A proposito de “l'ambizione smisurata” (Renzi): un contributo alla psicopatologia politica
Quando il capo di un partito per incitare i suoi alla “battaglia” dice “dobbiamo avere un'ambizione smisurata”, c'è da chiedersi che senso abbia. Non penso che una lettura letterale possa essere sufficiente a capire che cosa ci sia dietro un'esortazione così forte e per certi versi che non risponde ai canoni anglosassoni del politicamente corretto, e neanche una lettura “fra le righe”, come se ci trovassimo di fronte ad un messaggio cifrato, sarebbe utile allo scopo, perchè condizionata da logiche di sospetto e quindi per certi versi paranoidi.
Non ci resta che procedere con un metodo che nella sua “non scientificità” e irrazionalità, spesso da buoni frutti in campo psicoterapeutico: quello delle libere associazioni.
Quindi proverò a fare un piccolo viaggio nell'ambizione smisurata cercando di capire che sensazione comporti. La prima che mi viene in mente è, come spesso accade al nostro cervello, di tipo fobico: la paura di perdere la misura (smisurata) e quindi la frase acquista inevitabilmente una connotazione contro-fobica ed il senso diventa “non dobbiamo aver paura di una ambizione che ci faccia perdere la misura”.
Si sa che i modali (dovere, volere, potere, ecc.) comportano come minimo un po' di logiche nevrotiche che in un continuum, possono trasformarsi, attraverso i percorsi del narcisismo, in qualcosa di più serio, ma tutto farebbe pensare in questo caso ad un tentativo, attraverso la parola, di controllare l'eccesso.
Quindi, inconsciamente consapevoli della brutta fine che hanno fatto tutti coloro che, mossi da un'ambizione smisurata, hanno cercato da umani di assurgere al ruolo di un dio, sembra logico che nel momento in cui si sta per fare un passo pericoloso, ci si rifugi in una sorta di frase esortativa in modo quasi scaramantico, ad esorcizzare la caduta rovinosa di Icaro che voleva avvicinarsi al sole.
E' la fine tragica di tutti i cosiddetti semi-dei, che, giocando col fuoco, rischiano di finire incatenati ad un monte in balia dei corvi pronti a cibarsi del loro fegato. Certo bisogna avere un certo fegato per fare qualcosa di eccezionale (nel senso di qualcosa che non si sia mai fatto prima) e quando si parla di coraggio, non si può prescindere dalla paura che, se diventa panico lo inibisce (uno il coraggio non se lo può dare) ma se resta tale determina quella spinta che muove tutti gli amanti dei film horror.
Diciamo quindi che la paura determina il coraggio come la fobia determina comportamenti controfobici. Il panico invece paralizza.
C'è da chiedersi quali siano le caratteristiche del coraggio: mi viene in mente il coraggio masochistico di Salvo D'Acquisto, il coraggio temerario di Nuvolari o il coraggio sconsiderato di alcuni finanzieri che lavoravano alla Lehman Brothers. Grandi differenze quindi, che vanno dall'eroismo, alla psicopatia attraverso una vita spericolata alla Vasco.
Mi rendo conto che qualcuno possa perdersi e di rischiare una verbigerazione confusiva, ma ho l'impressione di essermi avvicinato al senso dell'ambizione smisurata del capo in questione che mi appare sempre più determinata dal controllo ossessivo che dal discontrollo borderline e questo rassicura perchè ci allontana da quel Thorz l'alemanno (Paolo Villaggio non Gianni) che in Brancaleone alle Crociate di fronte alla scomparsa del capo dice: “da oggi sarò io il vostro capo, sarò spietato e ingiusto”.