Depressione: aumentarla per ridurla

giuseppesantonocito
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta

Una ricerca uscita proprio in questi giorni scopre un nuovo metodo (non così nuovo, in realtà) per trattare la depressione: anziché ridurre l’attività dei neuroni coinvolti, attivarli ancora di più in modo artificiale causa uno sviluppo di maggior capacità di reazione, promuovendo una naturale resilienza.

Per adesso l’esperimento è stato condotto solo su topi di laboratorio, ma alcune forme di psicoterapia utilizzano da sempre questo metodo. L’intervento cosiddetto paradossale, di cui si fa ampio utilizzo in terapia breve strategica per il trattamento di molte sindromi ansiose e depressive, si basa appunto sul contrario dell’evitamento, ossia sull’affrontare volontariamente gli stimoli, le sensazioni e i pensieri negativi fino a sviluppare una naturale forma di abituazione e annullarne il potenziale patologico.

Nell’esperimento in questione, i ricercatori hanno rilevato che nei topi naturalmente più resilienti allo stress sociale, indotto dal trovarsi in svantaggio in situazioni conflittuali con i consimili, i neuroni dopaminergici mostravano paradossalmente un’attività molto più elevata rispetto ai topi depressi e di controllo.

Ciò ha condotto i ricercatori al passo logicamente successivo: incrementare l’attività dei neuroni dopaminergici dei topi depressi per vedere cosa sarebbe successo. E infatti, il risultato è stato che i topi depressi sono “guariti”, acquisendo la capacità di tollerare livelli di stress elevati senza soccombere ai tipici sintomi depressivi.

Fonte:
ScienceDaily online, 2014. Boosting depression-causing mechanisms in brain increases resilience, surprisingly.

Data pubblicazione: 18 aprile 2014

11 commenti

#1
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Ex utente

Non sono un medico nè uno psicologo, ma mi pongo una domanda. Come si concilia questo studio con il famoso esperimento sull'impotenza appresa dei cani illustrato da Martin Seligman nel suo libro sull'ottimismo? In quel caso i cani erano sottosposti a stress ripetuto senza alcuna possibilità di modificare la situazione. A lungo andare si deprimevano e non si attivavano più.
In questo nuovo esperimento sembrerebbe che sottoponedo volutamente i topi a stress, gli stessi sviluppino abilità di resilienza e quindi di fatto il contrario di quello che succedeva ai cani.
Forse è l'esperimento che è diverso?
Sottoporre una persona ad una serie ripetuta di stress ed emozioni negative porta ad un beneficio o peggiora le cose?
Intuitivamente, mi viene da pensare che è un po' l'interpretazione dell'evento stressante che fa la differenza. L'evento stressante deve poter lasciare una "speranza" a chi lo subisce di cambiarlo o di modificare la situazione, altrimenti è solo una conferma della propria convinzione deprimente. Però è anche vero che l'interpretazione dipende dalla propria esperienza di vita. Per questo sono scettico sul fatto che una serie ripetuta di traumi possa portare a migliorare la depressione. Piuttosto penserei che ripetute esperienze negative non possano che portare a depressione. Così come sarei propenso a credere che l'ottimista sia una persona che nella sua vita ha imparato nei primi anni di vita che il fallimento è meno frequente del successo, proprio perchè ha avuto più successi che fallimenti.

#2
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Dr.ssa Paola Dei

Caro Giuseppe
Come l'utente che ha scritto prima di me ho molte riserve su questa teoria e trovo pericoloso considerarla risolutiva per un disturbo che presenta molteplici possibilità diagnostiche. Poiché tu hai usato un esperimento con gli animali, ne uso uno anch'io inconfutabile che tutti gli chef conoscono.
Quando si pensa di voler cuocere una rana, intuitivamente si ipotizza di gettarla in acqua quando bolle....ma cosí facendo la rana si salverà perché i suoi riflessi sono al massimo dell'energia e l'apparato senso-motorio perfettamente in grado di fare il salto fuori dalla pentola.
Se invece si colloca la rana in una pentola con acqua fredda e la si depone sul fuoco, lei lentamente percepirà il tepore un pò alla volta e perderà le forze fino a non essere più in grado di fuggire.
Ciò che voglio dire è che di fronte ad un episodio depressivo dove non sono presenti altre patologie invalidanti e dove l'evento stressante che l'ha scatenato è recente ed ascrivibile ad un periodo circoscritto, l'esperimento che proponi può funzionare, in casi invece in cui vi siano depressioni forti che perdurano da anni dove la persona è già priva di energie e incapace di utilizzare anche l'apparato senso-motorio con la dovuta reattività, ciò che viene asserito nell'esperimento non solo non serve a nulla ma è pericoloso.
Generalizzare non va mai bene e l'uomo macchina è stato superato dal costruttivismo.
Se poi andiamo oltre l'apparato senso-motorio e ci spingiamo a quello cognitivo, tu sai molto bene che in certi farmaci anti-depressivi è scritto che migliorando il tono dell'umore senza aver elaborato dolori latenti o espliciti, possono verificarsi casi di suicidio, che il paziente non mette in atto fin quando non ha le forze per farlo.
Credo che la terapia strategica sia meravigliosa in certi disturbi, addirittura imbattibile, piano però con le depressioni, i disturbi alimentari psicogeni ed altre patologie.....(ammesso che la terapia strategica dica questo, ma tu stesso lo asserisci e la citi) perché anche far digiunare totalmente un'anoressica è amplificare un disturbo......pure un colludere però.....e sei certo che guarirebbe?
In certi casi...meglio rimanere all'antica, come saggiamente dicevano le nostre nonne....

#3
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Dr. Giuseppe Santonocito



Utente 304127,

La teoria dell’impotenza appresa è solo UNA delle teorie che hanno tentato di spiegare la genesi e il mantenimento degli stati depressivi, oltretutto successivamente rivista perché da sola non riusciva a render conto del fatto che, nelle persone, l’impotenza appresa talvolta è limitata a certe situazioni, altre volte più generalizzata. A differenza degli animali, nel caso delle persone altri fattori vanno tenuti in conto, come lo stile cognitivo: tratto pessimista/ottimista, locus of control (convinzione sul proprio potere d’intervento sugli eventi) e altri ancora. È chiaro che le persone hanno un grado di complessità maggiore, la possibilità di ragionare sulle cose e quindi di giungere a conclusioni diverse di fronte agli stessi fatti.

Ma proprio per questo, nel mio commento sopra ho scritto che la TBS usa l’intervento paradossale in ALCUNE sindromi ansiose e depressive. Non in tutte.

In TBS la modalità operativa fondamentale e quasi sempre presente è l’individuazione delle tentate soluzioni fallimentari che la persona sta attuando per tentare di fronteggiare il proprio problema, per interromperle, perché evidentemente non stanno funzionando. Ora, dall’esperienza si può notare che non tutte le depressioni sono uguali. Non tutte le persone depresse sentono e fanno le stesse cose. Non tutti gli individui depressi attuano le stesse tentate soluzioni. Ad esempio, non a caso ho scelto di corredare questo blogpost con una foto dell’espressione della rabbia, perché in molte depressioni a farla da padrone è proprio questa sensazione (anche se non sempre manifesta) più che la tristezza.

Sempre procedendo per esempi offerti dall’esperienza, in molti casi le persone sono depresse non perché abbiano tentato di affrontare il problema ripetutamente senza riuscirci, ma perché hanno EVITATO di affrontare in modo diretto od opportuno la situazione che le preoccupa. Il caso del ragazzo depresso perché non riesce ad aver successo con le ragazze spesso non è nient’altro che il risultato di aver evitato di approcciare le ragazze, per paura di esserne rifiutato. Allora in tali casi la terapia corretta consiste nell’aiutare l’individuo ad affrontare esattamente quelle situazioni finora etichettate come preoccupanti o stressanti, in modo adeguato, aiutati dal terapeuta, per far sì che esse cessino di essere fonte di disagio.

In altri casi ancora la depressione può insorgere in seguito a un unico, importante evento stressante. La perdita di una persona cara o di una situazione di relativa sicurezza (economica, ad esempio, come un impiego o la redditività dell’impresa di famiglia). Qui l’evitamento consiste nel fatto che la persona non riesce (si rifiuta, evita di) accettare l’inevitabile, ossia che un fatto negativo è purtroppo già accaduto. In tal caso la persona dovrà essere aiutata a confrontarsi con la realtà, senza rifiutarla, ma anzi passandoci attraverso fino a superarla. E anche questo è un processo di abituazione.

Il concetto di resilienza è molto importante. La resilienza è la capacità di rialzarsi di fronte agli eventi negativi, è quella molla che fa dire: “No, accidenti, devo andare avanti a ogni costo, devo superare anche questo”. Tornando nel merito dell’esperimento riportato nel blogpost e accennando appena ai dovuti correlati neurologici, guarda caso sembra essere coinvolto il sistema dopaminergico, cioè il neurotrasmettitore della motivazione, del craving, del desiderio, della voglia di fare e andare avanti.

>>> Piuttosto penserei che ripetute esperienze negative non possano che portare a depressione.
>>>

Questa sembra un’affermazione fatta da una posizione, cioè da uno stile cognitivo, probabilmente portato a vedere più il bicchiere mezzo vuoto che quello mezzo pieno. L’ottimista le risponderebbe al contrario che non è vero, che ogni crisi porta in sé il seme dell’opportunità.

Se però vuol sapere come la penso io, la posizione più sana e matura in assoluto non è quella pessimista né quella stupidamente ottimista a ogni costo (quella del cosiddetto pensiero positivo), ma quella del sereno disilluso. Il disilluso sa che le cose possono anche andare male, lo sa, se lo aspetta e quindi non si preoccupa di scongiurarne l’evenienza nella mente. La differenza con il pessimista è che non ne soffre, perché ha imparato ad accettarne preventivamente la possibilità. La differenza con l’ottimista è che non si illude che le cose debbano per forza andare bene, e quindi non si delude quando ciò non accade. In altre parole, per me ha molto più valore la resilienza, intesa come capacità di reazione a posteriori, che la capacità di vedere il mondo con occhiali rosa a priori.

Se vuole stiamo sconfinando nella filosofia, ma del resto se è vero che ogni buona filosofia dovrebbe occuparsi dell’essenziale, questo è ciò che ogni buona psicoterapia è spesso chiamata a fare: sistemare alcuni principi essenziali su cui la persona basa il proprio funzionamento, in modo da aiutarla a diventare più sana, più adulta e più evoluta.

Grazie per il suo intervento.

#4
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Ex utente

La resilienza è una gran bella cosa, ma mi sembra difficile svilupparla a prescindere dagli eventi. Non ho elementi oggettivi al riguardo, mi baso su una personale intuizione. Cioè: è possibile diventare più resilienti attraverso una diversa interpretazione dei fallimenti e dei lutti o è necessaria una qualche esoerienza positiva che bilanci lo schema depressivo? Faccio un esempio: se fallisco un esame 5 volte consecutive è chiaro che alla sesta volta andrò consapevole che le mie probabilità di superare l'esame sono basse, quasi nulle. Immaginiamo però di avere un atteggiamento sereno disilluso, frutto di un continuo lavoro sull'interpretazione dell'esito "bocciatura". Ecco a mio parere quell'atteggiamento resiliente è destinato a scemare sempre più ad ogni nuovo fallimento. Anche la mente più resiliente ha bisogno, ad un certo punto, di sperimentare un successo. A quel punto l'eventuale promozione all'esame può imprimere all'individuo la consapevolezza che essere resilienti "paga". Tutto questo per dire che anche la persona più resiliente ha bisogno che gli eventi gli siano favorevoli. Penso sia più vero che il successo porti ad essere resilienti che non viceversa.

#5
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Dr. Fernando Bellizzi

Sulla resilienza e sull'intervento paradosso c'è il lavoro di Viktor Frankl ed il suo "Dire di sì alla vita, nonostante tutto. Uno psicologo nei lager", scritto proprio questionandosi su quali fossero le risorse di coloro che sono sopravvissuti ai campi di concentramento, rispetto a coloro che si sono lasciati andare (pur essendo sottoposti alle stesse condizioni di vita).

Sull'esempio dei 5 tentativi che vanno male, sono d'accordo anche io che dopo tele esperienza s'impara l'impotenza. Ma come mai s'insiste sulla stessa modalità senza cambiare strategia?
E' come la mosca che vuole uscire dalla finestra di cui non vede il vetro e non capisce che sarà impossibile uscire.
Resilienza non vuol dire testardaggine o semplice insistenza, nel senso di ripetere tutto lo schema pedissequamente come se fosse un rituale ossessivo. Vuol dire non arrendersi, non abbattersi, piegari ma non spezzarsi, ed anche cambiare strategia o cambiare obiettivo.
Resilienza vuol dire che se mi cade un bicchiere e si rompe, non mi dispero e basta, ma. accettata la perdita del bicchiere mi attivo per trovare altre soluzioni. E se non ne trovo, accetto che non ci sono altre soluzioni e faccio altro.


https://it.wikipedia.org/wiki/Uno_psicologo_nei_lager

#6
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Dr. Giuseppe Santonocito

Utente 304127,

Anche l'intuizione personale è una gran bella cosa, ma rischia di essere fallace quando non corroborata da controesempi.

La resilienza personale si sviluppa in base agli eventi, però il punto è che di fronte agli STESSI eventi persone diverse reagiscono in modo diverso. Conosce il detto: “Ciò che non uccide rende più forti”?

>>> è possibile diventare più resilienti attraverso una diversa interpretazione dei fallimenti e dei lutti o è necessaria una qualche esoerienza positiva che bilanci lo schema depressivo?
>>>

Questa è una domanda corretta. In generale, gli eventi negativi insegnano di più di quelli positivi. Le esperienze positive frequenti sono necessarie al bambino che ha ancora tutto da scoprire o al principiante che deve imparare una nuova abilità, per segnalargli: “Ok, stai procedendo nel modo giusto”. Ma una volta divenuti adulti (o esperti), la lezione da imparare è che le esperienze negative sono una costante nella vita e che occorre utilizzarle più che soffrirle.

>>> Anche la mente più resiliente ha bisogno, ad un certo punto, di sperimentare un successo
>>>

Se per successo intende sensazione positiva, definita in vario modo, è vero. Ma la mente più resiliente non è necessariamente la più ottusa; se dopo un certo numero di esami falliti mi rendo conto che l’università non fa per me, l’atteggiamento più corretto (e adattivo) consiste nel cercare altre strade, per poter provare le sensazioni positive delle quali ho bisogno.

La sua osservazione mi dà modo di specificare meglio proprio la differenza fra situazioni sane e patologiche: in generale si ha patologia quando l’individuo s’inceppa in un atteggiamento o comportamento non adattivo, che malgrado continui a causargli dolore, non riesce ad abbandonare.

Le esperienze negative esistono per chiunque; la domanda è: come le vogliamo affrontare?

>>> Penso sia più vero che il successo porti ad essere resilienti che non viceversa
>>>

Si sbaglia, è proprio il contrario. Codesta è la posizione della persona fondamentalmente ansiosa: più riesco a evitare le esperienze negative, più starò al sicuro. E invece più le si evita, più stanno consolidando le proprie paure.

A parte coloro che nascono già dotati delle qualità temperamentali adatte, le persone che ottengono il successo in ogni campo di solito sono quelle divenute più resilienti, cioè quelle che hanno sperimentato rovesci di ogni tipo nel loro cammino verso la meta. Diceva Niels Bohr, l’insigne fisico, che l’esperto è colui che ha commesso ogni tipo di errore immaginabile in un determinato campo d’azione.

#7
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Ex utente

Non so, certo pensare che le persone che hanno sperimentato più rovesci sul loro cammino siano quelle che ottengono il successo in ogni campo è rincuorante. Non sono un esperto, non posso confermarlo e ho solo l'intuizione, il buon senso e un po' di logica che mi guidano. E magari mi guidano in modo distorto. Poi è anche vero che, tornando all'esempio dell'esame, se non provo una sesta volta non posso ottenere il successo ("promozione"). Non posso però fare a meno di pensare che collezionare fallimenti sia controproducente alla mente umana. Anzi penso che fallire ripetutamente in campo della vita possa intaccare la sicurezza anche in altre sfere. A volte è meglio preservarsi che incaponirsi in qualcosa di irragiungibile.

#8
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Dr. Giuseppe Santonocito

I suoi dubbi possono essere dissipati facilmente tenendo bene a mente - e imparando, se necessario - ciò che le dicevo prima: la capacità di capire quando persistere e quando invece mollare e passare ad altro. A volte ciò che separa dal successo è quel tentativo in più a cui non abbiamo dato seguito. Altre volte, invece, avremmo risparmiato tempo smettendo prima.

Non esistono ricette infallibili per la felicità, ma è un fatto che molte persone purtroppo mancano della flessibilità necessaria per smettere di continuare a fare o non fare ciò che non sta funzionando. Le persone preferiscono avere ragione piuttosto che ammettere di essersi sbagliate e tale forma di egocentrismo, spesso, impedisce di progredire.

#9
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Utente 955XXX

Personalmente concordo con l'utente 304127: chi subisce troppe esperienze negative, troppe sconfitte, specialmente in giovane età, non viene fortificato, viene annientato.
Nel mio lungo percorso professionale, ho scoperto che di solito dietro a tante fragilità e insicurezze esistono storie di fallimenti ripetuti, mancanza di autostima per lo più dovuta a poca stima altrui.
Qualche rovescio può essere istruttivo, ovviamente, Ma solo se avviene a chi ha già una base solida; e questa, a partire dall'attaccamento sicuro del bambino in poi, può svilupparsi solamente se ci sono state esperienze complessivamente positive,
In quanto alle TBS, direi che la loro validità terapeutica sia quanto meno controversa.

#10
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Dr. Giuseppe Santonocito

Rilegga quanto ho scritto sopra.

In ogni caso le opinioni non cambiano la sostanza delle cose.

>>> quanto alle TBS, direi che la loro validità terapeutica sia quanto meno controversa.
>>>

Direi che questo lo sostengono, appunto, coloro che danno più valore alle opinioni (specie le proprie) piuttosto che ai fatti.

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