezione, ma spesso durante i suoi momenti di malessere minacciava di togliersi la vita, perché ormai non le piaceva più e le stava stretta.
Il "no" lapidario dei genitori alla sua insistente richiesta di andare a studiare in Cina, le aveva dato la conferma della irreversibilità della sua scelta.

"I no che aiutano a crescere" è un libro che rappresenta un caposaldo dell' educazione, una sorta di manuale guidato per noi genitori, quando oscilliamo tra sensi di colpa, inadeguatezza e troppo permissivismo.
La cronaca di oggi, denuncia adolescenti che non riescono a sopravvivere alle frustrazioni, che gridano il loro malessere e che forse non vengono ascoltati adeguatamente e profondamente ed i "no che aiutano a crescere", lasciano il posto ad i "no che aiutano a morire".

Da mamma e da clinico, mi chiedo:

  • Si può morire per aver avuto il diniego per andare in Cina?
  • Può un genitore non accorgersi di un malessere così cupo e profondo?
  • Quale distanza emozionale esiste tra genitori e figli?
  • Qual è il giusto confine tra negazione ed accondiscendenza?
  • Qual è il confine tra le manipolazioni adolescenziali ed il reale rischio di morte?
  • Quali segnali siamo obbligati a cogliere quando un figlio grida aiuto?
  • Esistono dei manuali per noi genitori?
  • Cosa è giusto concedere e cosa è giusto negare?
  • Esistono dei no assoluti e dei no negoziabili?
  • Un no deve rimanere sempre e comunque no oppure può anche trasformarsi in ni o addirittura in si?
  • Coerenti a tutti i costi o attenti alle loro più profonde insicurezze e necessità?

A queste domande, come mamma e come clinico, non so rispondere, ma un gesto così atroce, mi obbliga a riflettere ed a chiedermi quale condotta educativa sarà la piu consona alla crescita di mia figlia, quali no sarà in grado di reggere e quali no saranno per lei atroci ed insopportabili.
Gli adolescenti sono la categoria di persone che muoiono più spesso e si ammalano di meno, proprio per la loro incapacità ad analizzare la realtà e per la loro propensione a sfidare la sorte, spostando i loro limiti.

Cosa deve fare un genitore?

Negoziare? 

Spiegare? 

Arginare le loro pulsioni? 

Aiutarlo a crescere? 

Tarpargli le ali? 

Assecondare?

Uno sguardo vigile, sempre attento, empatico e non troppo castrante, forse è la strategia che bisognerebbe attuare.
Una negazione di un loro bisogno di libertà, rappresenta sempre una castrazione, una mutilazione di un loro sentire, di un sogno nel cassetto e le successive reazioni saranno le più svariate.

Un adolescente negato e non riconosciuto, tenderà a rifugiarsi nella droga, nell' alcol, nel gruppo di pari o, peggiore delle ipotesi, nella depressione e nell' isolamento, fino ad arrivare al gesto più estremo ed irreparabile: il suicidio.
Immagino, non conoscendo i dettagli della vicenda, che la ragazzina di Forlì, abbia agito da sola, senza aver parlato con nessuno, con programmazione ed un acuto-o forse cronico- dolore di fondo.

Immagino anche il vissuto di questi genitori, soli e resi colpevoli dalle note del cellulare della figlia e dalla loro coscienza che mai li perdonerà.
Chissà queste domande affolleranno la loro mente ed il loro cuore, chissà quanti "forse" avranno abitato i loro pensieri, ma il gesto è stato lapidario ed irreparabile.

L' adolescenza porta con sè svariate fasi, da quella depressiva - necessaria per la crescita psichica - a quella euforica, che li spinge a vivere a pieni polmoni.

 

Cosa fare in questi casi?

Dire sempre e per sempre si, non credo sia la strada migliore da percorrere, cedere alle loro manipolazioni affettive nemmeno, forse spiegare e motivare i "no" monitorando le loro reazioni, potrebbe essere una soluzione.

Il litigio, il sano litigio, diventa un luogo simbolico di scambio, di negoziazione e soprattutto di crescita, senza rabbia ed aggressività, ma con amore ed autorevolezza.
Un "no", così come un brutto voto o un comportamento non adeguato, va sempre spiegato, offre l' opportunità a noi genitori di dialogare con loro, non colpevolizzandoli o censurandoli, ma trasformando le loro debolezze in punti di forza della loro psiche.

Anche un cattivo comportamento, contiene sempre qualcosa di buono, leggere oltre e vedere il buono che c' è in loro, é la strategia migliore pe restituire ai nostri figli un' immagine "risarcita" e " nutrita" dall' amore e dalle cure genitoriali.
Il genitore deve resistere al bisogno di cercare di crescere un figlio, come il figlio che lui vorrebbe avere, ma aiutarlo invece a sbocciare secondo i "suoi" tempi, le sue potenzialità, a diventare quello che lui vuole essere realmente, in armonia con il suo patrimonio emozionale e cognitivo.

Spesso un figlio "diverso" è un figlio che mette in crisi il credo dei suoi genitori, ma le diversità vanno accettate e rese "unicità".

 

Un figlio per crescere ha necessità di "radici ed ali"

Mio padre mi ha dato il più grande regalo che mai si possa dare ad un figlio: ha creduto in me, sempre.

 

Fonte:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/26/forli-sedicenne-si-toglie-la-vita-indagati-genitori-per-maltrattamenti-in-famiglia/1040549/

Data pubblicazione: 07 luglio 2014 Ultimo aggiornamento: 03 agosto 2014

1 commenti

#1
Foto profilo Utente 344XXX
Utente 344XXX

Buongiorno gentile dr.ssa Valeria Randone
Credo che sul tema del suicidio abbia scritto giusto Karl Jaspers:
"Chi da vicino ha preso parte direttamente al dramma di un suicidio, se è dotato di un qualche senso di umanità ed è un po' inclinato a veder chiaro nelle cose dell'anima, troverà che un fatto bisogna riconoscere, che non c'è un motivo unico che possa spiegare l'avvenimento. In fin dei conti rimane sempre un mistero."

Secondo me il problema dell'adolescenza di oggi non viene dall'adolescenza in sé che dopotutto è sempre la stessa, ma dal mondo baluginante carico di promesse che non dà mai tregua all’adolescente attraverso soprattutto il web, ma non solo, e che alza sempre più l'asticella delle sue aspettative. L'adolescente di oggi vuole tutto e subito e quando lo ottiene si accorge che non gli basta a riempire il suo vuoto, e così chiede ancora, e chiede sempre di più, e questa prassi di voracità crescente si presenta ancor prima che nell’adolescenza. L’obiettivo dell’adolescente non traccia una via immaginaria da seguire, non si pone come un faro in lontananza da raggiungere attraversando i flutti della vita, come per es. ne L’adolescente di Dostoevskij il sogno di diventare un Rothschild risparmiando pressappoco un copeco al giorno, ma diventa qualcosa di concretissimo ed attuale non procrastinabile, ineluttabile, imperativo e presente. Per l’adolescente di oggi il salto dal presente al futuro è subitaneo, così che l’ultima parola si svuota del profondo significato di progettare se stesso, non c’è più un aldilà che si conquista nell’aldiqua.
Nel suo vocabolario la parola “fallimento” semplicemente non c’è, per lui tutto è chiaro e cristallino, ha capito tutto della vita già a dodici anni, ciò che invece gli mancano sono i mezzi e le opportunità, che sono invece a portata esclusiva del genitore. Già solo questa consapevolezza gli è intollerabile, la vive come una profonda ingiustizia e causa in lui un risentimento profondo che alla lunga cresce e gli divora l’anima.
Così la Cina (una volta sarebbe stata più banalmente la vacanza in riviera con gli amici) non è solo un sogno, è qualcosa di reale, di facile, è lì a due passi, ed il genitore che gliela nega non ha alcuna ragione per farlo se non per inimicizia, ripicca, riscossa, invidia, vendetta.
Si capisce allora come il no del genitore, non si ponga solamente come negazione di un qualcosa a suo figlio, ma come una vera e propria negazione del mondo che lo circonda! Al genitore si chiede dunque una forza spropositata, immane, perché la lotta non avviene solo dentro le mura domestiche, ed il figlio adolescente rappresenta l’avanguardia di un esercito imponente, costituito innanzitutto dagli amici e dai loro genitori condiscendenti (ai quali spesso piace credersi amici di adolescenti), dal mercato, da internet, dalla pubblicità, dalle mode, dalle false immagini, dall’informazione eterogenea e martellante ecc. E’ una lotta che comprensibilmente può esaurire presto le energie di qualsiasi genitore del no.
Cordiali saluti.

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