I neopapà: ruoli, funzioni ed emozioni
“Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre”
Gabriel Garzia Marquez, 1977
Sono pochissime le ricerche psicologiche che hanno indagato il mondo emotivo dei padri nel periodo più precoce, quello che va dall’inizio della gravidanza ai primi anni di vita del bambino. La maggior parte degli studi ruota intorno alle funzioni materne, alle pericolose conseguenze che la depressione post partum può avere sulla mamma e sullo sviluppo della prole.
E’ evidente, tuttavia, che un uomo che decide di avere un figlio va incontro ad una fase del proprio ciclo di vita che racchiude in sé un enorme potenziale di cambiamento. Diventare genitori comporta, infatti, una definitiva trasformazione dell’identità: insieme al proprio bambino, un uomo vede nascere un nuovo se stesso.
Diventare papà spaventa proprio per questo; viene interpretato come un’interruzione del proprio ciclo di vita, un ostacolo nei confronti di ciò che è stato conquistato fin a quel momento della propria esistenza: la posizione e la stabilità professionale, la libertà di usare il proprio tempo libero a proprio vantaggio e piacimento, il cominciare a vedersi un po’ più “vecchi”.
La maggiore attenzione conferita nell’ultimo decennio al ruolo del padre ha prodotto una serie di studi che hanno messo in evidenza forme di depressione maschili, successive alla gravidanza (parimenti all’equivalente status materno). Esse si manifestano con apatia, insoddisfazione per il proprio ruolo, perdita di interesse per le consuete attività, producendo uno scadimento nella qualità delle pratiche di accudimento e di interazione genitore-neonato.
Lo stato depressivo paterno è associato a disturbi emotivi e comportamentali nel bambino, che divengono visibili a partire dai 4 anni di età, con particolare evidenza dei disturbi della condotta nei figli maschi. Risulta dunque evidente che la depressione paterna, al pari di quella materna, gioca un ruolo specifico e persistente nella genesi precoce di problemi comportamentali e nello sviluppo emotivo dei bambini.
Del resto, la funzione paterna è estremamente complessa; il padre si trova a dover “mediare” all’interno della relazione simbiotica madre-figlio, operando come una sorta di polo alternativo, con l’obiettivo, da un lato di sostenere la madre nel difficile compito di cura, dall’altro di aiutare il bambino a staccarsi, gradualmente, dal legame affettivo primario con la figura materna, in modo tale da poter transitare dalla logica (immatura) del bisogno a quella (più “adulta”) del desiderio.
E’ importante sottolineare che il compito del padre diviene possibile solo se la sua compagna è in grado di “favorirlo”; il rapporto madre-bambino è così intenso e totale che un uomo può inserirsi al suo interno solo grazie alla disponibilità della propria compagna a farsi da parte per chiamarlo in causa, lasciando momenti diretti di interazione tra padre e figlio e fidandosi della sua capacità di essere presente e di prestare cure altrettanto premurose, sebbene dissimili da quelle che avrebbe adottato lei.
Se questo “meccanismo” riesce ad essere attivato, la coppia affettiva si trasforma in un amorevole triangolo familiare, in cui ogni membro gioca un ruolo che auto mantiene la relazione affettiva all’interno del “nuovo sistema famiglia” e che permette al padre di abbracciare a tutto tondo la sua nuova dimensione genitoriale, connotata da una modalità emotiva sempre più personalizzata e amorevole, che ha fatto parlare e reso evidente quella che oggi viene definita “paternità affettiva”.
E’ questa la rivoluzione dei nuovi papà, così diversi dai padri del passato, rappresentanti del “dovere” e della necessità di trasmettere una forte valenza normativa, che purtroppo lasciava “affamati di amore” i figli delle passate generazioni. A questo proposito la disciplina psicologica può fare molto per aiutare i “nuovi padri” in questo difficile ruolo, in bilico tra la necessità, sempre presente, di fornire una valida base normativa e l’esigenza di prestare attenzione ai bisogni affettivi del bambino. Il “fai-da-te” talvolta non è sufficiente.